Da Cicerone al selfie: il mondo della Lega sul palco di piazza Mazzoli

Il senatore Rufa attacca il sindaco Cretaro: “Qui non c’è campo”. Lo stakanovismo di Gerardi e l’ortodossia di Zicchieri. Mentre Ottaviani delimita i confini del centrodestra. Poi, quando arriva Salvini, sembra di stare nella curva dei Reds. Pardon, dei verdi…

La rivoluzione? Nella cabina elettorale. Con la matita. Il senatore Gianfranco Rufa, dal palco di piazza Mazzoli a Veroli, ha lanciato in questo modo la volata per l’ultimo scorcio della campagna elettorale per le comunali. Citando perfino il famoso passo delle Catilinarie di Cicerone: “Fino a quando abuserete della nostra pazienza?”. Riferito al sindaco Simone Cretaro e al centrosinistra. Rufa ha anche fatto riferimento alla circostanza che proprio lì a piazza Mazzoli, nel cuore del borgo antico di Veroli, non c’è campo. Per internet.

Sintetizzando: “E questa sarebbe un’Amministrazione che pensa ai giovani?”. Francesco Zicchieri, deputato e coordinatore regionale del Carroccio, è andato su tematiche più classiche: “Con la Lega la difesa è sempre legittima”. Poi i soliti attacchi alla legge Fornero e a tutto quello che c’era prima. Ma prima della Lega si faceva politica? Forse sì. Mentre Francesca Gerardi ha spiegato che oggi, rispetto al passato, in Parlamento si passano anche 17 ore al giorno. Una produzione legislativa imponente. Magari però bisognerebbe dirlo a quelli che elaborano le statistiche e fanno i conti dell’attività di Camera e Senato, perché pare che questa sia la legislatura meno prolifica della storia recente del Parlamento.

Nicola Ottaviani, sindaco di Frosinone, ha anticipato lo stesso Matteo Salvini, parlando di attacchi sullo spread per cercare di frenare il Capitano. Però ha pure delimitato un campo di azione politico: il centrodestra. Del quale, ha detto Ottaviani, oggi Salvini è il leader indiscusso. Per consenso e per carisma. Derivante dal consenso però.

Quando poi Matteo Salvini è arrivato, lo scenario è mutato in un attimo: tutta per lui la scena, cori da stadio, sciarpe esibite manco si stesse ad Anfield Road (lo stadio del Liverpool). Lui con la felpa con scritto Veroli (idea di un istrionico Gianfranco Rufa) e tanta voglia di … selfie.

Un particolare rispetto ad altri comizi di altri leader politici, in altri anni. Matteo Salvini è arrivato dopo. Non ha sentito cioè gli interventi precedenti. Dunque, una cosa la sappiamo: non giudica la sua classe dirigente (presente e futura) da come si muovono e da quello che dicono sui palchi. Il linguaggio di Salvini è semplice, diretto, populista (ci mancherebbe altro), sovranista (ci mancherebbe altro alla decima potenza).

Nessun accenno ai Cinque Stelle, attacchi concentrati sul Pd di Nicola Zingaretti, indifferenza ostile nei confronti di Silvio Berlusconi. Eppure con Forza Italia è alleato in Regioni, Province e Comuni. Ma non se ne cura. Poco prima Francesco Zicchieri aveva sparato a palle incatenate contro Antonio Tajani, numero due di Forza Italia. Dal palco di piazza Mazzoli, a Veroli. Dove tutti e due i partiti sostengono lo stesso candidato a sindaco.

Prima di lasciare spazio ai selfie, Salvini ha descritto la successiva tappa elettorale, quella di oggi: da Foggia a Napoli, poi il rientro a Roma.
E’ un giro d’Italia vero e proprio, con tanto di maglia verde, quella che premia il miglior scalatore. In fondo la posta in palio soltanto quella: scalare i palazzi del potere: da Roma a Strasburgo e Bruxelles. Dalle Regioni ai Comuni.

La propaganda è efficace. E funziona. Finora.