Silenzio, parla Fiorito: «Tutti sapevano, c’era un accordo, la Finanza però ha fatto errori»

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Franco Fiorito parla. E mette tutto a verbale. Lo fa per più di due ore di fronte al presidente della Terza Sezione Penale della Corte d’Appello di Roma. Racconta dei soldi presi in Regione Lazio negli anni in cui è stato capogruppo del Popolo delle Libertà e che gli hanno procurato una condanna a 3 anni e 4 mesi per peculato, al termine del primo processo terminato nel 2013. Non ha più rilasciato dichiarazioni ufficiali da quel giorno: ha atteso che arrivasse il momento del processo bis e fosse il suo turno di deporre.

La verità di Fiorito è: c’era un accordo politico, tutti sapevano, gli organi di controllo interni hanno visto tutto ed hanno detto che andava bene così. Chiama in causa anche Mario Abbruzzese ma sta bene attento a non accusarlo di niente, lo nomina solo per dire che pure l’allora presidente del Consiglio Regionale era al corrente ed anzi fu tra i protagonisti dell’accordo politico.

La deposizione è avvenuta il 15 giugno scorso. Per ben due volte, il 7 aprile e poi il 10 maggio, l’ex leader provinciale di Alleanza Nazionale e poi uomo forte del PdL si era presentato dai giudici per raccontare la sua verità. Ma in entrambi i casi i registratori del Palazzo di Giustizia non funzionavano e non era stato possibile procedere con l’udienza. Al punto che, tra il serio e lo scherzoso, il presidente Ernesto Mineo aveva detto «La prossima volta me lo porto da casa un registratore, se per voi va bene». La risposta dell’ex Capogruppo regionale è stata «Per me va benissimo, non immagina la voglia che ho io di parlare».

Così è stato. Abito blu gessato, una borsa piena di carte, un fascicoletto per riassumere i punti salienti, Franco Fiorito annuncia che descriverà il contesto «di degrado politico nel quale si svolsero i fatti». Premette che la sua condotta «è stata assolutamente regolare in virtù delle consuetudini in atto tra i gruppi ed i consiglieri di tutti gli orientamenti politici». Dice che ci sono stati «degli errori fatti dalla Guardia di finanza che hanno inciso tantissimo sull’andamento del processo di primo grado». Denuncia che gli mancano ancora alcuni atti dell’Accusa «ad esempio i documenti che provengono dalla Spagna, tanti documenti importanti che ad oggi non siamo in grado di avere».

Il contesto di degrado
Franco Fiorito ha ricordato che tutta l’indagine nasce da una sua richiesta di chiarezza sull’uso dei soldi fatto dai Consiglieri PdL. Carte alla mano ha ricordato che il 18 luglio 2012 ha mandato una lettera all’allora governatore del Lazio Renata Polverini e per conoscenza a tutti i consiglieri del gruppo PdL. Nella lettera scriveva in sostanza «Poiché mi giungono voci non controllate su un uso forse non corretto del denaro che il gruppo consiliare gira ai singoli consiglieri, vi sarei grato se entro i prossimi 15 giorni vorrete fornire i documenti giustificativi delle spese da voi effettuate e sulla base dei quali ho provveduto a rimborsarvi». E cita alcuni episodi in particolare. Fiorito in realtà ha saputo di una congiura politica organizzata dall’ala ex Forza Italia e che dovrebbe concludersi con la sua sostituzione da Capogruppo per nominare un azzurro. Quella lettera è un modo per dire ai consiglieri: ripassatevi bene i conti prima di fare una cosa del genere.

Forza Italia però va avanti con il suo golpe interno ed il 24 luglio sostituisce Franco Fiorito (9 voti su 17) con Francesco Battistoni. Il consigliere regionale PdL di Viterbo è tra i destinatari del ‘messaggio tra le righe’ scritto nei giorni precedenti da Fiorito: a lui chiedeva conto dei rimborsi per le iniziative elettorali al ristorante Pepe Nero ed alla società di comunicazione Majakovskj, lasciando intendere che fossero spese personali, fatte per la campagna elettorale, ma scaricate sul Gruppo (per queste spese Battistoni è stato poi oggetto d’indagine ma il 19 marzo scorso il fascicolo è stato archiviato in quanto il Consigliere ha dimostrato d’avere pagato di tasca propria le spese su cui il suo ex capogruppo aveva avanzato sospetti).

