Scalia difende il governo in aula, tra fischi e applausi

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Fischi e applausi a palazzo Madama per il senatore Francesco Scalia (Pd). Accade durante la discussione nella quale il parlamentare di Ferentino deve difendere le posizioni del governo Renzi che ha chiesto la fiducia sulla questione Ilva: un dibattito che coinvolge tutto il complesso siderurgico tarantino, compreso lo stabilimento di Patrica.

La seduta inizia alle 18.19 di martedì sera dopo avere esaurito gli altri punti in calendario. A presiedere i lavori è il vice presidente d’Aula Roberto Calderoli: comunica ai senatori che la Conferenza dei Capigruppo ha stabilito di concludere entro la serata tutta la discussione sulla fiducia, poi ci si vedrà l’indomani per le dichiarazioni di voto.

Il primo a prendere la parola è il senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri (Conservatori Riformisti). E’ contro il governo, dice che «Abbiamo perduto il conto del numero delle fiducie poste ed è davvero imbarazzante su argomenti così delicati e complessi, durante l’esame dei quali le forze di opposizione hanno peraltro tentato di portare un contributo propositivo e non hanno certamente messo in campo atteggiamenti ostruzionistici». Sostiene il parlamentare tarantino «Non è il tempo il nemico di Taranto e del Paese. Il nemico è l’incapacità a usarlo per il meglio. E questo è un motivo di grande doglianza»

Interviene il senatore leghista Paolo Arrigoni, anche lui pin l’accento sul fatto che si sia dio fronte all’ennesimo decreto su Ilva che «a quattro anni dalle prime indagini dalla magistratura sull’inquinamento dell’area di Taranto, continua a impegnare per la quinta volta il terzo Governo dei nominati, il Governo Renzi. Sin dall’inizio, con l’Esecutivo dei tecnici guidati da Monti, sono stati assunti dei provvedimenti pasticciati, risultati inefficaci». Difende la posizione della famiglia Riva che possedeva il colosso siderurgico nazionale; per questo il senatore termina il suo intervento «con un suggerimento. Quando vi renderete conto dell’inefficacia anche di questo decreto-legge e sarete prossimi a varare l’ennesimo, restituite tutto ai Riva con l’undicesimo decreto-legge. Sarà la volta buona perché l’Ilva possa diventare efficiente, non inquinante e redditizia e, dunque, salva e protagonista nel mercato siderurgico italiano e globale».

A questo punto, Roberto Calderoli viene sostituito alla presidenza da Maurizio Gasparri.

Prende la parola la senatrice Roberta Bencini del grippo Misto – IdV per avanzare le sue perplessità sul decreto. Ricorda che «il decimo decreto-legge salva Ilva è stato varato dal Consiglio dei ministri il 31 maggio ed è in vigore. Il contenuto è semplice e, al contempo, illogico e foriero di ulteriori drammatiche conseguenze». Quali sono le preoccupazioni della parlamentare toscana? «Seppure si occupi della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo, prevede uno slittamento generalizzato dei termini. Viene spostato al 30 giugno 2016 il termine per il deposito delle offerte, allontanando, in tal modo, la data ultima per la cessione dell’impianto siderurgico di Taranto. Ma, ancor più incoerente, si palesa l’ulteriore allungamento dei tempi laddove si prevede che le eventuali proposte di modifica del piano ambientale, avanzate dagli offerenti, vengano vagliate preliminarmente da un comitato di esperti nominato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Sostanzialmente, ponendo maggiore attenzione alle “tempistiche tecniche” a cui viene subordinata la cessione, si ha modo di appurarne l’effetto negativo direttamente discendente».

Il senatore Luigi Perrone (Conservatori e Riformisti) invece pone l’accento sui dubbi di Bruxelles e ricorda che «anche l’Europa è intervenuta pesantemente sulla questione Ilva. Vorrei, infatti, far notare che la Commissione europea ha deciso di andare avanti nell’indagine sugli aiuti di Stato concessi dal Governo al polo tarantino, aspetti a dir poco spinosi che non vengono assolutamente affrontati dal decreto-legge che stiamo per affrontare».

Per il Movimento 5 Stelle interviene la senatrice Elisa Bulgarelli: non è per niente convinta delle cifre che sono alla base del decreto: «son rimaste clausole di salvaguardia per 15.133 milioni di euro per quanto riguarda l’anno 2017, per 19.571 milioni per il 2018 e per 19.571 milioni per il 2019: un totale di clausole di salvaguardia per 55 miliardi di euro (se vogliamo essere precisi, 54.375 milioni). Inoltre, ogni anno sono previsti, in media, 5 miliardi di interessi per i derivati che sempre voi avete stipulato, su cui c’è sempre di più un segreto e non si può sapere cosa stia succedendo. Quindi, sui prossimi tre anni pesano già 70 miliardi di euro, senza avere nemmeno iniziato a pensare alle esigenze reali».

Il senatore Pietro Liuzzi (Conservatori e Riformisti» fa il punto sulla situazione, mentre la pentastellata Barbara Lezzi attacca il governo che non si preoccupa delle piccole e medie imprese ma si concentra su Ilva «che da sola in piedi non sa stare».

