Semaforo rosso per Parisi candidato: chiede troppi collegi

Si spegne la trattativa con Stefano Parisi per la candidatura a governatore del Lazio nelle prossime Regionali. Energie per l'Italia ha chiesto in cambio 5 seggi sicuri al Parlamento. Troppi per Berlusconi. Torna l'ipotesi Gasparri

Si spengono le lampadine della candidatura di Stefano Parisi. Restano al buio le possibilità che a guidare il centrodestra alle prossime elezioni regionali del Lazio possa essere il fondatore di Energie per l’Italia. (leggi qui Una telefonata da Strasburgo: nel Lazio possiamo candidare Parisi)

A decidere di far staccare la corrente è stato il prezzo chiesto da Parisi per scendere in campo. Come contropartita ha reclamato cinque collegi da assegnare alla sua formazione nelle prossime elezioni Politiche.

A dire no è stato Silvio Berlusconi: a Forza Italia sarebbe toccato il peso dell’intera operazione.  Ma il Partito in questo momento è una polveriera: nel Lazio come in tutta l’Italia (leggi qui Caos Forza Italia sulle candidature, scontro Ottaviani – Mandarelli. Quadrini convoca il Coordinamento)

Raccontano che Silvio Berlusconi in un primo momento avrebbe anche dato il via libera ad Antonio Tajani per formulare una controproposta: tre collegi per Energie per l’Italia e non i cinque richiesti da Parisi.

Poi però ci avrebbe ripensato. E dato l’ordine di staccare la corrente lasciando al buio Parisi e le sue Energie politiche. Perchè dentro Forza Italia c’è già fin troppa tensione dopo essersi dissanguati a favore dei centristi di Noi con l’Italia-Udc. Impensabile cancellare altri nomi azzurri dall’elenco dei candidati di Forza Italia.

Il problema sarebbe di tensioni politiche, di tenuta degli equilibri interni. Ma soprattutto c’è il rischio di ritrovarsi con una pattuglia di parlamentari azzurri troppo risicata una volta aperte le urne.

Ancora stallo sul candidato per il Lazio. Ma la nottata è ancora lunga. I telefoni dei leader trillano in continuazione. Ha squillato anche quello di Maurizio Gasparri: gli hanno detto di non rimettere nell’armadio la sua divisa di ‘soldato della politica’ pronto a dire si se gli viene chiesto.

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