Rifiuti, gli industriali individuano 4 criticità. E non sono i soli a farlo

Foto © Stefano Carofei / Imagoeconomica

La Regione Lazio spedisce in commissione il Piano dei Rifiuti. Che piace ma non esalta. Perché non osa abbastanza. Su compostaggio, termovalorizzatori e utilizzo dei privati. Le pulci di Ricci (Unindustria) e Pelosi (Legacoop).

Escludere a priori l’idea della termovalorizzazione è un errore. Perché farlo significa usare la pregiudiziale sbagliata. Quella che non lascia spazio a vie green che in altri Paesi hanno prodotto risultati. E utili. Massimiliano Ricci è il direttore di Unindustria sull’area della provincia di Frosinone: quella più esposta sul fronte dei rifiuti. È stato lui nelle ore scorse a spiegare alla Regione Lazio un ciclo in cui si passa dalla puzza della ‘monnezza’ all’odore dei soldi che questo nuovo El Dorado puo’ produrre.

Mentre Massimo Pelosi, vice presidente di Legacoop Lazio ha aggiunto che quei risultati e quegli utili passano per voci che la Regione Lazio non può ignorare. Compostaggio, differenziata in percentuali superiori alle attuali, fiducia nelle realtà private oneste e competenti.

I due dirigenti ne hanno parlato di fronte alla Commissione Regionale che sta mettendo a punto il nuovo piano che regolerà il ciclo dei rifiuti nel Lazio per i prossimi anni. Entrambi hanno detto cose non scontate e non banali.

Unindustria: buono l’insieme ma…

Massimiliano Ricci, direttore di Unindustria Frosinone

Per Unindustria in particolare ci sono “quattro criticità” nella proposta di piano regionale dei rifiuti avanzata dalla Giunta del Lazio.

Ad evidenziarle alla Commissione è stato Massimiliano Ricci. Che apprezza l’insieme ma senza omettere qualche perplessità di sistema.

«Abbiamo molto apprezzato l’impostazione generale della proposta di piano. Un lavoro ben fatto analiticamente. Un lavoro che entra nel merito delle questioni e dà informazioni difficili da trovare per gli operatori. Abbiamo favorevolmente recepito alcuni passaggi, come il concetto di autosufficienza dell’Ato di Roma che ha portato all’avvio della discarica. Però ci sono quattro criticità che avevamo già riportato nelle osservazioni inviate in Regione. Lo avevamo fatto in occasione della valutazione ambientale strategica».

Rilievo uno: la Fabbrica ed i tempi

Daniele Fortini, amministratore di Lazio Ambiente Foto © Imagoeconomica / Paola Onofri

Ricci conosce il tallone d’Achille della tematica e punta quello. Il tallone è il tempo. «La prima è relativa al ‘regime transitorio’. Il piano in approvazione ha obiettivi assai sfidanti e ambiziosi. Uno su tutti il 70% di raccolta differenziata, ma oggi siamo al 47%. Si prevede che il sistema vada a regime con la cosiddetta ‘Fabbrica dei materiali’ al posto dei due termovalorizzatori di Colleferro. Nel piano, la realizzazione di questo impianto era parametrata per il 2021. Sono trascorsi più di sei mesi dalla prima presentazione della proposta della Giunta».

È questa la prima criticità. L’idea può anche essere buona ma i tempi non sono quelli previsti. Lo ha indicato proprio nelle ore scorse, durante una delle altre audizioni, l’amministratore delegato della società che quella fabbrica dei materiali ha tutta l’intenzione di definirla e farla autorizzare. È Daniele Fortini di Lazio Ambiente. (leggi qui Tutti i segreti della Fabbrica dei Materiali: pronta in tre anni).

Massimiliano Ricci accende i riflettori su quella criticità. «Oggi leggiamo che il presidente di Lazio Ambiente, Daniele Fortini, parla di una partenza nel 2023. Il tutto con una riduzione della capacità impiantistica da 500mila tonnellate a 250mila. È evidente che questo sposterà ancora più in là la messa a regime del piano. C’è tutta una fase transitoria che temiamo possa arrivare al 2025. Quindi il sistema sarà ancora in fibrillazione per 3 o 4 anni e comporterà criticità che abbiamo vissuto e cominciano a riapparire nell’area romana».

Due: termovalorizzare non è peccato

Il termovalorizzatore Acea di San Vittore

Poi c’è ‘la pregiudiziale’ sulla termovalorizzazione. Pregiudiziale forte che ha portato l’Italia a vedere negli impianti mostri a prescindere.

Con questo passaggio, Unindustria è andata a casa dell’oste per mettere in discussione il suo modo di fare il vino. È in questa consiliatura che è stato approvato un emendamento con il quale si dice no all’autorizzazione di nuovi termovalorizzatori.

Massimiliano Ricci è andato a dire che a fare la differenza fra un mostro e un’opportunità sono solo i criteri di gestione. «Crediamo che un corretto ciclo dei rifiuti possa prevedere anche la termovalorizzazione dei rifiuti urbani. Abbiamo un solo termovalorizzatore del Lazio e per noi deve essere prevista la termovalorizzazione per i rifiuti urbani. Chiediamo che questa pregiudiziale sia eliminata dal documento».

