Senza ricevuta di Ritorno. La raccomandata del direttore su un fatto del giorno. C'è un tempo per ogni cosa: per la polemica, per lo scontro, per il confronto anche ruvido. Poi però arriva il tempo di voltare pagina. Ed i primi a capirlo devono essere i tifosi
Gli inglesi ne erano certi: “Gli italiani vanno alle partite di calcio come se fosse una guerra ed alla guerra come se fosse una partita di calcio”. I fatti dicono che sia vero. E che sia valido anche per la politica. Facciamo prevalere la tifoseria, dimenticando di analizzare le cose.
È un fenomeno che i sociologi della Comunicazione conoscono da tempo: spiegano che è una scorciatoia. Cioè un metodo per evitare di addentrarci nelle cose che non comprendiamo; in argomenti troppo tecnici, fatti di delibere, determine, regolamenti.
L’amministrazione pubblica è materia molto complessa. Lo imparò subito un sindaco della provincia di Frosinone che alcuni anni fa, appena eletto, andò a fare un giro della città con il suo dirigente. E vedendo l’erba alta ai Giardinetti ed i giochi da riparare per i bambini esclamò: “Mò chiam’ fratm e gli facciò portà gli attrezzi, così scampam’ subito l’erva’.
Ci volle del bello e del buono per spiegargli che per il Comune può lavorare solo una persona incaricata con un regolare atto, protocollato, approvato, dotato di copertura assicurativa ed economica, numero di Cig e Durc in regola.
Ecco, per evitare tutto questo usiamo le scorciatoie. E diventiamo tifosi. Ci stà.
L’importante è che fischiato il 90’, i calciatori tornino negli spogliatoi e gli spalti si svuotino. Ed ognuno faccia la sua parte.
Nella Prima Repubblica, democristiani e comunisti in Consiglio strillavano; e finita la seduta si vedevano in trattoria per continuare la discussione, convinti delle rispettive posizioni, ma senza tifosi.
Riscoprire quel clima disinnescherebbe i troppi veleni: ai quali i candidati sono vaccinati, i tifosi no. E questo lascia strascichi. Inutili. Perché è il tempo del governo.