Quel populismo ecologista che ostacola gli inceneritori

La sconcertante ripetitività la crisi dell’immondizia capitolina ci pone di fronte ad una domanda. Come mai i rifiuti sono oro per gran parte del mondo civilizzato e da Roma in giù si mutano in pestilenza? Le rivolte spesso fomentate dalle mafie dei rifiuti. le responsabilità divise tra tutte le amministrazioni

di Goffredo BUCCINI per IL CORRIERE DELLA SERA

Non fatevi ingannare dal gergo esoterico. Tritovagliatori, impianti Tmb e cabale varie sulle quote di differenziata servono solo a nascondervi l’unica domanda essenziale: come mai i rifiuti sono oro per gran parte del mondo civilizzato e da Roma in giù si mutano in pestilenza ricorrente? Già, perché ha ormai una sconcertante ripetitività la crisi dell’immondizia capitolina che, certificata ieri dalla preoccupata lettera dell’Ordine dei medici alle istituzioni (miasmi e percolati assortiti possono fare da miccia a qualsiasi infezione), era stata preannunciata ai romani dal loro stesso olfatto, rassegnato ma non ancora assuefatto a tanta vergogna.


Questo afrore di putrefazione che, salendo da cassonetti simili a bocche infernali, affratella Torre Maura coi Parioli e cresce in ragione di 300 tonnellate al giorno lasciate a cuocere in terra, non ha similitudini in Europa. E infatti la città di Virginia Raggi è maglia nera tra le capitali europee nella gestione (per così dire) dei rifiuti.

Ma la verità è altra ancora: Roma è a sua volta capitale disgraziatamente simbolica di un pezzo d’Italia (dalla Campania fino alla Sicilia) dove si sotterrano molto i rifiuti indifferenziati e si avversano gli inceneritori («non c’entrano una beneamata ceppa», ebbe a dire Luigi Di Maio, capo politico della Raggi, a un Matteo Salvini che proponeva di costruirne al Sud).

Al Nord sono installati due terzi degli inceneritori italiani. Come la sciasciana linea della palma, la linea della mondezza sale fino alla Capitale a separare due visioni opposte. 

Perché, certo, lo scandalo romano ha specificità antiche e recenti. Per 40 anni la mala politica ha usato al peggio la discarica di Manlio Cerroni a Malagrotta sotterrandovi, assieme a 45 milioni di tonnellate di spazza-tura (un pianeta…), la fatica di decidere. La Raggi ha ereditato una grana enorme, ma ha peggiorato le cose con una inadeguatezza al cimento nella cosa pubblica che l’ha fatta precipitare nel consenso dei romani.

I rimpalli di competenze con la Regione di Nicola Zingaretti fanno il resto. 
Ma il vero problema, che prescinde ampiamente dalla sindaca, sta nel populismo ecologista. Nella sindrome Nimby (non nel mio cortile) che paralizza amministratori fragili e poco responsabili di fronte a rivolte spesso fomentate dalle mafie dei rifiuti; e ostacola ciò che nel Nord Europa è routine: inceneritori che non inquinino, producendo energia e dunque valore (Spittelau, nel centro di Vienna, è anche attrazione turistica).

Se la mondezza è metafora della disunità nazionale, Roma guida tristemente il pezzo d’Italia che sta andando alla deriva.

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