Quando le strade le costruivano i Borbone: la Civita-Farnese

È una delle strade che percorriamo spesso. Molti non sanno perché nacque la Civita - Farnese. Chi la volle. E perché è un simbolo dell'efficienza dei Borbone: che la realizzarono in tempi record. E quei cippi accanto al tracciato...

Fernando Riccardi

Historia magistra vitae

Ferdinando Corradini, noto storico dell’Alta Terra di Lavoro, in un suo recente articolo così scrive: “A scuola ci hanno insegnato che l’attività prediletta dai re Borbone era quella di perseguitare i giacobini e i liberali. Nessuno ci ha mai detto, però, che le due strade principali che solcano il territorio del comune di Arce e che ancora oggi costituiscono gli assi principali del traffico veicolare le hanno costruite loro. E ciò nonostante che di tale attribuzione siano ancora ben visibili le testimonianze”.

La Consolare e la Civita – Farnese

Un tratto della Civita – Farnese

Scendendo più nei dettagli c’è da dire che l’una è la cosiddetta “Consolare”, fatta costruire sul finire del XVIII secolo dal re Ferdinando IV di Borbone per collegare Napoli, la capitale del Regno, con Sora, estremo versante settentrionale della provincia di Terra di Lavoro, passando per San Germano (l’odierna Cassino). Il cui tracciato, almeno in parecchi punti, va a coincidere con l’odierna Casilina.

L’altra, invece, è la “Civita-Farnese”. Ed è proprio su quest’ultima che vogliamo soffermarci. L’esigenza di creare un collegamento diretto tra Sora e Gaeta era avvertita da tempo. Fin dai primi decenni dell’Ottocento si stava studiando la possibilità di unire, attraverso una strada rotabile, i due capoluoghi di distretto. E ciò sia per favorire i traffici commerciali dall’entroterra al mare (e viceversa) ma anche per esigenze di natura militare, come quella di procedere al rapido spostamento di truppe e di artiglierie da un versante all’altro.

La via Appia nella zona costiera del litorale tirrenico e la via Latina all’interno (poi assorbita in larghi tratti dal percorso della “Consolare”), correvano parallele fino a Capua ma non avevano punti di collegamento diretti, ad eccezione di alcuni tratturi scomodi e sinuosi che erano percorribili, e con grande fatica, soltanto a piedi e non in tutti i periodi dell’anno.

Apre il Tracciolino

Angelika Kauffmann, Ritratto della famiglia di Ferdinando IV, 1783, olio su tela, Museo nazionale di Capodimonte

Nel 1836 il problema si avvia finalmente a risoluzione: in quell’anno, infatti, si aprì il “tracciolino” (ossia la prima traccia) di una strada che, partendo da San Germano (Cassino) e passando per Roccaguglielma (Esperia) e Fratte (Ausonia), potesse condurre a Gaeta e, quindi, al mare. Però la costruzione della “strada delle Alte per le Fratte”, così venne chiamata, che oggi ricalca il tracciato della superstrada a scorrimento veloce che da Cassino conduce al litorale tirrenico, si interrompe ben presto a causa di insanabili problemi tecnici (l’eccessiva pendenza di alcuni tratti) e di natura economica (occorreva una somma esorbitante alla quale le casse dello Stato non potevano far fronte).

Si dovette, quindi, ricorrere a un progetto diverso. E così si andò a rispolverare la vecchia idea di “rotabilizzareun antico sentiero già esistente che collegava, attraversando i crinali dei monti, Arce, San Giovanni Incarico e Itri. Un sentiero che, come poté constatare dopo accurato sopralluogo l’ingegnere Benedetto Lopez Suarez, ispettore dell’amministrazione generale dei Ponti e Strade, “era transitabile con cavalli e some e con piccoli carri”. In parole povere si trattava soltanto di allargare e di trasformare in strada quel tratturo, ricalcandone in gran parte il percorso, opera questa che fu affidata alla perizia dell’ingegnere Ferdinando Rocco.

