Quindici anni per non avere Giustizia

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Sono stati necessari tredici anni per venire a capo della disputa tra Comune di Cassino ed Acea per il controllo degli impianti cittadini. Non sono bastati finora quattro anni di ulteriori scontri nelle aule giudiziarie per riuscire ad applicare quella sentenza.

Quindici anni per non fare Giustizia. Anzi. Dopo la mossa compiuta ieri dal sindaco Carlo Maria D’Alessandro (leggi qui il precedente) che ha messo a disposizione gli impianti ma ha negato ad Acea l’acqua cittadina, la palla rischia di tornare a centrocampo.

Non importa chia abbia torto e chi ragione. Non in questo ragionamento. A prescindere da chi abbia il diritto di avere e gestire l’acqua e gli impianti idrici di Cassino il vero scandalo è che quindici anni non siano stati necessari per dare Giustizia. Al Comune di Cassino o ad Acea.

Uno dei due, forse entrambi, stanno subendo un torto. Più o meno da quando ancora pagavamo in lire, Boris Nikolaevič Eltsin era presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin era un oscuro colonnello dei servizi post sovietici, in Italia Romano Prodi stava lasciando l’idea di ricandidarsi alla presidenza del Consiglio appena perduta e veniva eletto invece alla guida della Commissione Europea.

Ere geologiche fa. Non si investe in un Paese dove la Giustizia non funziona, non si portano i propri capitali a rischiare di sparire in un buco nero di burocrazia e cavilli contro i quali negli anni Cinquanta si scagliava il governatore centrale Guido Carli: gli hanno intitolato la Luiss ma le paludi burocratiche che lui aveva rappresentato con i proverbiali lacci e lacciuoli sono ancora lì.

L’Ato viene costituito nel 96, il contratto con Acea è del 2003, la disputa per gli impianti è immediata, dal 2012 passa nelle aule di Giustizia. Qui chi ci sta rimettendo più di tutti non sono né Acea né il Comune di Cassino: è lo Stato che ci sta perdendo la faccia.

Per informazioni chiedere all’ex presidente della Provincia Giuseppe Patrizi. E’ una commedia del grottesco il capo d’imputazione con cui viene disposto il processo per avere gestito le autorizzazioni in materia di ambiente rilasciate durante il suo mandato.

Due le perle. Viene accusato di avere nominato un dirigente ma non poteva farlo. Lui risponde: avevo centinaia di pratiche ferme, gli industriali che minacciavano di spostare gli investimenti su altri stabilimenti facendo perdere posti di lavoro, nessuno mi chiedeva piaceri ma solo di esaminare le pratiche. E l’ho fatto fare. Ci ha guadagnato qualcosa? Migliaia di pagine d’inchiesta non hanno trovato un centesimo che gli sia stato dato da qualcuno. Ma la nomina, burocraticamente, non la poteva fare.

L’altra perla è l’autorizzazione concessa ad un impianto di scarico. L’industria deposita la richiesta in Provincia, che di fronte ai volumi sviluppati dalla fabbrica ritiene sia il caso di mandare per competenza il fascicolo in Regione; ma a Roma lo rimandano a Frosinone perché dicono ‘leggete bene, la competenza è vostra’. In Provincia procedono. Patrizi finisce sotto processo per avere dato quell’autorizzazione in quanto – per i magistrati – la competenza era della Regione.

Volendo ce n’è una terza. Sempre Patrizi e sempre l’ambiente. Un’azienda chiede l’autorizzazione, la Provincia la concede, la Forestale apre un’inchiesta, la Provincia nel dubbio ritira l’autorizzazione; ma l’azienda fa causa davanti al tar e la Provincia viene condannata a dare l’autorizzazione che aveva già dato ma che aveva ritirato dopo l’intervento della Forestale.

Se siete un imprenditore e volete investire in provincia di Frosinone i vostri soldi, prima di telefonare al presidente Davide Papa per avere informazioni, leggetevi bene le righe qui sopra.

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