Silicon politics, come passare dalla legge di Moore a quella di Murphy

Cosa è accaduto alla Silicon Valley Bank. E perché ci riguarda un po' tutti. Perché siamo un po tutti fagiani

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Silicon Valley (inglese per Valle del silicio) è un soprannome per la parte meridionale della San Francisco Bay Area, nella California settentrionale, negli Stati Uniti d’America. Quella vallata funge da centro globale per l’alta tecnologia, l’innovazione, il capitale di rischio e i social media. Contribuisce per il 20% al PIL statunitense.

Il nome corrente è stato coniato nel 1972 dal giornalista Don C. Hoefler per indicare la parte meridionale dell’area metropolitana della Baia di San Francisco.

La parola “Silicon” (“silicio”) in origine si riferiva al gran numero di innovatori di chip di silicio nella regione e alla forte concentrazione iniziale di fabbricanti di semiconduttori e di microchip (entrambi basati sul silicio). Funsero da polo attrattore per l’insediamento successivo di aziende di computer, produttori di software e fornitori di servizi di rete.

Differenze di silicon

C’è silicone e silicone

Quanto siamo distanti dagli Stati Uniti d’America però. Da noi quando si parla di silicone vengono in mente le tette rifatte, le labbra a gommone e le bambole di gomma di ultima generazione. Paese che vai usanza che trovi diremmo.

Se non fosse che tutti gli articoli siliconati appena descritti da noi riportano al massimo ai piaceri estetici e alla vanità. Mentre questa benedetta Silicon Valley sono decenni che ci condiziona la vita, senza nemmeno annunciarlo. Ed oggi rischia di rovinarcela per quanto possibile.

Ma andiamo per gradi: quando diciamo Moore a noi viene in mente Roger Moore famoso James Bond d’antan o al massimo Demi Moore la bella attrice statunitense. Gli americani no, loro pensano a Gordon Moore, uno dei fondatori dell’Intel recentemente scomparso. Si la Intel quella dei processori dei computer che da anni ci ammorba con la musichetta associata che fa “taratannn” ogni volta che la nomini.

Gordon Earle Moore è morto a 94 anni nella sua casa alle Hawaii. Nel 1965 ha scritto la celeberrima “legge di Moore” che per molti anni ha descritto perfettamente l’evoluzione della tecnologia dei processori.

Moore resterà uno dei “padri fondatori” della Silicon Valley per due motivi. Il primo riguarda i processori. Nel 1968 ha fondato insieme a Robert Noyce e Andrew Grove la Intel Corporation, forse una delle prime Big Tech degli Stati Uniti. Questa azienda ha segnato la storia della produzione dei processori per tutta la rivoluzione digitale. Il secondo motivo per cui Moore verrà ricordato riguarda sempre i processori. Gordon Moore è l’uomo che nel 1965 ha scritto la Legge omonima, una teoria secondo cui il numero di transistor in un circuito integrato raddoppia ogni due anni. Questa frase si può spiegare meglio così: la potenza di calcolo di un processore raddoppia ogni due anni mantenendo invariate le dimensioni del processore.

Fottutamente illuminante

Foto: Tima Miroshnichenko / Pexels

La Legge di Moore è stata ridefinita più volte dal suo stesso autore. Prima l’intervallo di raddoppio era un anno, poi si alzato a due e poi negli ultimi anni la scalabilità della tecnologia si è fermata, rendendo più difficile definire una scala di evoluzione costante. Per diversi decenni però questa legge empirica ha trovato un’applicazione costante nello sviluppo dell’industria. Un fenomeno che è durato almeno fino al 2016 quando questa previsione empirica ha smesso di trovare conferma nella realtà.

Insomma alla fine la previsione del produttore di microchip che teorizzava che ogni anno servissero sempre il doppio di microchip che egli stesso vendeva è stata considerata dagli americani come una geniale legge da seguire pedissequamente.

Non è che noi europei possiamo dirci più svegli perché abbiamo appena fatto la stessa cosa nel campo dei vaccini in cui le stesse case produttrici che li vendevano ci indicavano quante dosi ne dovessimo fare prima una e apposto, poi due, tre, quattro, poi chi offre di più. Ma così divago.

