Quel treno della storia che da noi non ha fatto tappa

Il treno della storia non ha fatto tappa nel sud del Lazio. Nelle province di Frosinone e di Latina nessuno ha ascoltato il celebre intervento di Luciano Violante che invitava a fare i conti con il passato

Andrea Apruzzese

Inter sidera versor

Eventi culturali, celebrazioni nazionali, convegni, rievocazioni storiche. Che si trasformano come per magia in appuntamenti di campagna elettorale. E si resta peplessi. È accaduto, continua a accadere. Tanto in provincia di Frosinone quanto in provincia di Latina, dove è ormai entrata nel vivo la campagna elettorale per le amministrative del 14 e 15 maggio.

Tutto in barba ad un principio. Quello sancito nella prima stesura della Par Condicio: secondo il quale non dovevano tenersi inaugurazioni nei trenta giorni precedenti il voto. Poi qualcuno ha sollevato la questione. Domandando: perché no? E non c’è stato chi abbia saputo rispondere: tanto da destra quanto da sinistra. Così succede che un evento apparentemente culturale di rievocazione storica, diventi il centri di un evento politico. Come l’arrivo a Latina, sabato, della “littorina”.

È un antico treno che decine e decine di anni fa ha fatto del trasporto ferroviario un mezzo di unione del Paese e di movimento di migliaia di persone. Restaurato in tutto la sua lignea bellezza ha visto la partecipazione in massa di esponenti di una parte politica di centrodestra, candidati consiglieri di quel Partito, nonché della stessa candidata sindaco di quella coalizione. Che ha anche inviato un comunicato stampa inerente.

Come il 25 aprile

Foto: Marco Cremonesi © Imagoeconomica

Ma era accaduto anche il 25 aprile, festa della Liberazione, una data cui si fa risalire la vittoria sul nazifascismo, la fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia. E la nascita stessa del nuovo assetto democratico del Paese. Bizzarro il fatto che quel giorno entrambi gli schieramenti, centrodestra da un lato e progressisti dall’altro, si siano recati – separatamente, s’intende – al Monumento ai Caduti di tutte le guerre, per deporre le tradizionali corone, per osservare un minuto di silenzio e per celebrare la ricorrenza. Eventi che dovrebbero essere super partes, anzi, istituzionali, da cui la campagna elettorale si sarebbe dovuta tenere distante.

La Festa della Liberazione, la celebrazione della ricorrenza del 25 aprile nasceva come data di ritrovata unità del popolo italiano dopo la violenta e sanguinosa guerra civile che tra il 1943 e il 1945 aveva visto combattere su opposti fronti italiani contro italiani. Una festa per chiudere una pagina sanguinaria e riaprirne un’altra, di un futuro unito su un territorio ritrovato.

Una data che però, soprattutto in periodo di campagna elettorale, continua a essere divisiva per alcuni fronti. Ed appare allora ancora non ascoltato l’appello di molti a superare le divisioni, soprattutto quello, accorato, pronunciato ormai 28 anni fa, da Luciano Violante nel suo discorso di insediamento come presidente della Camera dei Deputati.

Il discorso di Violante

Luciano Violante (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Uno, in particolare, il passaggio di quel discorso del 9 maggio 1996: «Mi chiedo – affermò allora Violante – se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione, o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti. Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà».

«Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la Liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema, comunemente condiviso, ci potranno essere tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni».

La distinzione necessaria

Una distinzione necessaria, tra chi combatté dalla parte della democrazia e della libertà versando il proprio sangue in nome del futuro di una nuova Italia e di una nuova Europa, e chi invece si schierò dalla parte sbagliata della storia, quella della dittatura, della negazione dei diritti, e morì credendo fortemente in una ideologia.

Ma occorre oggi all’Italia accorgersi di essere un popolo solo, unico, pur nelle diverse opinioni. Diversità che devono essere arricchimento reciproco e non condanna a un passato, oggi da superare.

Da quel 1945 sono trascorsi ormai 78 anni, ma le campagne elettorali sembrano non essersene ancora accorte.

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