Quel paese distrutto per esigenze cinematografiche

Il paese risparmiato dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale. E distrutto per esigenze cinematografiche

Fernando Riccardi

Historia magistra vitae

Il 4 giugno del 1944, dopo mesi di stallo nella piana di Cassino davanti a quella Linea Gustav capace di arrestare l’incedere della ridondante macchina da guerra anglo-americana, le avanguardie della V armata statunitense del generale Clark facevano il loro ingresso a Roma.

Solo pochi giorni prima le truppe americane si erano ricongiunte con i connazionali sbarcati già da tempo (22 gennaio) in quel di Anzio per chiudere in una morsa inesorabile l’esercito tedesco, fermo sul fronte di Cassino. E invece la manovra, malgrado il generoso impiego di uomini e di mezzi, non riuscì. Per percorrere un centinaio di chilometri s’impiegarono più di quattro mesi.

La guerra s’impantanò nel Lazio meridionale portando inesorabile il suo pesante fardello di distruzione e di morte.

La strenua resistenza dei crucchi

Il 15 febbraio cessò di esistere persino la millenaria abbazia di Montecassino ridotta in macerie da un devastante bombardamento alleato. Un atto scellerato, un’offesa gravissima alla civiltà e alla storia, un crimine di guerra rimasto impunito. Ma, soprattutto, un’azione inutile e dannosa visto che le rovine del monastero consentirono ai parà tedeschi di contrastare nel migliore dei modi gli assalitori.

Lo stesso accadde un mese dopo quando un nugolo di bombe polverizzò la città di Cassino trasformandola in una massa informe di buche e di voragini, con i mezzi corazzati statunitensi fermi desolatamente al palo. Poi, come Dio volle, gli alleati si decisero a lasciare il cassinate al suo triste destino anche perché, nel frattempo, i tedeschi avevano tolto le tende e si erano ritirati verso nord. La portentosa manovra a tenaglia aveva fatto fiasco.

Ad Anzio gli americani non si erano schiodati dal bagnasciuga mentre a Cassino un esiguo ma agguerrito manipolo di “crucchi” aveva trattenuto a lungo una poderosa armata. Con buona pace del comando alleato che aveva collezionato un’altra perla. I tedeschi, invece, avevano raggiunto il loro scopo: ritardare il più possibile l’avanzata dei nemici.

I liberatori invadenti

Chi ci aveva rimesso le penne era stata, come al solito, la popolazione locale costretta a vivere a ridosso di un fronte che non si muoveva, che restava fermo lì, immobile, con tutto il suo immane carico di tragedie individuali e collettive. E quando sembrava che la “nuttata” fosse ormai passata, arrivarono i “liberatori” sotto le sembianze di rudi goumiers del nordafrica, con tanto di turbante, mantello e pugnale ricurvo, che molto si adoperarono per rendere ancora più cupa la tragedia.

Agli inizi del giugno 1944, comunque, in tutta quella porzione di Penisola a sud di Roma, le ostilità erano finite già da un pezzo. Si cercava faticosamente di tornare alla normalità tra angoscia opprimente e difficoltà inenarrabili. Anche Castelnuovo al Volturno, piccola frazione di Rocchetta, adagiata a 700 metri di altezza sul versante molisano delle Mainarde, cercava di dimenticare il buio della guerra. Guerra che, tutto sommato, non era stata così nefasta. Pochi danni alle abitazioni causati da qualche sporadica cannonata nei giorni più caldi del conflitto ma niente di più.

Il 5 di giugno, però, accadeva qualcosa di strano. Un ufficiale inglese si recò a parlare con il sindaco e gli comunicò che il paese doveva essere evacuato per procedere ad una disinfestazione. Nel breve volgere di poche ore i cittadini furono caricati sui camion militari e trasferiti nella vicina Rocchetta al Volturno.

Il paese bombardato

E pensare che molti, anzi, quasi tutti, erano tornati a casa dalle montagne dove si erano rifugiati soltanto pochi giorni prima. Ma anche questa breve parentesi sarebbe passata in fretta. Almeno così pensavano. E invece i giorni trascorrevano e di tornare in paese non se ne parlava.