Ecco la chiave di tutto è la frase: “quando questa previsione empirica ha smesso di trovare conferma della realtà.” L’ho trovata in un articolo al riguardo, è così fottutamente illuminante. Per tradurre una colorita  espressione yankee.

Insomma per anni abbiamo seguito l’indicazione di uno che produceva microchip e altri come lui che dovevamo gonfiare questo mercato che si sarebbe riprodotto in condizioni di progressione matematica fino al giorno in cui, empiricamente, ci siamo accorti che era una stronzata. Che ci avevano abbuffato di microchip anche se non ci servivano in quella misura.

Benvenuti alla Silicon Valley Bank

Una delle sedi di Silicon Valley Bank (Foto: CoolCaesar)

Ma guardate la genialità culturale della legge di Moore. Qualcuno deve aver pensato “ma se funziona così perché non applicarlo alla finanza”, anzi perché non fare una bella banca che finanzia le idee che Moore e scienziati simili producevano con fagianaggine disarmante. Ecco che nasce la Silicon Valley Bank. Lo strumentone finanziario di tutto questi geni delle teorie della vendita dei loro stessi prodotti.

La Silicon Valley Bank nasce da una partita a poker cui partecipano due ex manager della Bank of America. Lo dovevamo capire subito che era un azzardo no? Sono Bill Biggerstaff e Robert Medearis, detto Bob. È l’inizio degli anni Ottanta, stanno giocando a carte e progettano di fondare una banca appositamente dedicata a finanziare le startup tecnologiche. Nel 1983, a San José, in California, aprono la loro prima sede. Iniziano a fare trading in mercati over the counter, cioè al di fuori dei circoli borsistici ufficiali, dove per intenderci tu puoi comprare e vendere azioni che non trovi nei listini.

Negli anni, la Silicon Valley Bank lavora con oltre 30mila aziende, tipo Intel e NVIDIA.  Che poi diciamolo va bene il nome intel con la musichetta ma se chiami un’azienda nvidia qualcosa di strano ce l’hai, anche se fai le schede grafiche tra le più apprezzate. Sembra di sentire Gigi Proietti quando calcava l’accento romano dicendo “nvidiossi”.  Comunque apre molte filiali e diversifica i suoi interessi in nuove aree e, di base, è per antonomasia la banca delle startup. A fine anno scorso, la Silicon Valley Bank figurava tra le prime 20 banche degli Stati Uniti ed era in un certo senso “specializzata” in capitali di rischio.

Silicon: si gonfia e si sgonfia

Silicon Valley Bank (Alpha Photo)

Ecco adesso è passata da essere la ventesima banca degli usa a fallire. Scoppiare. Esplodere. Sparire. Kaputt. Come ha scritto Il Times –«è nata a una partita di poker ed è stata uccisa da un gioco d’azzardo».

Non bastasse,  subito dopo fallisce la Silvergate bank, poi la Signature Bank, e poi la Washington Mutual subito dopo. Una ecatombe. Subito tamponata dall’intervento dei papaveri del governo usa timorosi di una nuova bomba tipo Lehmann Brothers del 2008.

La domanda sorge spontaea: la Silicon Valley Bank gestiva oltre 200 miliardi di dollari. Come diamine è potuto accadere? Ma come abbiamo visto non è sola. Come un salto spazio temporale nella vecchia Europa uno degli istituti più prestigiosi del mondo Credit Swisse ad un certo punto “puff” esplode pure lei. Gli svizzeri, più organizzati, che fanno, prendono i loro concorrenti storici della Ubs e li costringono a comprare la banca avversaria prima che scoppi un casino internazionale.

Ecco applicata la legge di Moore all’economia. Gonfiare, gonfiare, gonfiare fino a che non scoppia. E non è un caso, è esattamente il motore dell’economia moderna. Poi se va bene arrivano gli stati nazionali ovvero le tasse dei cittadini e ripianano, tamponano, abbozzano. E le formichine ripianano le follie dei cicaloni della silicon valley.

Lo scoppio del depresso

Rodolfo Laganà

Una volta in Italia, per molti casi, in particolare per la Fiat ma non solo si diceva “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”. Ecco l’economia moderna si basa su un concetto simile. Ma gli americani ci hanno messo quel tocco in più.

