Speculazioni nel nome del Signore: le accuse a Di Ruzza

Chiuse le indagini sulle speculazioni fatte dal Vaticano con fondi destinati ai poveri. Chiesto il processo per dieci. Tra loro anche Tommaso Di Ruzza, ex direttore dell'Antiriciclaggio vaticana. Le 500 pagine di accuse.

Intercettazioni, analisi forensi dei dispositivi sequestrati e testimonianze. Così l’Ufficio del Promotore di Giustizia vaticano è riuscito a ricostruire il complesso mosaico delle vicende che si sono snodate attorno all’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue a Londra. Un’operazione finanziaria che ora ha portato alla citazione a giudizio per dieci persone, tra cui il cardinale Angelo Becciu ed il dottor Tommaso Di Ruzza che era a capo dell’Antiriciclaggio. Il suo superiore all’epoca dei fatti René Brülhart è convinto che siamo davanti ad un “abbaglio processualeSiamo certi che non appena ci sarà consentito di spiegare tutto questo verrà chiarito in un batter d’occhio”.

Cinquecento pagine di accuse

La sede dello Ior. (Foto: Imagoeconomica, Daniele Scudieri)

Un documento di circa 500 pagine raccoglie le accuse. Analizza nel dettaglio le dinamiche che hanno portato a investimenti costati ingentissime perdite alle finanze vaticane. C’è chi ha collaborato: è il caso di monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato per 10 anni (dal 2009 al 2019). Le sue dichiarazioni agli inquirenti iniziano nel mese di agosto 2020 e la citazione dà atto che ha fornito “un prezioso contributo perla ricostruzione di alcuni momenti centrali della vicenda relativa al palazzo di Londra“.

Altri elementi chiave li ha indicati Luciano Capaldo, attuale gestore dell’immobile di Londra: viene giudicato “una fonte dichiarativa importante” dai magistrati vaticani. Ha fatto pervenire un dossier pieno di dettagli sul palazzo di Sloane Avenue: per gli inquirenti della Santa sede “costituisce un prezioso punto di riferimento, oltre che per inquadrare i termini di riferimento dal punto di vista economico dell’operazione, anche per illuminare sui ruoli svolti“.

Dieci indagati

Monsignor Angelo Becciu (Foto: CNS photo/Paul Haring / Catholic News Service)

Al centro delle accuse ci sono 10 persone. Tra loro c’è l’ex Sostituto della Segreteria di Stato Angelo Becciu (per il quale il Papa ha dato l’assenso il 19 giugno scorso), il suo ex segretario monsignor Mauro Carlino e la sua donna di fiducia Cecilia Marogna. Poi i finanzieri Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi. L’indagine tocca anche l’ex direttore dell’Aif Tommaso Di Ruzza di Aquino ed il suo superiore il presidente René Brulhart per cui però si procede separatamente.

Ci sono poi l’ex gestore delle finanze vaticane Enrico Crasso, l’avvocato Nicola Squillace, oltre a quattro società, una della Marogna e le altre tre riconducibili a Crasso.

L’esame delle accuse a loro carico inizierà il 27 luglio prossimo.

Speculazioni nel nome del Signore

Un’inchiesta che ha fatto emergere una serie di operazioni speculative finanziate anche con i soldi per i poveri nella diretta disponibilità del Papa, quelli dell’Obolo di San Pietro. Operazioni che hanno portato a perdite milionarie per la Santa Sede.

Tutto comincia dagli investimenti (a perdere, secondo i magistrati) fatti dalla Segreteria di Stato con Raffaele Mincione e dall’idea del Vaticano di uscire dall’impasse e chiudere i rapporti con il finanziere italo-svizzero lasciando a lui la parte mobiliare e dirottando i soldi investiti nell’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue a Londra.

A questo punto, il finanziere avrebbe fatto lievitare il valore dell’immobile in modo da ottenere un maxi guadagno dalla exit strategy del Vaticano. Ipotesi che ha fatto scattare per Mincione le accuse di appropriazione indebita, truffa e autoriciclaggio proprio per avere attribuito all’immobile di Londra “il valore, del tutto ingiustificato, di 230 mln di sterline a fronte di una valutazione di poco precedente pari a 129 mln“, si legge nella citazione a giudizio. E per avere ottenuto “un ingiusto profitto con danno per la Segreteria di Stato per un importo complessivo di 78,9 mln di euro” per consentire alla Santa Sede di uscire dalle operazioni reputate non più convenienti.

Becciu, Mincione, Crasso e Tirabassi sono accusati poi di peculato in concorso. L’accusa ipotizza che “si appropriavano di parte delle liquidità versate dalla Segreteria di Stato nel fondo Athena di Mincione, per 200,5 milioni di dollari ottenuti “ricorrendo ad una complessa architettura finanziaria”.

L’accusa a carico di Becciu, Mincione, Crasso e Tirabassi ipotizza anche il peculato per aver disposto che “somme vincolate a finalità di carità venissero impiegate per attività altamente speculative e, comunque, contrarie a quelle per le quali esse erano state raccolte presso i fedeli“. E per aver consentito e reso possibile “l’acquisto di un bene (il Palazzo di Londra) a condizioni inique e gravemente dannose per la Segreteria di Stato”.

