A distanza di giorni ancora ci si domanda perché sono stati assolti gli imputati per l'omicidio di Serena Mollicone. Il processo ha spazzato via una serie di suggestioni. Alle quali la gente ha creduto. Ma che non sono mai entrate nel processo. Perché erano solo suggestioni.
Meno di due minuti, senza toni da palcoscenico; quasi con burocratica freddezza. Non andava di fretta il presidente della Corte d’Assise nel leggere la sentenza con cui ha assolto tutti gli imputati per l’omicidio di Serena Mollicone. I processi veri sono così: il resto è suggestione e cinematografia.
Ce n’è stata molta in questo caso. Sulla morte di Serena Mollicone la procura della Repubblica di Cassino ha fatto tutto ciò che era umanamente e scientificamente possibile per dare un nome all’assassino della liceale di 17 anni sparita da Arce il primo giugno 2001 e trovata dopo tre giorni nel bosco Fonte Cupa.
Ma intorno al suo lavoro si sono sviluppate Fake News messe in giro per mesi e che hanno alimentato un clima da forca. Al quale i giudici della Corte d’Assise di Cassino non hanno ceduto. Innescando una reazione scomposta nel pubblico che attendeva solo il patibolo. Perché c’è stata tanta delusione? Perché il pubblico era sicuro che alla sbarra fossero finiti dei mostri? Cosa c’è alla base dell’assoluzione? (Leggi qui: Quelli che volevano un mostro ad ogni costo).
Le Fake News su Serena
È sbagliato chiamarle Fake News: quelle sono notizie create ad arte. Non è così nel caso di Serena. Non sono Fake: sono sospetti raccontati come se fossero certezze. Qualche esempio.
Il bigliettino del dentista che incastrava Carmine Belli. Lo trovò un investigatore dell’Unità Analisi Crimine Violento, tra decine di pezzettini di carta che il carrozziere accusato del delitto aveva conservato dopo avere chiuso l’attività. Scontrini, biglietti da visita, tagliandini: tutto quello che dimentichiamo in auto ed un carrozziere serio non getta quando li trova per compiere un lavoro. “Tante volte la gente mi chiedeva: ma mica in macchina avessin trovato… mettevo tutto in uno scatolone e bastava frugare lì”.
Quel biglietto con l’appuntamento dal dentista non apparteneva a Serena. Lo dimostrò l’avvocato Romano Misserville al termine di una magistrale arringa durata 4 ore e 20 minuti. Come lo dimostrò? Serena era andata a fare la prima visita dopo la metà di novembre ed ebbe l’appuntamento a 15 giorni: pertanto la data sul talloncino con cui ricordargli la seconda visita doveva essere dicembre. Invece c’era scritto novembre. Non era il suo.
Il nastro adesivo trovato in casa Belli compatibile con quello usato per legare Serena. Un’altra balla. Il processo ha dimostrato che c’era la totale compatibilità della colla del nastro adesivo: ma il 90% delle colle da nastro le produce una sola ditta pertanto è scontato che fossero compatibili.
È anche per questo che Carmine Belli venne assolto.
Suggestioni è diverso da indizi
Nella seconda inchiesta sulla morte di Serena la Procura della Repubblica di Cassino ha condotto un lavoro andato al di là di qualunque critica. Ha disposto gli accertamenti tecnici più moderni. Nulla è stato tralasciato. E molto, moltissimo è stato scoperto che all’epoca della prima indagine non era possibile individuare. Ma ci sono state delle evidenti suggestioni. E non dei magistrati.
Il sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo nel 2015: perché – da magistrato coscienzioso – sapeva di non poter puntare il dito contro nessuno, sulla base di quegli elementi. Un dettaglio che da pochi è stato ricordato in questi mesi, alimentando la suggestione di avere individuato i mostri.