Appena diventato capogruppo, Francesco Battistoni chiede alla banca l’estratto dei conti su quali arrivano i soldi per il Grippo. E nota qualcosa di anomalo. Nomina subito due revisori e chiede una verifica sui conti ereditati da Fiorito. Appena riceve quella relazione la porta subito in Procura a Roma. Risulta che Fiorito abbia girato suoi su sei suoi conti (tre in Italia e tre a Tenerife) grosse somme prelevate dai conti del Partito. Scatta l’indagine per peculato.

Da dove venivano i soldi
Fiorito dice che i soldi erano frutto di un accordo politico che era stato regolarmente approvato da tutti i gruppi presenti in aula (tranne i Radicali). A verbale dichiara che in base all’intesa, ogni Gruppo aveva diritto ad una somma pari a 136mila euro moltiplicata per il numero dei consiglieri regionali che costituivano quel gruppo; i soldi andavano a finanziare attività istituzionali sui territori. Dice: negli atti del processo di primo grado «risulta chiaramente che il funzionario Maurizio Stracuzzi, il presidente del consiglio Mario Abbruzzese, nonché il segretario generale Nazzareno Cecinelli (…) ammettono che in realtà si trattava di dare esecuzione ad un accordo politico che aveva ritenuto necessarie tali erogazioni. La cui sintesi era che ad ogni consigliere andavano 136mila euro, 100 per iniziative politiche e 6 per assumere nuovi dipendenti, a seconda delle funzioni e delle cariche». La regola, sostiene Fiorito, valeva per tutti: «altri Partiti hanno usufruito degli stessi vantaggi, sia il gruppo La Destra che il gruppo dell’Italia dei Valori». (Per completezza va detto che l’indagine sulla norma cui fa riferimento Fiorito è stata archiviata: nessuna irregolarità è emersa a carico di Abbruzzese, Cecinelli e Stracuzzi; il problema non era la legge – hanno stabilito i magistrati archiviano il caso – ma il modo in cui venivano impiegati soldi; Abbruzzese non ha mai usufruito di quei rimborsi. I fondi sono stati poi abbattuti nell’ultima seduta di Consiglio prima delle dimissioni di Polverini e pressoché azzerati dall’amministrazione successiva).

Per l’organo di controllo era tutto a posto
«Elemento importante – ha spiegato Fiorito nella sua deposizione – è anche la precisazione dei bilanci fatta dal Co.re.co.co. (Comitato Regionale di Controllo Contabile) che è l’unico organismo eletto a scrutinio segreto nella Regione, che sostiene che ci sono delle indennità da prendere all’interno del gruppo. Proprio perché sono convinto che tutto sia in regola, non prendo quei soldi e li nascondo, ma anzi li bonifico e li metto a bilancio. Il revisore che controlla è a conoscenza di tutto, vede e da l’ok (…). Ho seguito sempre lo stesso schema. Nel 2011 ho fatto come nel 2010 e ho dato la stessa giustificazione, non ritenevo fosse atto illegittimo anche perché ho dichiarato tutto in maniera trasparente e credevo fosse approvato in buona fede dall’organo preposto per farla. La Corte dei Conti successivamente mi darà indirettamente ragione, perché il Co.re.co.co. ha per legge il potere di intervenire in tali contesti». Non solo: stando ai ricordi dell’ex capogruppo: «… dopo lo scandalo, la Presidenza del Consiglio Regionale fa una delibera in cui conferma che il sistema di assegnazione dei fondi ai Gruppi era assolutamente corretto»