La Silicon Valley Bank finanzia i colossi dell’informazione e dei social. Costoro ci spiegano che la Silicon Valley Bank è brava e solida e tutti dovrebbero fare come lei. Condizionano un mercato dopato attraverso le opinioni veicolate e poi ogni tanto puff esplodono beatamente lasciando una scia di buffi giganti per i poveri contribuenti. Che però, apprenderanno attraverso i social, che è tutto per il loro bene.

Una volta c’era una scenetta di Rodolfo Laganà, grande comico di madre anagnina, che descriveva le feste in casa ai tempi delle scuole. Tra le varie figure c’era “il depresso”. Quello cicciottello bruttarello timido che si appartava in un lato, non corteggiava le donne non interagiva e non faceva altro che bere la spuma mentre gli altri ballavano i lenti. La ricordate (lo dico per i boomers) la spuma? C’era nera, rossa, bionda, un pastrocchio zuccherino gasatissimo.

Ecco spiegava Laganà ogni tanto alle feste si sentiva un “boom” forte, tutti preoccupati, poi c’era il romoletto di turno che spiegava “niente, niente è solo scoppiato un depresso”. Ecco Laganà aveva teorizzato da antesignano la politica economica moderna. Ogni tanto scoppia un depresso. Peccato che oggi siano banche.

Quello dei Bitcoin

D’altronde io avevo già teorizzato una formula simile in una cena tra amici in cui uno di noi aveva iniziato a vendere bitcoin. Mostrava fiero i guadagni continui che gli accreditavano sulla fiammante carta di credito sostenendo che investendo cento euro gliene ridavano duecento a settimana. Alla grandissima.

Mi venne  solo un pensiero, che i soldi non si moltiplicano da soli e quindi se tu guadagni qualche altro fagianone perde per forza. Il sistema non si autoalimenta. E fui l’unico a rifiutare gentilmente l’acquisto dei famigerati bitcoin, gli altri si lanciarono entusiasti.

Rincontrati dopo qualche mese mi permisi di chiedere come vanno i bitcoin? E la risposta più gentile fu “limortacciloro ci ho perso”, chi tremila euro, chi duemila, chi cinquemila.

Dunque a questa teoria della moltiplicazione del denaro non ho mai creduto. Solo per fede ho creduto a quella dei pani e dei pesci ma anche lì qualche sospetto di propaganda mi è venuto sempre. In più mi era bastato sentire Mario Draghi un giorno dire ma chi c’è dietro i bitcoin? Chi li garantisce? Per capire che era un rischio.

Allora qual è l’effetto di queste esplosioni bancarie, che poi il sistema si impaurisce, cala la fiducia e va a picco. Così si alzano i tassi. E mentre i cicaloni della silicon valley godono coi soldi dell’operaio del Bronx o di quello di Canicattì, perché l’economia è purtroppo globale gli stessi poveri contrattori di mutui e debiti si sono visti moltiplicare interessi su interessi nei prestiti, dai più piccoli ai più grandi. Non fosse poi bastata la tragicomica vicenda della guerra in Ucraina servita solo a fiaccare definitivamente l’economia europea.

Orfani di Mario

Mario Draghi

Ed oggi con la silfide Lagarde alla guida della Banca Centrale Europea, che solo a vederla mette un senso di debolezza, non possiamo neanche contare su un Mario Draghi che in occasioni simili disse il famoso “whatever it takes” nel 2012 parlando della crisi del debito sovrano europeo per indicare che avrebbe fatto letteralmente tutto il necessario  per salvare l’euro dalla speculazione.

Allora funzionò ma oggi Draghi non c’è più il sistema è più debole e inoltre c’è la guerra “degli americani”. Per cui bolletta raddoppiate, mutui idem e via felici e contenti sui social finanziati dalla silicon valley che vi spiegano che, si vi abbuffano di debiti, ma loro sono tanto moderni tanto gentili e tanto tanto solidi.

Allora mi è risultato chiaro che oggi dalla legge di Moore siamo passati direttamente alla legge di Murphy. La prima proprio, quella che recitava: “se qualcosa può andar male lo farà”.

E che comunque tra gli scienziati della silicon valley e le protuberanze in silicone delle procaci soubrette italiane è sempre meglio scegliere le seconde. Tutte e due attraggono fatalmente, ma le seconde fanno molto meno danno e meno debiti.