E’ a questo punto che prende la parola Francesco Scalia per la maggioranza di governo. Inizia dando una chiave di lettura del tutto opposta a quella finora proposta dalle opposizioni: «Molti colleghi hanno ricordato, con accento negativo, che questo è l’undicesimo decreto-legge che ci apprestiamo a convertire. A me sembra che questa constatazione sia la testimonianza dell’impegno del Governo e del Parlamento in una vicenda difficilissima e di altissima complessità». Ricorda quanti interessi sia stato necessario conciliare: «il diritto e l’interesse a un ambiente salubre, il diritto al lavoro, l’interesse nazionale a mantenere la produzione in un settore strategico quale quello siderurgico».

Scalia rivendica al Governo Renzi il merito di avere compiuto «questo percorso, accidentato e necessariamente work in progress, ispirandosi al ragionevole bilanciamento di questi diritti fondamentali». Ricorda l’autorevole avvallo ottenuto dalla Corte Costituzionale che ha rigettato le questioni sollevate dalla procura di Taranto al secondo dei decreti-legge di questa serie. Ricorda che è compito di chi governa il Paese «di tutelare, contemperare e bilanciare tutti gli interessi».

Di fatto, Scalia ricorda che bisogna garantire il processo di vendita, perché solo così possono essere garantiti i lavoratori, l’economia del Paese, l’ambiente: sollecita «la conclusione di questo percorso con la cessione del complesso industriale a un gruppo che riprenda a pieno ritmo l’attività produttiva e garantisca i livelli occupazionali. Al primo obiettivo risponde lo spostamento sull’amministrazione straordinaria dell’onere del rimborso dei 300 milioni di prestito; al secondo obiettivo risponde, per esempio, la possibilità per gli offerenti di proporre modifiche al piano ambientale».

La tensione sale quando il senatore ciociaro mette il dito sulla piaga: «È vero che il piano ambientale è stato adeguato alle migliori tecniche disponibili con quattro anni di anticipo: entrato in vigore in tutta Europa a metà del 2016, il piano ambientale è stato adeguato a quelle tecniche già nel 2012. Siamo nell’ambito della tecnica, della scienza e della tecnologia ed è possibile che vengano proposte soluzioni migliori, più efficaci e magari meno costose, che debbono essere valutate, così come previsto dal decreto-legge, in sede di valutazione delle offerte dal comitato di esperti, prima dell’individuazione dell’aggiudicatario». L’aula comincia a rumoreggiare, perché il Governo ha previsto una clausola particolare a vantaggio di chi compra «Risponde a questa esigenza anche l’aspetto, da tutti giudicato scabroso, dell’esenzione ed esclusione della responsabilità penale o amministrativa per atti che siano attuativi del piano ambientale e non per un’area di impunibilità. Per l’attuazione del piano ambientale si garantisce che una violazione formale non dia adito a sequestri e non determini ulteriori stop al processo di risanamento di quell’area e alla ripresa dell’attività produttiva».

E poi la difesa del governo: «Concludo dicendo che il Governo fa bene a difendere questo settore e a puntare i piedi in Europa, chiedendo di rivedere le norme sugli aiuti di Stato alla siderurgia. Mi fa specie che chi ogni giorno grida contro quest’Europa dei vincoli, dell’ottusità e dei limiti, poi richiami le procedure di infrazione che l’Unione europea attiva nei nostri confronti quando si tratta di difendere un interesse nazionale».

E’ a questo punto che Maurizio Gasparri deve richiamare all’ordine alcuni senatori, le loro proteste contro Scalia si fanno rumorose ed il vice presidente del Senato le placa, consentendo a Francesco Scalia di concludere: «Chiudo con una battuta sola. In una situazione di sovracapacità produttiva dell’acciaio e della siderurgia c’è l’interesse di altri Paesi che premono sull’Europa perché Taranto chiuda, ma è interesse dell’Italia che Taranto rimanga aperta». Si scatenano gli applausi dell’intero gruppo Pd al Senato: alle opposizione è stato ricordato che con il loro atteggiamento mettono in discussione un settore strategico del Paese.

Si passa al voto oggi in mattinata: il via libera definitivo dell’aula del Senato al decreto legge sull’Ilva arriva con 168 voti a favore, 102 contrari e 2 astenuti. Oltre ai gruppi di maggioranza, anche Ala si è espressa per la fiducia.

Il provvedimento, approvato nel testo arrivato dalla Camera, modifica alcune disposizioni contenute in precedenti decreti legge sull’azienda siderurgica: il principale è proprio quello evidenziato da Scalia sull’attuazione del piano di tutela ambientale e sanitaria e i diritti e gli obblighi degli acquirenti o affittuari del complesso industriale.

Tra le novità, si pone a carico della amministrazione straordinaria e non più dell’acquirente l’onere del rimborso dei 300 milioni erogati dallo Stato; si consente una proroga non superiore ai 18 mesi del termine del 30 giugno 2017 per l’attuazione del piano ambientale; si posticipa al 2018 il termine per il rimborso degli importi finanziati da parte dello stato al gruppo al fine esclusivo di attuare il piano di tutela ambientale e sanitaria (entro un tetto complessivo di 800 milioni di cui 600 quest’anno e 200 nel 2017).

Proprio sulla restituzione dei fondi allo Stato, i tecnici del servizio Bilancio di Palazzo Madama chiedevano al governo “rassicurazioni sulla capacità dell’amministrazione straordinaria di fare fronte alla restituzione del finanziamento e sui tempi in cui tale restituzione avrà luogo”.