La grande occasione dei rifiuti al collasso (di A. Porcu)

Il collasso degli impianti Saf per la lavorazione dei rifiuti organici potrebbe essere invece un'occasione. Perché non si fa come per l'Acqua Pubblica? Perché lasciare questo business agli altri. E non autogestirlo sul territorio. Le soluzioni sono tante e diverse. Ma nessuno osa aprire il dibattito. Perché ci sono troppi interessi

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Non ci saranno i cassonetti pieni di rifiuti, non avremo le buste abbandonate sulle strade, non vedremo stormi di gabbiani volare sugli avanzi delle cucine di casa: oggi l’immondizia vale oro e nessuno più l’abbandona.

Il collasso degli impianti Saf di Colfelice, lo stop alla lavorazione della ‘frazione umida’, non ci trasformerà in una specie di baraccopoli maleodorante. C’è già la fila presso le aziende specializzate, pronte a lavorare ciò che lo stabilimento pubblico dei Comuni ciociari fatica a fare con i suoi macchinari ormai tecnologicamente superati.   (leggi qui Saf non ce la fa più: i rifiuti organici vanno fuori regione)

Pagheremo. Tanto e in più.

 

L’errore più grande in questo momento sarebbe quello di perdere tempo a porsi una domanda: se Saf poteva organizzarsi prima e meglio, se poteva chiedere prima l’autorizzazione che le avrebbe consentito di collocare sul mercato quelle tonnellate di umido che non riesce a lavorare spuntando così un prezzo più basso. Non è questo il momento per domandarselo: arriverà presto, quando i Comuni dovranno rieleggere i sindaci e allora si ripasserà scelta che hanno fatto in proposito.

C’è un’esigenza più urgente. E importante.

 

C’è una cosa che va capita e decisa in fretta. Ed è: perché sull’acqua pubblica si fa tanto baccano e non si fa lo stesso anche per l’immondizia? Perché il business delle immondizie generate nei nostri frigoriferi e cucine deve essere lasciato agli altri?

La situazione che sta prendendo corpo in questi giorni ci dice una cosa con chiarezza: esistono poche società in giro che lavorano quel tipo di rifiuti. E nessuna disponibile ha sede nel Lazio. Tanto è vero che i nostri ‘organici‘ andranno fuori regione.

 

Per una volta vogliamo porci la domanda subito? Perché i sindaci non prendono il coraggio a quattro mani e non valutano la possibilità di autogestirsi la frazione organica?

Gli ‘organici‘ sono scomodi perché è la parte di rifiuti che ‘puzza’ : nel senso che per essere smaltita deve fermentare, marcire, putrefarsi. E sprigionare gas. Ecco: c’è la fila per prendersi quel gas che producono i rifiuti quando marciscono. Senza farne perdere nemmeno un po’ e senza nemmeno sentire un po’ di puzza (se si fanno le cose per bene).

Quel gas serve per alimentare le fabbriche nelle nostre aree industriali. Abbattendo così la bolletta della corrente che le imprese pagano per alimentare i loro macchinari.

Hai visto mai che riusciamo a produrre le stesse cose spendendo meno?

 

I soldi per farlo? Si trovano in 5 minuti. Quel gas che si genera quasi gratis lo vogliono tutti: costa infinitamente meno di quello che ci facciamo arrivare dalla Russia o dal Nord Africa con i metanodotti.

Ma per una volta perché l’affare non lo facciamo noi? Così come si vuole fare l’acqua pubblica perché non ci facciamo il gas pubblico? Imparando proprio dalle cose che in questi 25 anni abbiamo criticato alla Saf.

 

La cosa che abbiamo imparato è che le parole ‘gestione‘ e ‘pubblico‘ sono due parole che insieme sono pericolosissime… Perché gli acquedotti colabrodo non li ha fatti Acea ma li ha ereditati dalla ‘gestione‘ che per anni è stata fatta dal ‘pubblico‘ cioè dai Comuni: che ci stavano simpatici perché il sindaco spesso dimenticava di aumentare la bolletta, nel bilancio comunale copriva quelle perdite dicendo che avrebbe fatto le multe, che poi non faceva. Ecco, queste furbate da alcuni anni con la riforma Monti non si possono fare più.

Serve allora una gestione efficiente ed un controllo pubblico. 

Significa che il privato tira fuori i soldi per fare il progetto: uno scherzo del genere costa circa 30 milioni di euro. Ed in cambio di questi soldi riceve la gestione. Il pubblico partecipa con una quota di garanzia che gli assicuri il controllo (spesso è sufficiente molto meno del 50%, si può controllare anche con il 15%).

L’esperienza Saf insegna che riunire 91 sindaci diventa una specie di assemblea di condominio. Occorre qualcosa di più snello: le nuove regole introdotte ora alla Saf infatti prevedono anche un comitato ristretto.

La soluzione può essere che le quote pubbliche di controllo e garanzia allora siano in mano ai Comuni attraverso le società che già hanno e finalmente potranno fare qualcosa di concreto per il territorio.

tanto per fare qualche nome: c’è la stessa Saf che è un ‘contenitore’ di Comuni, c’è la società consortile AeA fatta dai consorzi industriali, ci sono Asi e Cosilam che hanno nel loro pacchetto azionario decine di Comuni.

In questo modo è chiaro chi gestisce e chi detta le linee strategiche, controllando che le cose si facciano per bene.

 

La paura della puzza? Nessuno ha dato il tempo al presidente Saf Lucio Migliorelli di tirare fuori il progetto che aveva messo a punto. È lo stesso che in Trentino è stato realizzato in mezzo ai vigneti doc del prosecco: se non si lamentano loro, che hanno una sensibilità ambientale più antica della nostra, forse ci sarebbe da andare almeno a dargli un’occhiata.

Per vedere se funziona davvero, se puzza, se produce gas e quanto, se chi ci abita attorno si lamenta, se c’è un incremento dei tumori…

 

Forse è il caso che invece di perdere tempo a cercare un colpevole questo volta si cerchi prima una soluzione. Ci sarà poi tempo pure per il resto.