La tripla quota
Ma se le cose stanno così, allora perché Battistoni appena diventato capogruppo nota qualcosa di strano al punto da nominare due periti? Il fulcro dell’accusa sta proprio qui: Fiorito prende qui 136mila euro ai quali ha diritto in un anno per rimborsarsi attività politiche sul territorio, li divide per 13 mensilità, ogni mese si fa un bonifico; al quale aggiunge una robusta integrazione. Perché? Ritiene che gli tocchi una quota in più in quanto capogruppo ed un’altra in quanto presidente della Commissione Bilancio. «Durante la perquisizione della Guardia di Finanza a casa mia fu sequestrata una cartellina nella quale c’era un cartoncino sottoscritto tra me ed il presidente Abbruzzese su cui era annotata la cifra dell’accordo politico che tra noi era stato raggiunto relativamente alla doppia e tripla quota (…) Non è vero che ero l’unico a poter operare sul conti del Gruppo PdL: avevo delegato il tesoriere Galassi. Ma la Guardia di Finanza scrisse che io ero l’unico a poter operare sul conto. Effettivamente, la delega uscì successivamente ma non ero l’unico ad operare. La Cassazione invece scrisse la stessa cosa andando dietro alla Guardia di Finanza».

Il vacanzone e le altre spese
«Molte delle spese pazze che mi sono state attribuite dalla stampa, in realtà sono spese che ho pagato di tasca mia. Ho dovuto dare conto di tutte le spese fatte e si è visto così che anche in questo caso avevo rendicontato tutto. Di tutte le spese nelle quali ero indagato sono stato assolto sempre. Ci sono degli errori fatti dalla Guardia di finanza che hanno inciso tantissimo, come ad esempio la perquisizione ad un numero civico sbagliato. L’errore più clamoroso è quello sul cosiddetto Vacanzone fatto in Sardegna all’indomani delle elezioni vinte nel 2010: al momento di saldare il conto mi accorsi che la mia carta di credito non aveva abbastanza disponibilità; per evitare figuracce telefonai al mio capo segreteria e gli chiesi di provvedere lui al pagamento con un bonifico; successivamente ho restituito quella somma con due versamenti. La Guardia di Finanza ha inoltre sbagliato le somme del sequestro, ha fatto un errore matematico. Altro errore è sui conti: all’interno dell’informativa dei finanzieri fanno confusione e scrivono che il conto bancario del Gruppo invece è il mio conto personale, ma in realtà era intestato come ‘Conto consiliare Regione Lazio’. Altro errore fatto dalla Finanza è sulle spese di ristrutturazione della casa a San Felice Circeo: l’ipotesi di reato si basa su fatture che Pasquale C. (cioè la persona che si occupava di seguire quei lavori) ha già detto che erano false». C’è poi l’accusa di avere fatto due finte assunzioni in segreteria per intascare i soldi degli stipendi: Fiorito ha commentato «E’ stata forse la più grande umiliazione che mi ha inflitto questa inchiesta: ho assunto una segretaria (che era mia amica, ma già segretaria) e potevo farlo: grazie all’emendamento 3 bis, al quale ho contribuito personalmente, potevo assumere regolarmente. Inoltre – alla morte di mio padre – assunsi la sua campagna: forse era un modo per per cercare di elaborare il lutto, l’ho messa a fare la rassegna stampa; la Finanza dice che vive a Tenerife ma è falso anche questo».

Gli atti mancanti
«Credo che il processo di Primo Grado non mi ha dato la possibilità di spiegare alcune cose sulle indennità aggiuntive e l’approriazione indebita della quale vengo accusato. La cosa più grave è che io chiesi alla Guardia di Finanza di fare una verifica reale sui conti. In particolare chiesi di verificare se avessi percepito i soldi versati sul conto aperto presso il Monte dei Paschi ma mi hanno risposto che non era possibile, allora l’ho fatto da solo e due bonifici sono addirittura ‘inconsistenti’, cioè fatti ma mai ritirati per inconsistenza della carta”. Ci tenevo a dividere le spese in maniera netta e l’ho fatto sempre senza mischiare spese del gruppo con spese personale. E poi i documenti mancanti: «Arrivati in Appello noi abbiamo diritto a tutti gli atti, ad esempio i documenti che provengono dalla Spagna, tanti documenti importanti che ad oggi non siamo in grado di avere».

Il processo riprende ad ottobre.