Chi tentava di avvicinarsi a Castelnuovo era prontamente allontanato dai soldati che avevano bloccato tutte le vie di accesso. Non poteva sfuggire, però, all’occhio vigile della gente del posto il frenetico movimento di truppe di tutte le nazionalità che in quei giorni si aggiravano per il borgo. Qualcuno credette addirittura di scorgere un plotone di tedeschi ma fu subito ritenuto vittima di allucinazioni.

Poi venne il 17 di giugno. Alle prime luci del giorno si levò possente un frastuono di cannonate dirette verso il cuore del paese. I cittadini da Rocchetta, attoniti, increduli e sbigottiti, guardavano il centro abitato di Castelnuovo che cadeva a pezzi. Le artiglierie alleate demolirono una casa dopo l’altra fino a che non restò che un cumulo informe di pietre. Il tutto mentre un aereo, dall’alto, osservava e filmava attentamente quella scena irreale. Il borgo che la guerra aveva risparmiato non esisteva più.

Il film di successo

Non credevamo ai nostri occhi – racconta il maestro Ettore Rufo che poi fu vice sindaco di Rocchetta – : sotto i colpi di cannone delle batteria da montagna il nostro paese stava crollando tra nuvole di calcinacci, crepitio di armi, rombi di carri armati. Vedemmo il campanile della chiesa troncato a metà da una cannonata rovinare giù”.

Finito il bombardamento i soldati sparirono in un battibaleno, il cordone di isolamento fu tolto e tutto ritornò come prima. Solo che Castelnuovo non esisteva più.

Per mesi e mesi i suoi abitanti, stabilitisi definitivamente a Rocchetta, almeno quelli che non erano emigrati oltre Oceano, stettero lì a domandarsi il perché di tale inaudito gesto da parte degli anglo-americani. Si chiedevano, soprattutto, perché gli alleati avevano punito in maniera così crudele una comunità che non aveva fatto male a una mosca.

Il tempo, però, pian piano, rimarginò anche quelle dolorose ferite. Certo i dubbi restavano ma ormai nessuno più pensava a quell’incredibile arcano.

La soluzione al cinema

Ma un bel giorno uno di quelli che aveva lasciato il paese e si era trasferito in America, per puro caso, fece una sensazionale scoperta. Nelle sale cinematografiche di Filadelfia, Boston, Chicago e Los Angeles, stava riscuotendo grande successo un film-documentario sulla seconda guerra mondiale. Una delle sequenze più spettacolari era, udite udite, la “battaglia di Castelnuovo, imprendibile caposaldo tedesco, conquistato dalle truppe corazzate e dai fanti dell’VIII Armata”. Adesso, finalmente, tutto era chiaro. Gli alleati avevano distrutto Castelnuovo per una pura esigenza cinematografica.

Dovevano simulare un combattimento che fosse il più realistico possibile e così non avevano esitato a bombardare le case e a radere al suolo il paese. E pazienza, poi, se al posto dei tedeschi erano state impiegate delle comparse. Lo spettacolo era perfettamente riuscito e quegli ingenui contadini molisani non si erano accorti di nulla.

Perché preoccuparsi, infine, di un pugno di povere case distrutte? Ne avrebbero costruite di più belle e di più nuove, utilizzando, magari, … i danni di guerra. E poi, in ultima analisi, una scappatoia si poteva sempre trovare: bastava far circolare la voce che responsabili della distruzione di Castelnuovo erano stati i teutonici cattivi che non avevano avuto rispetto per niente e per nessuno.

E così un’altra panzana sarebbe diventata un’inconfutabile verità. Si doveva soltanto battere a dovere la grancassa e il gioco era bello che fatto. Peccato, però, che il trucco fu scoperto. Proprio come quello che per un certo periodo di tempo, subito dopo la guerra, aveva cercato di gettare sul groppone dei tedeschi anche la responsabilità della distruzione dell’abbazia di Montecassino. Tentativo miseramente fallito. Le bugie, del resto, da che mondo è mondo, hanno sempre avuto le gambe corte.