Piacentini e Pompeo di fronte ai cocci di Forza Italia e Pd

Adriano Piacentini ed Antonio Pompeo: a loro spetterà ricomporre il quadro politico dopo il terremoto nelle urne che ha devastato Forza Italia e Pd. Le origini. I nodi da sciogliere.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Due uomini in piedi davanti ai cocci. Adriano Piacentini e Antonio Pompeo sono i due uomini che hanno il compito di rincollare i loro Partiti dopo il terremoto scatenatosi domenica scorsa all’interno delle urne.

Fingere che nulla sia accaduto, negare l’evidenza, in questo momento sarebbe fisiologico. Ma mortale. Come per quei pazienti che di fronte alla diagnosi infausta dell’oncologo rispondono: «Io sto bene, non ho niente».

Il Partito Democratico e Forza Italia sono usciti devastati dalle urne. Avere eletto due consiglieri regionali (Pd) o uno (FI) significa molto poco. Fingendo che tutto vada bene il risultato sarà che tra cinque anni i nuovi movimenti politici usciti vittoriosi dai seggi eleggeranno quattro consiglieri in Regione lasciandone zero a tutti gli altri.

Il nulla in politica

Il segnale uscito dalle urne è chiaro (ed è quello che sommessamente avevamo anticipato: La lenta discesa verso il nulla politico). Gli elettori si sono stancati del nulla in politica. Le chiacchiere con cui sono stati portati in canzone ora hanno stufato. La sostanza non si è vista. E la punizione nelle urne è arrivata.

Ambasciatore porta pena.

Due esempi per essere chiari. I 530 posti non confermati in Fca a novembre sono una delusione di cui la politica porta tutto il peso. Se un leader nazionale si presenta a Cassino e davanti alle telecamere che lo mostrano a tutto il Paese dice “O suvvia, ma assumiamone duemila e facciamo cifra tonda” crea delle attese. Nel momento in cui non si concretizzano se ne assume il peso. Quanto sarebbe stato diverso se quello stesso leader invece avesse detto: “Questa è una scommessa per tutti, sinora Fca è riuscita a riportare tutti in fabbrica ed a creare altri 900 posti provvisori, dobbiamo riuscire a farne diventare stabili il più possibile. In parte dipende da noi ed in parte dai mercati mondiali. Lavoriamo insieme”. Il bullismo renziano prevede altro. E ottiene altre conseguenze. Il Pd in provincia di Frosinone ha pagato anche questo. Le passeggiate in treno con Renzi in avvio di campagna elettorale hanno fatto un baffo.

Secondo esempio. In Ideal Standard, salvare lo stabilimento ed i 300 posti di lavoro ha solo attenuato la rabbia. Quale? Quella che esplode quando si scopre che in un Paese come l’Italia chiunque può venire, sollevare la veste del Paese, fare i comodi suoi, sistemarsi i calzoni ed andare via senza nemmeno pagare lo scomodo. Che non sia un caso ce lo ricorda Videocon: uguale e preciso. Dov’è lo Stato che tutela i suoi cittadini? Il ministro Carlo Calenda, il governatore Nicola Zingaretti, hanno chiuso la stalla appena un attimo prima che tutti i buoi scappassero. Ma il senso di inadeguatezza di un sistema Paese è stato chiaro.

 

I cocci di Adriano

La follia di un sistema elettorale epilettico, che lascia a casa candidati con una marea di consensi per spalancare le porte del Parlamento a quelli messi in lista solo come riempitura, può essere un’occasione.

Per riflettere, eventualmente resettare, correggere, ripartire.

Adriano Piacentini adesso avrà l’incombenza di ricostruire una Forza Italia nella quale era chiaro da settimane che il ciclo di Mario Abbruzzese fosse arrivato ad un bivio. Perché:

  • il coordinatore regionale Claudio Fazzone gli ha tolto la guida provinciale del Partito nominando un nuovo coordinatore nella persona di Piacentini;
  • perché gli aveva imposto in lista Antonello Iannarilli per tentare di arginare il suo candidato Pasquale Ciacciarelli;
  • perché sulle candidature ha fatto capire che a Roma sono altri a giocare la palla.

Piacentini ora dovrà decidere come ridisegnare l’assetto di un Partito che in provincia di Frosinone rischia di essere salvinizzato (come previsto da Gianni Letta, inascoltato da Berlusconi). Non ha uno straccio di parlamentare mentre FdI e Lega qui ne hanno eletti tre.

Il primo passo sarà decidere il modello di governo interno al Partito: se conservare lo schema Abbruzzese con un pletorico coordinamento provinciale con sei vice più oltre 60 dirigenti e ciascuno con un incarico (finanche al fenomeno del randagismo: cosa abbia prodotto per il dibattito politico provinciale è ancora un mistero). Un metodo per spezzettare così tanto che tutti alla fine contano niente. E decide tutto uno soltanto.

Poi si dovrà decidere il ruolo interno per Mario Abbruzzese: se coinvolgerlo o riservargli lo stesso trattamento che lui ebbe cura di applicare ad Antonello Iannarilli (messo in condizione di togliersi dai piedi, isolandosi e annullandosi poco alla volta).

Piacentini dovrà decidere se il Partito vorrà intervenire sulle dinamiche locali oppure delegare in pieno ai singoli Comuni. Per essere chiari: l’alleato leghista Carmelo Palombo dovrà essere punito togliendogli la delega da vicesindaco di Cassino per essersi candidato contro Pasquale Ciacciarelli? Chi dovrà decidere: Cassino da sola oppure anche il provinciale darà un input al suo sindaco?

Si vorrà mettere mano alla divisione in bande che ha ridotto Sora ad essere incapace di eleggere un consigliere regionale per spianare così la strada della Pisana ad un candidato del M5S?

Il candidato sindaco di Anagni se lo sceglierà il circolo cittadino o Frosinone vorrà sentire Qualcuno?

Soprattutto: verrà lanciata la missione di recupero per chi non ha accettato il metodo Abbruzzese – Ciacciarelli ed è andato via? A Gianluca Quadrini, Antonello Iannarilli e tutti gli altri verranno riaperte le porte del Partito? O si lascerà andare tutti verso la Lega, come ha fatto Alessia Savo?

 

E quelli di Antonio

Non meno complessa la missione di Antonio Pompeo. Il suo momento è arrivato. Francesco Scalia ha detto che lascia i ruoli attivi del Pd e si mette a fare l’avvocato a tempo pieno.

Il presidente della Provincia ne è l’erede naturale. Sta lavorando da sempre in questa direzione. E nei mesi precedenti al voto ha intensificato le relazioni con i sindaci.

Il rompete le righe è stato drammatico. Un’intera anima del Pd si ritrova senza guida politica e strategica.

La prima missione di Pompeo è quella di riunire la componente, verificare chi resta e chi rinuncia. Individuare le figure giovani sulle quali puntare e ricostruire un’intera area di Partito.

Poi, portare il tutto al congresso per tentare di aprire un confronto con cui mettere fine alla guerra intestina che non ha mai fatto nascere in provincia un vero Pd.

 

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