L’esilio e la resurrezione di Roberta Lombardi

Foto: © Benvegnu' Guaitoli / Imagoeconomica

Il ruolo di Roberta Lombardi nella nascita del nuovo Governo. La rivoluzione interna ai Cinque Stelle. Che ha messo in minoranza l'ala filoleghista di Di Maio. Il dialogo costruito con Zingaretti. Tutto iniziato con l'esilio in Regione Lazio

L’esilio di Roberta è durato un anno e mezzo. Confinata alla periferia dell’impero: lontana dal Palazzo nel quale era stata sovrana gelida e spietata. Così devono essere le regine al di fuori delle favole, se vogliono difendere il regno e lo scettro. Come imparò il protocollare Pier Luigi Bersani, signore in declino a sua insaputa di un Partito destinato alle macerie sotto i colpi della monarca. Come appresero a loro spese tutti gli altri finiti sotto la sua frusta di prima capogruppo grillina alla Camera dei Deputati, stretta con pugno di ferro dall’onorevole Roberta Lombardi. La prima in ordine cronologico. La prima per livello dirà, soltanto dopo l’esilio, il tempo.

Roberta Lombardi © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Cinica ed efficace, tattica e spietata, diretta e ruvida. Non gli stavano simpatici né Luigi Di MaioVirginia Raggi. E nulla fece per nasconderlo: dicendo con chiarezza che il primo gli pareva inadatto a fare il capo politico del MoVimento, la seconda meno ancora adatta a fare la candidata sindaca di Roma. Ma le sovrane sanno cos’è la ragion di Stato e così, di fronte alla decisione dell’Elevato assoluto Beppe Grillo, sorrise e salì sul palco facendo la campagna elettorale per loro.

Il senatore Marino Mastrangeli M5S

Intuitiva come tutte le donne. Fu lei a dire da subito che quel poliziotto in pensione selezionato con i click a Cassino, Marino Mastrangeli, non era assolutamente persona da candidare, né al Senato né altrove. Decise di tagliargli la testa. Lui si presentò in lacrime all’alba a casa di lei nel centro di Roma, trovandola ancora in pigiama, per consegnarle tutti i certificati del Casellare Giudiziario dai quali risultava fosse candido e cangiabile. Ingenuità da primo MoVimento: Mastrangeli divenne Senatore da Cassino, confezionando le prime figuracce nazionali per la struttura grillina. Roberta apprese la lezione e da quel momento non ebbe pietà più per nessuno.

Come fece con il Partito Democratico, attaccato a Montecitorio partendo da sinistra: micidiale e distruttiva “come solo gli ex comunisti sanno essere con il Pci” si analizzava un tempo. A fine legislatura, si issò sulle macerie rosse brandendo con la bandiera bianca e le cinque stelle impresse sopra.

Roberta Lombardi © Paola Onofri, Imagoeconomica

Brava. Troppo. Per questi andava confinata. Via dal Palazzo. Lontana dall’impero. Come tutti i grandi condottieri, Roberta Lombardi aveva commesso un errore: troppo impegnata ad affrontare il nemico non si era preoccupata abbastanza di coprisi le spalle dalle imboscate degli amici. Fu Luigi Di Maio con Virginia Raggi e reclamare per lei l‘esilio in Regione Lazio. Nella migliore tradizione democristiana: promoveatur ut removeatur, candidata senza speranza a contrastare l’elezione bis di Nicola Zingaretti.

I leader restano tali anche in un campo di concentramento. Figuriamoci nell’Aula della Pisana. Luigi Di Maio non immaginava che con quell’esilio stava costruendo il suo personale declino. Non quello di Roberta.

