Roma-Liverpool ed il giocattolo strappato ad una generazione

Dici Liverpool e capisci che è una ferita che ancora non si e’rimarginata per ogni tifoso della Roma. Dici Liverpool e credi che questa svolta è quella buona per saldare il conto. Ma allo stesso tempo dici Liverpool e hai paura che il destino possa tirarci ancora un brutto scherzo. L'attesa di Roma-Liverpool nella pelle di un malato della Maggica

Giovanni Giuliani

Giornalista malato di calcio e di storie

Dici Liverpool e…

Dici Liverpool e capisci che è una ferita che ancora non si è rimarginata per ogni tifoso della Roma. Liverpool e credi che questa svolta sia quella buona per saldare il conto. Ma allo stesso tempo dici Liverpool e hai paura che il destino possa tirarci ancora un brutto scherzo.

Una gara lunga 34 anni, Roma-Liverpool. Da quella finale maledetta del 1984 al doppio confronto di oggi con quel match di ritorno da giocare proprio li, in quello stesso stadio…Olimpico.

Dove eravamo rimasti

Dove eravamo rimasti. Trentaquattro anni fa, che di colpo sembrano essere passati in un attimo. 34 anni di rimpianti su ciò che poteva essere e non è stato. A chiedersi come sarebbe stato bello se quei tiri di Bruno Conti e Ciccio Graziani fossero stati più bassi di cinque-dieci centimetri: perche’ sono proprio i centimetri, a volte, a dividere la gioia dal dramma (sportivo). Trentaquattro anni a chiederci e a chiedersi perché il Divino (Falcao) quel rigore non lo abbia voluto tirare.

34 anni a maledire la sbruffoneria di Bruce Grobbelaar che ciondolando su quella maledetta linea di porta sotto la Sud spinse nella disperazione il popolo giallorosso. Anni a domandarsi in una sorta di trance, se davvero quella gara si sia giocata… Perché per chi l’ha vissuta quella è un ferita ancora sanguinante.

La ferita aperta

Roma-Liverpool: Stadio Olimpico, 30 maggio 1984. Per molti è l’espressione esatta del suicidio sportivo perfetto. Una finale di Coppa dei Campioni in casa alla prima partecipazione, i rigori sotto la Sud, quella Coppa “dalle grandi orecchie” lì a portata di mano. Ed invece in un attimo un tonfo che ancora fa male, e tanto. Quella finale persa ha fatto cosi rumore che è entrata nell’immaginario di tutti, non solo romanisti.

Per chi è giallorosso, malato o un semplice simpatizzante, unire il nome Roma e il nome Liverpool smuove sempre qualcosa dentro. Avere tre anni in quel 1984 non esenta. Quello psicodramma viene vissuto nei ricordi dei genitori, dei parenti: di quella generazione giallorossa che ammirava Falcao, e da cui si sentì tradita sul più bello, che amava Brunetto Conti da Nettuno e che si faceva guidare dal Capitano silenzioso, Agostino Di Bartolomei.

Quella notte di sogni (spezzati) di Coppe e di Campioni. Quella notte, che notte drammatica. Ascolti i racconti di chi c’era all’Olimpico, o di chi palpitava davanti alla tv, e percepisci cosa abbia rappresentato per i nostri padri quella gara dai sogni infranti perché, è vero, parliamo solo di pallone ma è sempre la cosa più seria tra quelle meno serie della vita.

Il cerchio che si chiude

Ed allora… 34 anni fa. In mezzo una marea di delusioni e pochissime gioie con il pallino nelle nostre teste che prima o poi quel cerchio dovrà chiudersi… Perché non possiamo essere solo noi quelli del “ciò che poteva essere e non è stato”. Perché prima poi dovrà toccare anche a noi. E allora, quasi a volersi fare forza l’un con l’altro, ogni romanista, ora che ce li ritroviamo di fronte, prova a esorcizzare come può quella che per noi è una bestia nera, nerissima.

Il Liverpool, è vero, lo abbiamo pescato in Europa già agli inizi degli anni 2000 ed è andata sempre male. E per questo in ognuno di noi c’è quel doppio sentimento un po’ così: da una parte la voglia di sfatarlo questo maledetto tabù, dall’altra la grande paura che anche questa volta…. nulla cambierà.

34 anni fa i favoriti erano loro, oggi i favoriti sono loro. Noi ci stiamo giocando un sogno che davvero nessun romanista poteva immaginare. Ma proprio perché stiamo ballando lo vogliamo fare fino in fondo. Lo vogliamo fare per i nostri padri, per i nostri nonni. Per chi quella maledetta sera del 30 maggio del 1984 c’era e pianse a singhiozzo (come mio padre) per un incubo. Perché quella sera a tanti romanisti sembrò che qualcuno avesse rubato loro le caramelle, rubato un bel giocattolo. Ed in fondo è proprio questa la più grande paura di ogni giallorosso che ha più di trent’anni: rivivere quell’incubo di 34 anni fa nello stesso stadio.

Due tappe per vincere

Certo rispetto ad allora le differenze ci sono: le sensazioni, i dolori di pancia, le urla, non essendo una gara secca come allora, saranno diluiti nei 180 minuti della semifinale…

Questa volta ci sarà un primo tempo da giocare ad Anfield ( lo stadio del Liverpool) e poi il ritorno all’Olimpico, come se il destino volesse darci davvero un’altra grande occasione.

Ma noi, in questi casi, diffidiamo proprio da quel destino che quasi mai ci ha riservato cose buone quando serviva davvero. E abbiamo paura che anche questa volta ci possa fare qualche brutto scherzo. Perché sembra troppo bello per essere vero….

Noi che abbiamo la grande occasione di andarci a giocare nell’ultimo atto quel sogno che si chiama Coppa “dalle Grandi Orecchie”. Noi che vogliamo vivere due, magari tre… notti di sogni, di Coppe e di campioni: sogni che speriamo questa volta non verranno spezzati.

Perché da 34 anni il nostro conto con la Storia e’ancora aperto.

Ed allora la Storia proviamo ad esserla noi… Nessun giallorosso si senta escluso. Perché in qualche modo vorrei tanto che a mio padre il destino portasse indietro quel giocattolo che una calda notte di 34 anni gli strappò dalle mani sul più bello.