La prima e più clamorosa suggestione è la storia che Serena fosse andata in caserma per denunciare il figlio del maresciallo. Chi lo ha mai detto? È impossibile sostenere con serietà una cosa simile: solo Serena poteva sapere cosa era andata a fare lì, se c’è mai andata. Nel processo questa cosa non è emersa semplicemente perché non esiste.
L’altra suggestione è la relazione sentimentale tra Serena ed il figlio del maresciallo: se c’era, nessuno ne sapeva nulla. Perché nemmeno questo è emerso.
Compatibilità è un concetto ampio
Le analisi della Scientifica sono state considerate per ciò che erano e cioè un indizio. Al Ris va riconosciuto il merito di avere individuato ben 25 tracce di legno tra i capelli di Serena e sul nastro adesivo con cui era stata legata. Frammenti che mai erano emersi prima perché invisibili all’occhio umano e solo di recente sono state sviluppate le tecniche con cui localizzarli. Talmente piccoli con solo 18 di essi sono stati utilizzabili in laboratorio.
Quello più grande era tra i capelli: ha dato esito negativo, non è compatibile con la porta. La compatibilità, al 90%, è stata accertata solo su 6 delle 18 tracce. Ma compatibilità con cosa? Con una sola delle decine di sostanze presenti nel legno della porta. Non con tutte. Non con la porta.
Sempre al Ris va riconosciito il merito di avere individuato sette impronte sul nastro che avvolgeva i polsi di Serena, due impronte su quello che legava i piedi, altre due impronte sul cassone di ferro che copriva il cadavere abbandonato nel bosco; inoltre decine di impronte sui libri lasciati vicino al corpo. Di chi sono quelle impronte? Con certezza non sono della famiglia Mottola né degli altri imputati. Il processo ha detto che non sono degli imputati e nemmeno di una delle oltre 300 persone con le quali è stata fatta la comparazione.
Serena in caserma
A dire di avere visto la ragazza in caserma è, al termine di una drammatica deposizione il brigadiere Santino Tuzi. Anzi no. O meglio: forse. Ascoltate in udienza, le registrazioni degli interrogatori ma anche le intercettazioni fatte nell’auto dove un collega cercava di farlo parlare, Tuzi non è sicuro che fosse Serena, non è sicuro che fosse accaduto il primo giugno. Al punto che nel 2015 la dottoressa Maria Beatrice Siravo, con coraggio pari solo all’onestà intellettuale, chiede l’assoluzione dei Mottola classificando la testimonianza di Tuzi come ‘inattendibile‘.
È una scelta coraggiosa anche quella fatta la sera della drammatica deposizione. In cui il brigadiere riferisce quel dettaglio sette anni dopo il delitto. Altri avrebbero scelto di insistere: capire perché 7 anni di silenzio, perché quando scattano le ricerche di Serena il brigadiere a nessuno dice che ha visto la ragazza poche ore prima della scomparsa. Non lo dice al maresciallo, non lo dice ai colleghi della Speciale, non lo dice all’ufficiale, non lo dice al Reparto di Frosinone.
Capiscono quella sera che è confuso. Decidono di rinviare ed avviare le intercettazioni. Che smosciano tutto. Tuzi dice di non essere sicuro.
Lo spettacolo delle suggestioni
È lecito domandarsi perché gli avvocati dei Mottola non hanno smentito subito quella notizia? Perché i processi si celebrano nelle Aule e non sui giornali. Hanno lasciato che i loro clienti venissero coperti di fango, calando l’asso nell’unico luogo in cui andava giocato: il processo. Lì hanno dimostrato che non c’era per nulla compatibilità. E che gli indizi erano ciò che erano: solo indizi.
Oltre non poteva esserci, di più non si poteva fare. Alla folla in attesa dell’impiccagione sarebbe stato onesto spiegare che da un processo indiziario era davvero difficile ottenere di più. Anziché alimentare con le suggestioni la rabbia della gente. Che ha un senso se si domanda: perché dopo vent’anni non c’è un assassino? Non ha senso se si domanda: perché non li avete condannati.