Quei numeri che è meglio conoscere per tarare la bussola

Viviamo con convinzioni sbagliate. Su temi fondamentali per il nostro futuro. Lo dicono i numeri del Fondo Monetario Internazionale. Che conferma le analisi del vescovo Spreafico di Frosinone e del direttore della Caritas, Toti. Ecco quali

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

C’è una bussola in ognuno di noi. Con un Nord ed un Sud: le cose giuste da fare per crescere, le cose sbagliate da non fare. Ci sono cose diverse in ciascuno, su quei due punti cardinali: a stabilirle sono le esperienze che facciamo, il luogo in cui siamo, il tempo da cui partiamo.

Per capirci: chi oggi ha cinquant’anni viene da una Terra che non raggiungeva i 4 miliardi di abitanti, dominata dalle superpotenze Usa e Urss impegnate a controbilanciarsi. Nella quale la Cina era una sterminata landa ridotta alla fame da Mao e l’India un esotico ex protettorato britannico. Dal Giappone arrivavano le radioline a transistor ed i modelli di auto erano sempre gli stessi per anni. A Frosinone le fogne non raggiungevano tutte le case di periferia, il telefono non stava in tutte le case, un posto di lavoro in fabbrica c’era per tutti.

Un mondo diverso per chi oggi a vent’anni ed è nato a cavallo tra i due millenni. I dieci miliardi di abitanti della Terra da sfamare nel 2050 per loro sono una normalità, le Superpotenze le avranno incontrate al massimo in un gioco della Playstation, vivono interconnessi e se poggiano il pollice su un disegno verde possono parlare e vedrai con chiunque nel mondo: altro che le telefonate una volta a settimana con la Sardegna prenotandole al centralino della Italcable che aveva steso un cavo sottomarino per consentire un maggior numero di comunicazioni.

Se vogliamo capire dove dobbiamo andare è necessario aggiornare la bussola. Magari con i dati del Fondo Monetario Internazionale pubblicati proprio in queste ore. Ci aiutano a comprendere ciò che da mesi il direttore della Caritas di Frosinone Marco Toti ed il vescovo Ambrogio Spreafico stanno cercando di dirci da mesi. E cioè che il mondo sotto i nostri occhi è come la luce delle stelle: la vediamo, ci illumina, in realtà però ha compiuto un viaggio talmente lungo che l’astro che l’ha originata nel frattempo potrebbe essere morto.

Un altro esempio per capirci. I migranti dei quali ci stiamo tanto preoccupando oggi. Stiamo interpretando la questione usando modelli e convinzioni da bussola vecchia e starata.

I numeri del Fondo Monetario Internazionale dicono che l’Africa del Nord crescerà attorno al 2%, l’area sub-sahariana crescerà del 3,5%. In quell’area ci sono 10 delle prime 20 economie mondiali con il più alto tasso di sviluppo. Un terzo della regione ha un tasso di sviluppo superiore al 5%. Il numero di cellulari ogni 100 persone è passato da 1,7 (anno 2000) a 78 (anno 2018). Ed i risultati sarebbero stati ancora più alti se non ci fosse stato il calo nei prezzi del petrolio che ha colpito Nigeria e Angola.

Crescono a velocità impressionanti Paesi come il Rwanda. Di Aphrodice Mutangana avevamo parlato l’estate scorsa. (leggi qui Quelli che guardano alla Diciotti e non vedono i dazi per le auto Fca fatte a Cassino). Spiegando che sta guidando una radicale trasformazione fatta di innovazione tecnologica e sociale. Oggi in Rwanda usano i droni per trasportare sangue e medicinali evitando il traffico. A Frosinone? O nella evolutissima Milano? La rivoluzione è così radicale che partendo dal Rwanda sta cambiando faccia ad ampie zone dell’Africa. È il caso della Costa d’Avorio, dove i droni li usano per controllare a distanza le piantagioni. Ricordate la pubblicità Findus di qualche anno fa? Tanzania e Mali crescono sulla stessa rotta. I Millenials, i ragazzi nati nel nuovo millennio, se ne staranno a casa loro in Africa e noi saremo un mondo decaduto che andrà avanti con le briciole.

Dell’Etiopia avevamo parlato a luglio, raccontando che era stata firmata la fine dello ‘stato di guerra’ con l’Eritrea. A noi ci riguarda intanto perché buona parte dei migranti sotto protezione fuggivano dall’Eritrea militarizzata dal suo padre e padrone Isaias Afewerki, imponendo a tutti la leva permanente, cancellando l’opposizione politica. Scappavano da una guerra permanente alla quale erano obbligati. E dalle carceri politiche. Ora hanno due motivi in meno per scappare. E infatti ne scappano meno.

Altro elemento da considerare. Il primo ministro d’Etiopia Abi Ahmed Ali, l’altro giorno è venuto a Roma: non cerca soldi ma tecnologia. Per crescere di più e più in fretta. Il denaro non gli serve perché su quell’area stanno pompando miliardi i grandi investitori internazionali. In primis la Cina che ha già puntato 143 miliardi: in opere pubbliche e tecnologie. Altro denaro fresco poi gli sta entrando allo stesso modo in cui avvenne per l’Italia negli anni Cinquanta: con le rimesse degli emigrati che mandano i soldi alla famiglia.

Le grandi infrastrutture non servono più. I cellulari hanno eliminato la necessità di avere le reti telefoniche a filo. L’energia elettrica ricavata da pannelli solari ha consentito la realizzazione di micro reti con le quali alimentare interi gruppi di paesi, con i loro computer ed i loro laboratori di ricerca.

Oggi scappano i disperati. E sono ancora tanti. Con una disperazione immensa se arrivano ad affrontare viaggi che nel loro programma da pacchia prevedono le torture, gli stupri, la detenzione nei centri pagati con i nostri soldi alla Libia.

Tra poche decine di anni non scapperanno più. Per lo stesso motivo che ha impedito la fuga in massa dei cinesi o degli indiani: la loro popolazione si è moltiplicata in breve tempo ma hanno costruito un’economia che ha trattenuto in Patria quella massa enorme di persone.

Proprio per questo è da imbecilli sostenere che ‘non possiamo finanziare un piano Marshall perché abbiamo prima gli italiani da sistemare‘, come scritto da qualche esponente leghista della provincia di Frosinone a commento di uno dei nostri post. Sostenere questo significa non capire che tra poco tempo sarà anche l’Africa uno dei mondi sui quali poggerà la nostra economia, la nostra sopravvivenza.

Dobbiamo esserci oggi. In tutti i mondi possibili. Così come sta facendo la Cina ed i grandi finanzieri mondiali che stanno credendo nella crescita dell’Africa. Se fermeremo la nostra attenzione solo al problema della Sea Watch ci saremmo persi il vero nocciolo della questione. E cioè che la vicinissima Africa tra non molto sarà un pilastro dell’economia.