Il silenzioso lavoro di Spreafico dietro l’abbraccio tra Cristiani ed Ebrei

Un grande segno. Un abbraccio atteso per circa mezzo secolo. Aspettato dal 18 ottobre 1965 quando Paolo VI firmò la Nostra aetate (Nel nostro tempo) il documento con cui il Concilio Vaticano II ridefiniva i rapporti tra la Chiesa cattolica e le religioni non-cristiane. Riconosceva il senso religioso nella vita di ciascun uomo, affermava la stima per le genti dell’islam, ribadiva il vincolo che lega il Cristianesimo all’ebraismo; stabiliva il principio della fratellanza universale e dell’amore.

La Chiesa di Roma allargava le braccia ai fratelli delle altre religioni. Riconosceva in maniera esplicita errori e persecuzioni.

A quelle braccia allargate arriva ora una risposta. E’ un documento. Con il quale, per la prima volta, i rabbini ortodossi israeliani, americani ed europei riconoscono che con la Nostra aetate la Chiesa Cattolica ha portato una grande novità con cui ha riavvicinato il cattolicesimo e l’ebraismo. Mai finora c’era stata una dichiarazione così complessiva del rabbinato ortodosso. C’erano state solo dichiarazioni di rabbini riformati.

Dietro a quel documento c’è anche il sottile e silenzioso lavoro diplomatico compiuto da un vescovo che sta di sede a Frosinone ma presiede la strategica commissione per il Dialogo istituita dalla Cei, l’organismo che riunisce tutti i vescovi italiani. E’ Ambrogio Spreafico.

Proprio il vescovo Spreafico non esita oggi a definire “storico” quel documento.

Il documento si intitola “Tra Gerusalemme e Roma – Riflessioni sui 50 anni dalla Nostra Aetate“. E’ stato consegnato in queste ore a Papa Francesco da una delegazione formata da tre delle principali istituzioni rabbiniche internazionali. Si tratta della Conferenza dei rabbini europei, il Rabbinato centrale d’Israele, il Consiglio rabbinico d’America.

«E’ la prima volta – spiega ad Alessioporcu.it il vescovo Ambrogio Spreaficoche l’ebraismo ortodosso fa un documento ufficiale in risposta non solo a Nostra Aetate ma alla storia di dialogo con il mondo ebraico che il documento conciliare ha messo in movimento».

Uno dei passaggi centrali è quello che segue il preambolo in cui i rabbini parlano della loro storia passata e quindi della sofferenza e della persecuzione vissuta. Ma, fa notare il vescovo Spreafico, «mettono in risalto come la Chiesa cattolica in questi anni ha riconosciuto le radici della sua fede nell’ebraismo e affermato che il dono dell’Alleanza di Dio con il popolo ebraico è irrevocabile».

L’abbraccio vero e proprio arriva nel passaggio in cui gli ebrei definiscono i cattolici “amici e fratelli“.

«E’ questa alleanza di Dio con l’umanità – spiega il vescovo Spreafico al Servizio Informazione Religiosa – a renderci tutti fratelli».

La diversità permane e, come afferma il rabbino Riccardo Di Segni, il dialogo teologico tra Chiesa cattolica ed ebraismo è «comunque e sempre nelle sue fonti asimmetrico, nel senso – spiega il vescovo Spreafico – che mentre per noi l’ebraismo è alla radice della nostra fede, non così per loro è il cristianesimo».

Ma il testo – ed è questa la grande novità – indica anche vie di dialogo concrete soprattutto nell’impegno condiviso a liberare le religioni da ogni deriva di fondamentalismo e le società moderne da ogni forma di violenza.

«Viviamo tempi di oscurità. Segnati da conflitti e minacce di guerra, e pervasi da paura, resistenze. E purtroppo anche nuove forme di razzismi», osserva Ambrogio Spreafico.

«Ed è proprio alla luce di questi tempi che si può comprendere il valore di un documento di questo genere. Perché sottolinea che o noi ci convinciamo che l’unica via alla pace è il dialogo oppure perderemo la sfida. E’ quello che papa Francesco e la Chiesa sottolineano in continuazione: l’unica via alla pace è il dialogo».

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