
Il 22 marzo del 1983, esattamente quarant’anni fa, il record di Mennea a Cassino. In città era allievo dell'Isef e Formia fu la base da cui preparò molti dei suoi record. Ci lasciò il 21 marzo 2013
Per battere i record stellari di Pietro Mennea c’è voluto tempo, tanto tempo. E con esso il progredire quasi biologico della specie umana in ordine alle sue prestazioni atletiche. Per dirla tutta Mennea era uno che lo scalzavi dal podio e dagli almanacchi solo con quei salti generazionali che oggi ci fanno pensare a Carl Lewis: spodestato si, ma da Usain Bolt. Che quando Lewis vinceva si sbucciava le ginocchia in giardino col moccio pendulo dal naso.
Perché l’atletica è così e noi italiani calciofili marci ce lo dovremmo ricordare ogni tanto: è fatta di uomini che sfidano tempo e misure. Uomini che a volte lo fanno in progressione di generazioni e uomini che a volte, rare volte, lo fanno perché sono speciali. E prima ancora degli avversari bruciano il Tempo. E che Mennea fosse nel novero di quelli che sono nati in un futuro del tutto distopico dal presente in cui vivono, si sposano e pagano bollette, lo si era capito subito.
La sfida per il cinema

Su di lui circola un leggenda che pare leggenda non fosse: una volta, da ragazzino, per pagarsi il biglietto del cinema nella sua Barletta, il tipo sfidò sui 50 metri una Porche ed un’Alfa. E pare vinse. Il prezzo di quella vittoria? Un podio di vertice per guardare un film ed un panino da sbriciolare fra primo e secondo tempo.
Ma il bello di Mennea è che a lui la gloria del mito non serviva, le iperboli da narrazione ex post potevano solo aggiungere conferme a quello che Pietro aveva fatto vedere: le sue corse, le sue partenze slow e le sue progressioni micidiali che portavano primi certissimi a ritrovarsi barzotti e secondi a chiedersi come avesse fatto quella freccia a riprenderli dopo i blocchi.
Pochi ricordano che fra i record di Mennea, erosi solo dal tempo. Ce n’è uno che ancora resiste e splende spavaldissimo e quel record lui lo fece a Cassino: il 22 marzo del 1983, esattamente quarant’anni fa, sui 150 metri piani fece un 14” 8 che ancora tiene, a contare che Usain Bolt fece di meglio a Manchester ma su una pista che non curvava. D’altronde la Freccia del Sud, con quel nomignolo azzeccatissimo che evocava un treno dalla Sicilia a Milano, con il Cassinate ed il Pontino aveva molto di più che un rapporto occasionale, di quelli che mandano in brodo di giuggiole cronisti e notabilati locali solo perché uno famoso una volta magari prese un caffè nel bar giusto e ne disse due cordiali al ragazzo di bottega.
Mennea tra Cassino e Formia

Mennea era studente dell’Isef di Cassino e sotto la guida di quel marchigiano matto di Carlo Vittori usò Formia come avrebbe usato i blocchi di partenza a Mosca: lenti in start ma già pieni dell’energia marziana che a metà corsa lo portava a mettere la freccia su chiunque. Ed essere la Freccia per tutti. Pietro era così: sui primi 20 metri non gli davi un’oncia di possibilità e i primi due scattati a razzo pigiavano come matti. Partivano lepri ed avevano il tempo di acconciare quella metronomia perfetta gambe-braccia alternate che percuote l’aria con il canto della vittoria imminente.
Il ghigno stirato dello sforzo iniziava quasi a distendersi nel sorriso sornione e trattenuto della vittoria, i piedi pompavano sicuri e il filo del traguardo ti veniva incontro come una Nike benevola. Poi, dalle parti dei maledetti 60 metri, il mondo cambiava come quando stai per uscire da un campo minato e pesti l’ultima, maledetta ceffa al margine estremo: poi senti il “ka-boom”.
Pietro Mennea aumentava la progressione e letteralmente lo vedevi scorrere avanti di un quadrante spaziale e mezzo, come un cambio di inquadratura al cinema. In spregio delle leggi della fisica, ti arrivava alle spalle e, maledetto lui, ti affiancava e ti superava. Per lo più finiva così: con gli avversari allocchiti a guardare il culo di uno di cui avevano dimenticato perfino la faccia e quella canotta azzurra che fischiava al vento delle cose impossibili. Non c’era spiegazione, semplicemente succedeva.
La favola di Mennea

La favola bella di Pietro Mennea non passò solo per l’oro di Mosca e per un 19” 72 sui 200 metri piani che ebbe il tempo di invecchiare 17 anni a livello mondiale e che ancora oggi è spauracchio europeo da battere: lui fece politica, portò avanti lotte e si fregiò di titoli accademici oltre che iridati.
Ma il serto bellissimo che Mennea ci ha lasciato quando dieci anni fa decise di andare a strapazzare i cherubini è e resta quello di un atleta insuperato, uno di quelli che del mondo fanno la storia e non in capitolo da quattro paginette a margine. Dieci anni fa, il 21 marzo del 2013 Pietro Mennea si stancò di gareggiare con gli uomini e andò a sfidare entità più adatte ai suoi piedi volanti: 19” 72 da nuvola a nuvola.
E i cherubini muti.