Perché è stato nell’Aula della Regione Lazio, dove è entrata da Capogruppo M5S, che Roberta Lombardi ha costruito in silenzio la linea di dialogo con Nicola Zingaretti ed il partito Democratico. Quella che ora ha ribaltato il fronte politico nazionale. Soprattutto ha rovesciato Luigi Di Maio dall’instabile piedistallo della sua incapacità, togliendogli la stanza a Palazzo Chigi e gli scettri da ministro. Primo tra tutti quello di signore dello sviluppo industriale del Paese, grazie al quale ha quasi affossato i piani di Fca regalando pacchi di milioni ai competitor della principale industria automobilistica nazionale. Che ha risposto mandando in cassa integrazione decine di migliaia di lavoratori. Facendo così sballare i labili e barcollanti conti sui quali si basava la soppressione della povertà annunciata con crassa protervia dal balcone.

Perché nella rotazione di 180 gradi della barra politica del Paese Roberta Lombardi ha avuto un ruolo molto più importante di quello che è finora emerso. Come tradisce il messaggio inviato via WhatsApp ad un amico senatore: “Allora avevo ragione, il tentativo andava fatto. I temi al centro, Conte premier, meno prime donne: mi sento pronta per essere il prossimo capo politico!“. È stata lei ad iniziare a scavare il tunnel. Ha rotto gli indugi lo scorso dicembre. Quando Luigi Di Maio tentò di darle il colpo di grazia e decretarne la fine politica: accusandola di non voler buttare giù Nicola Zinafretti e non voler votare la mozione di sfiducia con cui far cadere il governatore del Lazio.

Roberta Lombardi con il Gruppo in Regione Lazio

Roberta diede una lezione di strategia e tattica politica a Luigino ed a tutti i dilettanti assiepati nel palazzo: schierò le truppe e dimostrò che i numeri non c’erano. Non c’erano perché nessuno in Regione aveva (né ha) alcun interesse a buttare giù uno come Nicola Zingaretti, l’unico contemporaneo capace di governare la seconda Regione d’Italia senza avere una maggioranza. (leggi qui Zingaretti vola, l’opposizione si schianta: la Mozione di sfiducia finisce in farsa). Fu da quel momento che Roberta, con un’intervista al Messaggero, prese di petto Beppe Grillo. E gli disse che stava sbagliando. Che le sue analisi erano errate perché gli avevano fornito informazioni false: sulla Regione Lazio, su Zingaretti, sulle strategie in corso. L’intervento a gamba tesa di Grillo e Di Maio nella notte. Lombardi: «Un errore»

Il resti della questione, come e quando sia stato scavato il tunnel fino a rivedere la luce, lo conoscono nomi come l’abilissimo tessitore Daniele Leodori (oggi vice di Zingaretti e al tempo presidente del Consiglio regionale), come l’instancabile Mauro Buschini (all’epoca capogruppo dei Dem), il felpatissimo direttore generale Albino Ruberti. C’è molto di quel lavoro nell’ombra, nel ribaltone che ora è capace di cambiare l’orizzonte politico del Paese. (leggi qui Il Retroscena. Così la ‘sintonia’ Pd-M5S ha blindato l’Aula della Regione Lazio)

Roberta Lombardi © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Il 4 settembre 2019 è il giorno della fine dell’esilio per Roberta. Il giorno del suo rientro alla testa delle truppe vincenti. Accanto al presidente della Camera Roberto Fico, al presidente della commissione antimafia Nicola Morra cioè quello che ha rinfacciato in Aula al ministro dell’Interno di avere baciato il rosario in terra di Ndrangheta dove quel gesto ha un significato criminale preciso.

Ai lati del suo cammino, Roberta osserva ancora una volta le macerie che lei stessa ha contribuito a creare. Questa volta sono le macerie di quella parte del MoVimento che senza rendersene conto stava salvinizzando i 5 Stelle, condannandoli all’estinzione, fino ad essere fagocitati dalla Lega. (leggi qui La scelta di Grillo: perché ha deciso che la via migliore è con Zingaretti).

Un’opera che ha condotto al salvataggio ed alla liberazione del M5S dall’abbraccio mortale con Matteo Salvini. Iniziata con l’esilio di Roberta.

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