Il silenzio e la polvere tra le macerie

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Il silenzio si è impadronito del paese ridotto in macerie. C’è solo polvere e silenzio nelle campagne tra Amatrice e le sue cento frazioni. Solo le cicale osano spezzare ogni tanto quella mancanza di suoni ma quasi subito tacciono, come se la natura avesse imposto pure a loro il rispetto per quei 241 morti accertati tutt’intorno finora.

La polvere si attacca alla gola. E il vento ogni tanto porta l’urlo strozzato dei sopravvissuti, in bilico tra la disperazione per avere perduto tutto e lo consapevolezza di essere comunque dei privilegiati. Perchè sono ancora vivi.

Seguendo quella scia di dolore si arriva in centro. O meglio: quello che era il centro. E che ora non c’è più. Via Silvestro Leopardi era una stradina stretta, intitolata ad un senatore del Regno d’Italia nato proprio ad Amatrice nel 1797. Patriota e Politico, assicurava il rettangolo in marmo posto ad indicare il nome della via che ora non c’è più.

All’inizio di quella strada c’era un portone nuovo, a due ante. Numero civico due. Lì è finita la breve vita di Marco (27 anni) il figlio del questore di Frosinone Filippo Santarelli. Era andato con quattro amici in quella che un tempo è stata la casa di famiglia, lì ci stavano i nonni prima di spostarsi a Rieti.

Avevano deciso di farsi due spaghetti, allungare di qualche giorno le vacanze per aspettare la cinquantesima sagra dell’Amatriciana. Un tempio per lui che sognava di diventare chef: gli piaceva inventare i piatti, ricrearli, reinterpretare le ricette ma partendo da quelle tradizionali: istituto Alberghiero prima e stage da Bassetto a Ferentino.

Pentole, pancetta, guanciali, profumi di cucina non ci sono più in questa strada: solo polvere e silenzio. Spezzato dai rumori delle ruspe che scavano alla ricerca di vivi e morti qualche centinaio di metri più in la. Qui ormai non serve più scavare: per Marco non c’è stato niente da fare. Il Destino forse aveva bisogno di uno chef: lo ha cercato come se volesse proprio e solo lui. I quattro amici si sono salvati e pure Marco sembrava si fosse messo al riparo: la prima violenta scossa non li ha sorpresi. I ragazzi sono saltati giù dai letti e si sono riparati sotto le architravi, come fanno quelli che nascono e crescono dove la terra trema. Sono le prime cose che impari: mai lanciarsi per le scale, mai correre, riipararsi sotto il tavolo o il letto.

O un architrave, come avevano fatto gli amici e Marco. Ma proprio quello che il destino aveva scelto per il figlio del questore di Frosinone non ha retto: gli altri si, quello sotto il quale stava il giovane futuro chef si è gretolato e gli è finito addosso.

I padri e non solo le madri hanno un presentimento quando c’è qualcosa che non va. Solo che l’appresione delle madri è per ogni minima cosa. Quando si preoccupano i padri deve essere successo qualcosa di serio. E l’altra notte Filippo Santarelli ha ‘sentito’ che qualcosa era successa a Marco. Lo hanno avvertito che la terra aveva tremato ad Amatrice ma la notte non permetteva di capire a pieno quanto fosse grave la situazione. Lui ha chiamato al telefono il figlio. Il cellulare ha squillato: nessuno ha risposto. Poteva chiedere ad altri di andare a controllare: ma Filippo Santarelli ha capito e non ha perso tempo. Si è messo in macchina ed è andato. Sperando di trovarlo ancora vivo.

E’ arrivato ad Amatrice insieme all’alba. Non ha aspettato gli aiuti. Si è messo a scavare. A mani nude, spostando i massi di quella che era la casa nella quale lui era stato tante volte da bambino. E che ora gli aveva intrappolato il primo dei suoi due figli. Ha scavato in silenzio, ha chiamato e spostato massi. Altre mani sono arrivate ad aiutarlo: gli uomini della questura di Frosinone lo hanno raggiunto dopo poco su quelle pietre, insieme al disaster manager della protezione civile ed ai vigili del fuoco partiti dal capoluogo ciociaro. Sono stati loro a localizzare Marco. Ad avvisare, con delicatezza, poco alla volta, che ormai il sogno era finito per sempre.

Mentre il sogno di Marco si spezzava, riprendeva vita quello di Gabriele. Casale di Amatrice è a qualche chilometro da qui: piccola frazione, case vecchie, messe su con l’ostinazione dei vecchi uomini di montagna.

Gabriele era a Casale insieme a Martina, la sorellina di undici anni più grande di lui di appena due anni; con loro c’erano papà Gianluca e mamma Letizia. Stavano in quella casa per rilassarsi qualche giorno, lasciare lo smog di Roma dove ormai si erano stabiliti da tempo. Finalmente aria pulita, prati, spazi dove correre e giocare senza il rischio di una macchina che ti può arrivare addosso, senza il grigio dell’asfalto ma il verde delle montagne. Anche l’azzurro del cielo è diverso qui ad Amatrice. Non è sbiadito come quello di Roma. E’ quasi come quello di Gallinaro: il paese di nonno e nonna, i genitori di mamma Letizia.

Li aspettavano per oggi nonno Asab Francis e nonna Simona Celestino, che insegnava francese a scuola ed ora è in pensione. Nonna Simona è la sorella del professor Domenico Celestino, medico chirurgo e storico locale, autore del volume ‘Venti Secoli sulla Collina’ considerato uno dei testi storici su Gallinaro di maggiore pregio.

La casa delle vacanze è venuta giù. In un attimo. Gabriele ha fatto come gli avevano insegnato a scuola quando c’erano state le esercitazioni. E’ vivo per questo. Lo hanno tirato fuori dalle macerie perchè ha gridato quando ha sentito i soccorritori.

Piange la vecchia signora che abitava lì vicino e che ora non ha più nulla. Singhiozza con la mano alla bocca quasi a voler nascondere la disperazione, come se si vergognasse di avercela fatta mentre dalle macerie della casa a due passi dalla sua è spuntato fuori vivo soltanto un bambino.

Un pianto nascosto. L’unoco rumore che rompe il silenzio.

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