Le accuse a Di Ruzza

Tommaso Di Ruzza (Foto: Imagoeconomica, Paola Onofri)

Il dottor Tommaso Di Ruzza entra nelle indagini in seguito alla triangolazione sul palazzo di Londra. Sulla sua scrivania arriva il caso dello Share Purchase Agreement con Gutt Sa. È una società di diritto lussemburghese. E con Athena real estate & special situations fund 1. Per l’accusa l’operazione avviene “senza alcuna preventiva istruttoria sulla fattibilità giuridica e sulla convenienza economica dell’operazione“. Questo avrebbe determinato “un esborso complessivo, per la Segreteria di Stato, di oltre 350 milioni di euro per conseguire la piena proprietà di un bene di valore notevolmente inferiore“. Infatti il palazzo di Londra era stato “acquisito dal precedente proprietario (la Time and Life Sa controllata da Mincione), a dicembre del 2012, al prezzo di appena 129 milioni di sterline“. 

All’ex direttore dell’Antiriciclaggio vaticana Tommaso Di Ruzza viene contestato l’abuso d’ufficio insieme a Carlino e Tirabassi, e con l’ex presidente René Brulhart. Perché? Perché nonostante avessero avuto notizia dell’operazione con Gutt Sa, che, scrivono i magistrati vaticani, “per natura, complessità, rilevanza dell’importo e tipologia dei soggetti coinvolti, doveva considerarsi sospetta“, avrebbero omesso “di denunciare il tentativo, prima, e la consumazione, poi, dell’estorsione commessa da Gianluigi Torzi“.

L’estorsione ed il via libera

Foto: Livio Anticoli / Imagoeconomica

 Quale estorsione? L’accusa la ipotizza per Carlino, Crasso, Tirabassi e Torzi in relazione ai 15 milioni di euro versati dalla Santa Sede a Torzi. Secondo le accuse, Torzi li pretende per rimettere le mille azioni con diritto di voto di Gutt Sa. Lo fa dopo una trattativa che ha visto coinvolti diversi emissari della Segreteria di Stato. Ritiene che quei soldi gli siano dovuti. Altrimenti non molla le azioni. Ricostruisce l’indagine che il banker molisano avanza le sue richieste perfino a margine di un incontro con il Papa il 26 dicembre 2018.

Ecco: per gli investigatori vaticani, da un certo punto in poi il direttore Tommaso Di Ruzza doveva avere cosapevolezza di quanto stava succedendo ed avrebbe dovuto denunciare le pretese di Torzi.

Inoltre, il 18 aprile 2019 il direttore dell’Antiriciclaggio Vaticana con Carlino, Tirabassi e René Brulhart avrebbero di fatto dato il via libera all’operazione con una lettera alla Segreteria di Stato e allo studio legale inglese Mishcon De Reya. Quella lettera “informava che l’operazione era stata ristrutturata dalle parti e che alle nuove e rinnovate condizioni essa si sarebbe potuta concludere“.

Inoltre l’accusa contesta di non avere bloccato il pagamento dei 15 milioni nonostante avessero “appreso che la Segreteria di Stato stava eseguendo a Gianluigi Torzi il pagamento di una somma di 15 milioni di euro. Erano diretti verso Paesi con i quali è difficile la collaborazione a livello giudiziario. E che tali somme, in tutto o in parte, non erano dovute”. E non solo: su Torzi l’antiriciclaggio aveva “ricevuto, su sua richiesta, segnalazioni negative”.

Chiarimenti immediati

Rene’ Brulhart e Tommaso Di Ruzza Foto: Carlo Carino / Imagoeconomica

 A Tommaso Di Ruzza l’accusa contesta anche il peculato. Perché? Per via di alcune spese per 23mila euro pagate con le carte di credito dell’Aif tra il 2015 ed il 2019. Poco più di 4mila euro l’anno. Ma di cosa si tratta? Spese di ristorante, di noleggio di imbarcazione, di acquisto di biglietti aerei, ferroviari e presso strutture alberghiere. Che però il direttore ritiene fossero spese di servizio, per spostamenti fatti per l’ufficio.

È convinto che le cose stiano in maniera ben diversa anche René Brülhart, ex presidente dell’Autority antiriciclaggio del Vaticano e superiore di Tommaso Di Ruzza. Ne ha già difeso l’operato nei primi giorni delle indagini. Ed aveva anche disposto un’indagine interna dalla quale era risultata la regolarità delle iniziative adottate dall’ufficio. (leggi qui L’Autorithy vaticana assolve Di Ruzza: “Piena fiducia, nessuna condotta impropria”).

L’ex direttore si è imposto un silenzio da clausura: dal giorno dell’apertura delle indagini mai una sua dichiarazione è emersa. Nemmeno quando il Papa aveva fatto il suo nome nel corso di un volo internazionale. (Leggi qui In volo dall’Oriente il Papa svela i suoi dubbi su Di Ruzza: “Dovevano vigilare”).

L’ex presidente non ha dubbi: “tutto questo verrà chiarito non appena ci sarà consentito di spiegare”. Bruelhart ritiene che l’ufficio e quindi anche Di Ruzza) abbia “sempre agito nell’interesse esclusivo della Santa Sede e degli organi che la rappresentano. Bruelhart non ha fatto nulla di diverso da quelli che erano  i suoi compiti“.