San Donato Val di Comino: operazione salvataggio

Durante la Seconda Guerra Mondiale San Donato Valcomino venne trasformato in un centro nel quale confinare gli ebrei. La popolazione fraternizzò con loro. E ci furono atti di eroismo. Come quello del personale dell'ufficio Anagrafe che realizzò documenti falsi. Ma venne scoperto e...

Fernando Riccardi

Historia magistra vitae

Nell’estate del 1940, su disposizione del ministero dell’interno, alcuni ebrei stranieri furono internati nel piccolo comune di San Donato Val di Comino. In seguito, a ondate successive ne arrivarono altri, fino ad arrivare ad un totale di 28. Qui furono trasferite anche una decina di donne provenienti dal territorio iugoslavo occupato dall’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale: erano accusate di aver tenuto un comportamento connivente con le bande partigiane comuniste di Josip Broz, alias Tito.

A tutti gli internati, ebrei e non, l’amministrazione comunale era tenuta a fornire vitto e alloggio. Nel piccolo comune adagiato nel verde della Valle di Comino, non era stato allestito un vero campo di concentramento, né tanto meno un lager sulla stregua dei famigerati campi di sterminio nazisti: gli internati, infatti, potevano circolare liberamente. Non ebbero difficoltà a familiarizzare con la popolazione locale che si dimostrò subito molto cordiale, gentile e disponibile con i nuovi arrivati.

Condizioni di vita, quindi, accettabili e grossi pericoli non si vedevano all’orizzonte.

Tutto cambia dopo l’8 settembre

il clamoroso disimpegno italiano indusse i tedeschi ad occupare militarmente il territorio, specialmente quello definito strategico. Sorte che subì anche San Donato Val di Comino, paese situato a pochi chilometri dalla Linea Gustav: il poderoso sbarramento contro cui andarono ad infrangersi per parecchi mesi gli assalti delle truppe alleate. Con l’occupazione tedesca cambiò tutto.

E fu allora che la situazione per gli internati ebrei cominciò a farsi molto pericolosa. L’intenzione, infatti, era quella di metterli su di un carro merci e di inviarli nei lager tedeschi o polacchi, come stava accadendo in altre parti d’Europa.

La popolazione locale avvertì subito questo pericolo e, incurante dei gravi rischi, si adoperò in tutti i modi per proteggere quegli ebrei che ormai erano considerati sandonatesi a tutti gli effetti. Gli internati furono nascosti in rifugi angusti ma sicuri (stalle, pagliai, caverne), al di fuori dello sguardo attento dei nazisti. E lì riforniti ogni giorno del necessario per sopravvivere.

Così come fu trovato un nascondiglio ai soldati alleati che si erano venuti a trovare lontano dai loro corpi di appartenenza e nel territorio occupato dai nemici. Insomma un intero paese si mobilitò in una gigantesca e pericolosa “operazione salvataggio”. Che non si limitò soltanto a nascondere quei poveretti.

I documenti falsi dal Comune di San Donato

In quei difficili momenti, infatti, scesero in campo anche i dipendenti dell’ufficio anagrafe del Comune. Pensarono bene di falsificare i documenti e di dare una nuova identità agli internati ebrei, salvandoli così dall’invio nei campi di sterminio e, quindi, da morte certa. Il tutto con la complicità del podestà Gaetano Marini che, spesso e volentieri, fece finta di non vedere.

Il podestà lasciò creare i documenti falsi e li firmò – racconta il sindaco di San Donato Val di Comino Enrico Pittiglio -. L’operazione fu portata avanti da tutto il personale dell’anagrafe. Ossia da Carmela Cardarelli, Rosaria De Rubeis, Maddalena Mazzola, Pasqualina Perrella e Donato Coletti. Questi impiegati distruggevano dapprima il documento d’identità originale degli internati e poi ne preparavano uno nuovo, con generalità italiane e dati alterati”.

Una di questi “angeli” dell’ufficio anagrafe, allora giovanissimi, la signora Pasqualina Perrella, è venuta a mancare nell’ottobre del 2021, all’età di 99 anni, ed era la testimone lucidissima di quell’astuta operazione che salvò dalla morte parecchi ebrei.

Lo sfondamento della Gustav

Foto © AG IchnusaPapers

Agli inizi dell’aprile 1944 i tedeschi scoprirono la macchinazione e arrestarono due ragazze dell’anagrafe municipale. Una di esse, dopo lungo e serrato interrogatorio, fu riconosciuta come autrice della falsificazione. Però, proprio mentre tutto lasciava presagire una sorte tragica, ecco che gli alleati sfondarono la Linea Gustav. Costringendo così i tedeschi a ritirarsi precipitosamente in direzione di Roma.

E così quelle coraggiose ragazze riuscirono a farla franca. Per loro, infatti, era prevista la fucilazione oppure la deportazione nei campi di concentramento, seguendo il destino di quegli ebrei che avevano cercato in tutti i modi di salvare.

Malgrado l’eroico comportamento dei cittadini di San Donato, il 6 aprile del 1944 sedici degli internati furono arrestati (forse su delazione). I tedeschi li rinchiusero in un primo momento nel carcere romano di Regina Coeli. In seguito furono trasferiti nel campo di concentramento di Fossoli, a Carpi, nel modenese, e infine avviati nel lager di Auschwitz. Di essi soltanto in quattro fecero ritorno a casa.

Tra le vittime Margarethe Bloch, amica e confidente del famoso scrittore boemo Franz Kafka (che a lei s’ispirò per uno dei personaggi del romanzo “Il processo”). E Grete Berger, ebrea austriaca, stella del cinema muto. Orrore nell’orrore, tra le vittime di quell’inaudita barbarie ci fu anche la piccola Noemi Levi: non aveva ancora compiuto due anni. (Leggi qui La banalità del bene che molti non facemmo).

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