La strategia ‘civica’ di Zingaretti (e pure di Pompeo) che preoccupa il Pd renziano

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Non è un caso. La sfuriata di Antonio Pompeo durante il Direttivo dell’altra sera (leggi qui ‘Gli strilli di Pompeo: «Così ci rimaniamo sotto») è un ulteriore segnale. Che qualcosa si sta muovendo sotto la superficie apparentemente immobile del Pd.

La rotta  tracciata dall’ex premier ed ex presidente della Commissione Ue Romano Prodi potrebbe portare ad una rivoluzione del Partito Democratico. Riportandolo alla sua dimensione politica originaria: un Partito politico, che si candida a guidare le masse, governare i processi, pianificare lo sviluppo. Trainandolo fuori dalle secche del leaderismo berlusconiano innestato nel Pd da Matteo Renzi.

Il disegno prodiano è chiaro. Il profilo è quello dell’Ulivo: un’area di centro, alleata con una coalizione di centrosinistra ampia, nella quale ci sia Giuliano Pisapia magari con tutti i satelliti che hanno lasciato il Pd renziano non sentendolo più casa loro. Un’operazione che a Matteo Renzi non piace per niente: si sente assediato. Soprattutto perché Romano Prodi sta tentando di ricucire e riaggregare tutti quelli ai quali Renzi aveva detto di stare sereni: Enrico Letta, Carlo Calenda, la galassia di Pisapia.

Il Presidente della Provincia di Frosinone Antonio Pompeo si sta posizionando su un’orbita sempre meno schiacciata sul Pd. Sempre più amministrativa. Non è solo. E’ la stessa strategia messa in campo da Nicola Zingaretti alla Regione Lazio. Lo stesso solco sul quale, nell’altro fronte, si è mosso Nicola Ottaviani nel Comune di Frosinone. Con i risultati che si sono visti dieci giorni fa.

Da mesi Antonio Pompeo sta costruendo la sua rete di relazioni e di rapporti con i sindaci. Le decisioni le concorda con loro, cercando di avere un’impronta sempre più civica. Gli ultimi esempi in ordine di tempo sono le tematiche del lavoro, l’emergenza cinghiali e ora la crisi idrica.

Nell’ambito di questa strategia si è infittito il dialogo con il segretario provinciale del Pd Simone Costanzo. Un asse personale, nonostante appartengano a correnti differenti nel Partito (Pompeo sta con i renziani di Lotti sostenuti da Scalia, invece Costanzo sta con l’ala di Franceschini e Astorre).

Ad accomunarli c’è anche il fatto che rischiano di essere i due grandi esclusi di lusso dalla prossima giostra delle candidature, sia per le Politiche che per le Regionali. Proprio per i giochi ad incastro nei quali sono i loro leader a scegliere le mosse. Ma la scossa prodiana potrebbe rendere d’improvviso vecchio e superato questo modello. E rimettere al centro i sindaci, i presidenti delle Province, i governatori delle Regioni. In pieno ulivismo emersero in tutta la loro qualità personaggi come il professor Massimo Cacciari (all’epoca sindaco di Venezia), Sergio Chiamparino (sindaco di Torino), Pier Luigi Bersani (Governatore della Regione Emilia Romagna).

Non è un caso che il segnale lanciato da Antonio Pompeo vada nella stessa precisa lunghezza d’onda di quello emesso lunedì da Nicola Zingaretti nel corso della sua visita a Frosinone fatta lunedì scorso. Quel giorno, tra le altre cose ha detto «Bisognerebbe riservare più attenzione alla comunità locale. E un po’ meno alle correnti nazionali. I risultati sono sotto gli occhi di tutti». (leggi qui ‘La frusta di Zingaretti’). Una stoccata al Pd locale, in particolare.

Il Partito di Zingaretti è sempre più prodiano. (leggi qui). E se la missione di Romano Prodi dovesse riuscire a ricostruire la grande alleanza di centrosinistra come fu il primo Ulivo, Zingaretti potrebbe essere uno dei pilastri.

Antonio Pompeo lo ha capito.

 

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