Ricci poi affonda sull’antica nemesi del “privato maneggione”. «Nel piano si prevede un indirizzo alla gestione impiantistica prevalentemente pubblica. Questo, facendo riferimento ad un potenziale oligopolio privato che influenzerebbe la tariffazione dei rifiuti. E che in più distorcerebbe il costo di smaltimento. Non siamo d’accordo. In questi anni il sistema ha retto perché ci sono stati operatori privati sani che hanno fatto in modo che non collassasse. Chi sopperirà alla carenza delle 250mila tonnellate di trattamento per la diminuzione dell’impianto di Colleferro?».

Umido e compostaggio sottostimati

Impianto per la produzione di bio metano

Il tema cruciale è però quello della frazione umida dei rifiuti. In parole povere: gli avanzi delle cucine nelle nostre case, gli sfalci dell’erba, tutto ciò che fermenta e marcisce. È la parte più ‘scomoda’ dei rifiuti: perché fermentando produce puzza. Ma è proprio quella fermentazione a produrre gas: opportunamente lavorato è capace di alimentare le caldaie delle cucine e dei termosifoni, far camminare i motori delle nostre auto, spingere quelli alle fabbriche.

Oggi la provincia di Frosinone spende in media 160 euro a tonnellata per farlo smaltire fuori territorio: lo stabilimento pubblico Saf a Colfelice non lavora più l’umido.

Il Lazio ha opportunità immense ma spot risicati. Perché l’umido produce biometano che potrebbe fare ciclo energetico per le industrie. E circolarizzare l’economia. Ma con i numeri non ci siamo.

«Sull’umido, se vediamo le stime di produzione, dovremmo arrivare a circa 900mila tonnellate rispetto alle 250mila prodotte nel Lazio. C’è un’esigenza di almeno 6/7 impianti di valorizzazione di queste frazioni nel Lazio. Pensiamo che il privato sano possa e debba avere un ruolo in questa partita. Riteniamo poi che un’apertura del mercato non possa che favorire un equilibrio delle tariffe. Lungi da noi ambire a monopoli o oligopoli di sorta».

Il farmaceutico quasi collassava

I depuratori industriali

Ultimo aspetto, quello dei rifiuti speciali. A detta di Ricci e di Unindustria il plafond è carente. Ancor più se si considera l’altissima vocazione farmaceutica del Lazio.

«Non abbiamo trovato indicazioni nel documento in questo senso. Ci sono indicazioni su inerti, fanghi e rifiuti metallici. Però ci sono altre frazioni che meritano altrettanta attenzione. Ad esempio, tutti esaltano la grandissima capacità del polo farmaceutico laziale. Malgrado ciò l’anno scorso a settembre abbiamo rischiato il collasso del sistema farmaceutico».

«Questo perché non riuscivamo a smaltire questi specifici fanghi. Il costo è passato da 250 euro a 900 euro per tonnellata, con contratti che da biennali sono diventati trimestrali. Non si può fare pianificazione industriale così. Quindi, nell’ambito della pianificazione complessiva della Regione è importante inquadrare la questione dei rifiuti speciali. Con essa i suoi flussi e la capacità impiantistica, anche per favorire gli investimenti per risolvere queste carenze».

Legacoop: più attenzione e mezzi

Massimo Pelosi, vice presidente di Legacoop / © Stefano Carofei / Imagoeconomica

E Massimo Pelosi di Legacoop Lazio si è messo in scia. Lo ha fatto secondo la direttrice che vede un generale apprezzamento per il piano. Un apprezzamento però che non è immune dalla rilevazione di criticità. Il leit motiv di Pelosi è quello del compostaggio. «Serve una particolare attenzione sugli impianti di compostaggio per la gestione della frazione organica dei rifiuti. Certamente maggiore rispetto a quella attuale».

«Sul compostaggio a piccola scala chiediamo un’integrazione nel piano. Questo per dare attuazione alla logica della gestione integrata dei rifiuti urbani. Autocompostaggio, compostaggio di comunità, locale e non locale possono riguardare utenze differenziate. Sono una cassetta degli attrezzi di cui bisogna conoscere bene le potenzialità. Tra i rifiuti organici ci sono anche quelli alimentari prodotti dalle utenze non domestiche. Parliamo ad esempio di mercati e ristoranti. Il piano dovrebbe considerare questa evoluzione del contesto di produzione dei rifiuti e rivedere la dotazione impiantistica stimata dai comuni, che si troveranno a gestire una quantità di rifiuto organico in cui la componente prodotta dalle und (utenze non domestiche) è destinata a crescere».

E sul tema dei privati Legacoop e Unindistria vanno a braccetto. «Il ciclo dei rifiuti si chiude se gli impianti di selezione sono in grado di offrire alle industrie materie prime-seconde di qualità. Di qualità e pronte all’uso; pertanto dovranno disporre di adeguate tecnologie. Solo gli investimenti dei privati, che puntano alla qualità del prodotto, possono garantire una chiusura».