Scene da Matusa. Bentornato a casa Frosinone

Effetto Matusa sul Frosinone tornato al goal ed alla vittoria. Si è rivista la squadra fatta di 'tigna e sudore' che dominava nel vecchio stadio. Per un attimo il cuore gialloblù si è sentito come un tempo: a casa.

Elisa Ferazzoli

Giornalista in fase di definizione

Dicono che non esista più. Che lo abbiano demolito, smontato pezzo per pezzo. Che al suo posto nascerà un spazio verde in cui camminare e portare a spasso il cane. Dicono. Eppure ieri sera, i brividi sotto la pelle, la voce della Nord, lo spirito dei giocatori in campo dicevano il contrario.

 

Sentirsi a casa è cosa assai diversa da mattoni e coordinate geografiche. Sentirsi a casa è una questione d’amore, di protezione, di coraggio. È quella pallonata di Dionisi verso la panchina avversaria. Un gesto che ribadisce chi è che comanda, che non ti è permesso lanciare un altro pallone in campo solo per rallentare l’esecuzione di una rimessa laterale, che se sei un ospite non puoi andare a casa d’altri a dettar legge giocando sporco e tentando di buttarla in caciara.

 

La casa è quel luogo in cui gli errori non contano. È l’autogol di Ariaudo. Ininfluente nella testa dei giocatori e nello spirito dei tifosi. In pratica mai esistito.

 

Sentirsi a casa vuol dire non avere paura dell’impossibile. È quel destro a girare di Maiello, un capolavoro che lascerebbe senza fiato se non fosse che ieri sera la voglia di gridare e di cantare superasse di gran lunga l’abitudine del calcio moderno di far parte di una cornice serena e ordinata. E al diavolo pure la compostezza degli impianti sportivi di ultima generazione. Perché al 53’, quei seggiolini colorati non esistevano più e a dispetto della realtà fisica, sotto i piedi c’erano palanche di legno e spalti in ferro. Perché quando 8 minuti dopo Nicola Citro l’ha messa dentro di tacco, la curva si è stretta come una fisarmonica e la sensazione di trovarsi di nuovo al Matusa è stata tangibile; chissà che qualcuno non abbia alzato lo sguardo per vedere se il campanile fosse proprio lì dove è sempre stato, in alto a sinistra, imponente e rassicurante.

 

Se Dionisi avesse siglato il 3-1 sarebbe venuto giù tutto lo stadio e lo avrebbe meritato perché ieri sera è tornato ad essere quello che è: un fuoriclasse tignoso che non te la manda a dire.

 

A volte bisogna perdersi per riuscire a tornare a casa.

 

L’effetto Matusa non è altro che questo. È carattere, tigna, è non avere paura. Non è solo una casa, è una famiglia. È un cuore che batte all’unisono, sugli spalti e in campo; è abbracciarsi, è la Curva che canta per 90’ e oltre, è la voglia di non andare via dopo il triplice fischio, è un venerdì senza voce.

Bentornato Frosinone. Bentornati a casa.

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