Polvere di Cinque Stelle

Alle radici del tracollo pentastellato evidenziato dalle elezioni regionali abruzzesi: il calo dell’affluenza, quelli che hanno scelto di votare per la Lega o per il centrosinistra, il mancato radicamento sul territorio. E poi un conto è il “vaffa” dall’opposizione, un altro da posizioni di governo.

Quando si sono presentati erano il partito del “vaffa”. Dall’opposizione. La prima volta che sono entrati in Parlamento, nel 2013, volevano aprire Camera e Senato come fossero delle scatolette di tonno. Il Movimento Cinque Stelle era una formazione radicale.

Poi nel 2018 hanno vinto le elezioni, grazie anche alla leadership di quello più “rassicurante”, Luigi Di Maio. Hanno stipulato un “contratto di governo” con Matteo Salvini e immediatamente si è capito che il leader leghista li avrebbe “sbranati”.

Più forte sul piano della comunicazione, più spregiudicato nell’azione di governo, più abile a scegliere i tempi di immediato impatto mediatico (immigrazione e sicurezza). I Cinque Stelle invece hanno preferito dedicarsi all’economia. Dunque, siccome le condizioni economiche del Paese non sono migliorate, ma nettamente peggiorate, è evidente che siano loro a pagare lo “scotto” maggiore. Perché se è vero che il gradimento del Governo è sempre al 60%, le percentuali si sono sbilanciate a favore del Carroccio.

Per cercare di frenare l’emorragia è stato richiamato a gran voce Alessandro Di Battista, con il quale si sta cercando di inaugurare un’altra stagione. Quella del “vaffa” di Governo, delle parolacce nei confronti di Salvini. Nella speranza di tornare ad essere “radicali”. Da qui pure l’aver rispolverato le vecchie “crociate”, a partire da quella contro la Tav. Ma non funziona. In Abruzzo non ha funzionato. Vedremo in Sardegna. Vedremo ancora meglio alle europee.

Non funziona perché i Cinque Stelle, esattamente come tutte le altre forze politiche che sono andate al Governo, stanno applicando lo spoil system ovunque: televisione, economia, ministeri. Ovunque. Dunque, non possono dare la sensazione di essere “radicali”, duri e puri. Non funziona perché esperienze amministrative come quella della sindaca Virginia Raggi a Roma lasciano il segno negativamente. Non funziona perché una parte di elettorato ha votato per la Lega, un’altra per il centrosinistra. Non per il Pd, per il centrosinistra. Parliamo dell’Abruzzo.

Non funziona perché è tornata a salire la percentuale di chi ha disertato le urne, preferendo rimanere a casa. E proprio il calo dell’affluenza toglie benzina dal motore pentastellato. Non funziona perché sui territori il Movimento non esiste. Continuare a snobbare il radicamento nei Comuni alla lunga comporta problemi difficili da risolvere.

Perché un conto era il “vaffa” dall’opposizione. Altro discorso è il “vaffa” dai ministeri romani. E da Palazzo Chigi.