Se Cucci incontra la figlia della Loren ne ‘La Ciociara’


Italo CUCCI
Il Giorno La Nazione
Il Resto del Carlino

 

 

Ricordate Eleonora Brown, la ragazzina che nel film La Ciociara è Rosetta, la figlia di Sophia Loren che nel ’43, in piena guerra, viene stuprata dai Goumier, i soldati marocchini schierati con gli Alleati?

L’ho incontrata a Pantelleria, dove vive. E l’ ho riconosciuta nonostante fossero passati tanti anni.

«Come hai fatto?»- mi ha chiesto. «Non ho mai dimenticato quegli occhi».
«Voglio crederti: De Sica mi scelse fra tante ragazzine proprio perché avevo lo sguardo che cercava».

Non abbiamo mai parlato dei dettagli di quel film che nel ’61 valse a Sophia un Oscar e aggiunse gloria a Moravia, autore del romanzo. Ho temuto di risvegliare tristi ricordi. Poi l’attualità, il dramma della ragazza polacca e della trans violentata.

 

Eleonora, hanno arrestato gli stupratori di Rimini, quattro africani: possiamo parlarne? (Capisce il mio ritegno, ndr). «Non temere, ho girato il film, quelle scene di violenza, che avevo quasi dodici anni, ma non capii nulla, De Sica e Sophia fecero in modo che non fossi neppure sfiorata dagli attori che interpretavano i marocchini. Tutta finzione. Vittorio per farmi piangere mi disse all’improvviso che mamma e papà erano morti in un incidente.

Solo qualche tempo dopo, a Napoli, la mia città dove giravo ‘Il giudizio universale’, cominciai a capire qualcosa: le popolane che incontravo mi accarezzavano, mi dicevano ‘poverina quante ne hai passate’, convinte che fosse tutto vero. Allora non sapevo neanche cos’era fare all’amore, finché una compagna più grande mi spiegò cosa avevo vissuto nell’interpretare Rosetta».

 

Fu uno choc? «No. Fu un’esperienza di vita che mi ha insegnato quello che non dimenticherò mai» (Gli occhi non hanno più dolcezza, ndr). «Lo stupro non è solo una ferita nel corpo, è una lacerazione dell’anima, è la continua violenza del maschio contro la femmina, stupri umani o animali, e m’è cresciuta la rabbia in corpo».

 

Entrano in scena i soldati marocchini, gli stupratori. È il tam tam di questi tempi. Pensa, sono tornati sui muri certi manifesti che la Repubblica Sociale aveva diffuso per avvertire le donne italiane dalle aggressioni dei neri. L’autore, Boccasile, era passato dalle sinuose ammiccanti Signorine Grandi Firme all’immagine di una giovane donna bionda aggredita «Ho visto, ma non ho in mente solo i marocchini e le ‘marocchinate’, come le chiamavano: sono tanti, di colore o no, che sono marocchini nella testa. Io ho vissuto nel film le violenze di guerra, di uomini presi per combattere, per uccidere, spesso bestiali; ma è peggio affrontare la violenza di pace dovuta a uomini malati che avrebbero bisogno di cure. O di una mamma che gli insegni il rispetto delle donne».

 

O di una cultura rivisitata. In questi giorni un presunto moderatore culturale islamico ha detto che lo stupro è brutto, ma ‘quando il pisello entra la donna poi gode’. Il guaio è che molti la pensano così «Spaventoso. È il mondo della donna oggetto che non conta nulla, che tutti possono offendere e ferire, fin dal padre che violenta la figlia noi e gli islamici, due mondi diversi, anche se nel passato anche noi donne occidentali abbiamo dovuto subire il maschilismo.

Ma per noi è nata Maria, la Madonna, tutte le madri, le mogli, le figlie, le sorelle sono Maria. Nel mondo islamico la donna non vale niente. Stiamo attenti, un giorno saranno più numerosi di noi, ci supereranno in tutto, ci imporranno le loro idee e regole, è la loro vera guerra».

 

Eleonora Brown è al Festival di Venezia. Ha una piccola parte in un film di Cristian De Matteis interpretato anche dai ragazzi del Volo. Il titolo, Un amore così grande. Come si dice, questa è un’altra storia.

 

 

Francesco PERFETTI
Il Giorno- La Nazione
Il Resto del Carlino

 

Per molto tempo il romanzo di Alberto Moravia, La ciociara, del 1957 e l’ omonimo film di Vittorio De Sica di tre anni dopo furono la sola sconvolgente testimonianza, sia pure veicolata dalla trasfigurazione romanzesca, di quei tragici episodi di violenza sessuale ovvero di stupri individuali e collettivi, le cosiddette ‘marocchinate’, che accompagnarono l’ avanzata degli Alleati nella Campagna d’ Italia durante l’ ultima fase del secondo conflitto mondiale. Quella pagina scioccante della nostra storia più recente fu a lungo rimossa sia per un senso di vergogna e di pudore da parte delle vittime sia, a livello politico, per motivi di opportunità.

Le ‘marocchinate’ furono opera delle truppe alleate, in particolare dei reparti di colore del corpo di spedizione francese in Italia, dopo lo sfondamento della linea Gustav. Sembra che il comandante delle truppe magrebine dell’ esercito francese, il generale Alphonse Juin, avesse «garantito» l’ impunità per gli stupri, le violenze, le rapine ai propri soldati come una specie di premio per le fatiche di guerra.

Quel che è certo è che il ritorno di barbarie ci fu davvero con la piena acquiescenza degli ufficiali. E l’ orrore suscitato da quelle violenze diventò anche veicolo di propaganda politica nella Repubblica sociale italiana, con il celebre manifesto di Boccasile con un soldato di colore che abbranca una donna bianca. Era certamente imbarazzante, da un punto di vista politico, nell’immediato dopoguerra, ricordare le nefandezze di una parte dell’ esercito alleato nei confronti di donne (ma non solo) di tutte le età, trattate come bottino di guerra e violentate a piacimento. Alla fine, però, il silenzio venne rotto.

Prima, da un romanzo e da un film, poi dalle ricerche degli storici che, superando anche il più che comprensibile riserbo delle persone coinvolte, hanno sviscerato le vicende che hanno dato origine a quegli orrori giungendo anche a quantificare il numero delle vittime in decine e decine di migliaia e a mostrare come il fenomeno sia stato assai più esteso di quanto non si credesse: esso, infatti, ebbe origine già nell’ estate del 1943 dopo lo sbarco alleato in Sicilia anche se raggiunse il culmine nel 1944.

Giudizio storico e giudizio morale non possono che essere unanimi nella condanna di una pratica di guerra che richiama alle barbarie dei tempi più remoti.

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