Il Re vuole la strada

Re Ferdinando II delle Due Sicilie (Foto Alphonse Bernoud)

Il re Ferdinando II di Borbone spingeva molto in tale direzione affinché, come si legge in un carteggio conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, “si agevolassero i movimenti delle truppe lungo quella parte della frontiera”.

Nel 1850 il “tracciolino” della Arce – San Giovanni Incarico – Itri risultava aperto e venne subito utilizzato per il transito di truppe e reparti di artiglieria. La qualcosa, però, unitamente alle piogge, determinò ben presto la quasi totale rovina del sentiero. Insomma si rischiò seriamente che anche questo progetto naufragasse, come già accaduto qualche anno prima per la strada da San Germano a Gaeta, via Fratte.

Questa volta, però, fu lo stesso sovrano ad intervenire e ad ordinare che venissero ripresi e ultimati i lavori di costruzione della strada. Nel 1851, su progetto dell’ingegner Rocco, direttore delle opere pubbliche provinciali dei distretti di Sora e Gaeta, una vera autorità in materia, furono riparati i danni che il “tracciolino” aveva subito nei mesi precedenti e il sentiero venne definitivamente trasformato in strada rotabile.

Il nome Civita – Farnese

Il santuario della Civita ad Itri

Fu Ferdinando II a coniare il nome di “Civita-Farnese”. Lo fece in onore della Madonna della Civita, per la quale aveva una grande devozione. Il santuario di Itri che dominava dall’alto la parte finale della strada. E lo fece in onore della nobile famiglia dei Farnese. Che in passato aveva posseduto i feudi di Pico e San Giovanni Incarico i cui territori erano attraversati dal percorso della strada stessa.

Per decisione del Consiglio degli Ingegneri di Acque e Strade essa è considerata di seconda classe per tutte le caratteristiche tecniche della sua struttura”. Lo scrive in un bellissimo saggio il compianto professor Aldo Di Biasio. “Generalmente a lieve schiena d’asino e con dolci pendenze longitudinali, che non superano mai il 5%, neanche nei tronchi più difficili. Viene costruita a tetto nei tratti a mezza costa. È provvista, a seconda del suo profilo trasversale, di uno o due fossi di scolo laterali e di uno o due passeggiatoi”.

Il capostrada, per lo più senza ossatura, è largo 16 palmi (1 palmo = 0,264 metri), oltre i passeggiatoi, le scarpe ed i fossi laterali. Già nel marzo del 1853 risulta riaperto integralmente il tracciolino con una larghezza di 8-10 palmi. I lavori procedono con tale celerità che la strada è aperta al transito delle vetture a ruote da Itri fino allo sbocco sulla traversa di Ceprano nel mese di maggio 1855”.

Lavori in tempi da record

Per completare quella strada lunga 25 miglia napoletane (poco più di 46 km) quanto tempo fu necessario? Bisogna considerare che correva, come si può constatare ancora oggi, attraverso un territorio aspro e montuoso. Un’area con gravi problemi tecnici da risolvere, specie per ciò che concerneva la pendenza che doveva essere mantenuta sempre entro livelli accettabili. Ad esempio, non doveva mai essere oltre il 5% per non  mettere in difficoltà i carri trainati dalle bestie.

Quanto si impiego? Soltanto due anni. Un vero record per quei tempi. Ma anche ai giorni nostri, se solo si pensa alle lungaggini infinite che continuano ad affliggere la Salerno-Reggio Calabria…

La “Civita-Farnese” (oggi strada statale 82 “Valle del Liri”), fu alberata e dotata di “colonnette miliari”. Alcune sono ancora presenti sul ciglio della strada. Una di queste, chiamata “miglione” per le sue dimensioni gigantesche, si trova nel tratto tra San Giovanni Incarico e Pico. Segna il punto di equidistanza dalla capitale del Regno, ossia Napoli. Reca, infatti, ancora ben visibile incisa sul dorso la seguente iscrizione: “Da Napoli per Itri o per Arce sono miglia 71 e 3/7”.

Chissà se leggendo queste note e facendo paragoni con situazioni odierne, qualcuno avrà ancora voglia di fare ironia spicciola sulla proverbiale “inefficienza” della regia amministrazione borbonica…