Maria Spilabotte… che pizza !

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Maria Spilabotte… che pizza! Porta anche il fondamentale apporto della senatrice di Frosinone la proposta di legge che decreterà la morte della pizza. A dirlo sono i pizzaioli dell’Associazione pizzaiuoli napoletani (Apn) ed i loro colleghi siciliani riuniti nell’Upi (Unione pizzaioli italiani). In tutto, riuniscono un migliaio di iscritti.

Cosa ha fatto la parlamentare ciociara questa volta? A raccontarlo è l’edizione on line de Il Fatto Quotidiano.

Si parte dalla legge che sta per essere sfornata dal Senato. Va a disciplinare “L’attività dei pizzaioli professionisti” e ne è attenta relatrice Paola Pelino.

Così, a pensarci bene, scopriamo che Peppe o’ pizzettaio, quello che ci fa la marinara proprio come piace a noi, né soffice né troppo bassa, con l’alice non troppo salata… non è un professionista. E come lui, pure Gennaro o’ Malamente e pure Alì il ragazzo tanto bravo che è egiziano ma ha imparato a fare le pizze da Maria perchè nessuno ci voleva stare davanti al forno. Ma che significa “Non è un professionista?”

Manca un albo dei pizzaioli. In tutta l’Italia. Abbiamo gli ingegneri, i medici, gli architetti, i giornalisti, i dentisti… mancano i pizzettai. Finora ci siamo mangiati la pizza fatta da mani non iscritte in alcun albo. Se n’è accorto per noi tutti quell’uomo così attento che risponde al nome di Alfonso Pecoraro Scanio. Già ministro dell’Ambiente, trombato di lusso, troppo giovane per fare il pensionato. Per impegnare il tempo libero ha aguzzato l’attenzione. Ed ha fatto caso che esportiamo nel mondo abilissimi impastatori di farina acqua e lievito, tali da far garrire con soddisfazione il tricolore sulle tavole di tutto il globo. Però… formalmente il pizzaiolo non esiste. In Italia “Rappresenta un lavoratore fantasma privo di titoli giuridicamente efficaci dal punto di vista professionale” spiega il ddl 2280.

Urge una soluzione. La racconta Il Fatto, rivelando che un parlamentare forzista, timoroso di dover continuare a mangiare pizze non professionali, si è inventato

un diploma da pizzaiolo, rilasciato dopo un corso di almeno 120 ore (di cui 30 di lingua straniera e 20 di scienze dell’alimentazione) e un esame pratico-teorico davanti a una commissione di esperti. Dopodiché viene l’iscrizione obbligatoria (e a pagamento) a un elenco istituito presso le Camere di commercio e a un albo nazionale tenuto da un nascituro ordine dei pizzaioli professionisti, il che è – attenzione – “condizione necessaria per l’esercizio dell’attività professionale” e per poter “utilizzare marchi o insegne in cui ricorrano riferimenti alla professionalità medesima”. Traduzione? Addio Pizzeria Marechiaro o Bella Napoli, insomma, se a impastare acqua, farina e lievito non è un membro riconosciuto (e pagante) dell’ordine di cui sopra.

Insomma, ve lo immaginate il nostro Peppe o’ pizzettaio mentre si spara 30 ore di tedesco? Per farci che, domanderete voi. Ma è chiaro. Oggi il mondo è globale. Metti che una sacchetta di farina, invece di arrivare dal Molino Polselli di Arce ti provenga da Francoforte? Che si fa: non si impasta una bella pizza, solo perché Peppe non sa dire all’impasto come comportarsi dentro il forno? E metti che a quello, mentre si cuoce a legna, gli venga sete o abbia voglia di un filo d’olio a crudo? Da dentro il forno comincia a gridare a Peppe wasser! wasser! E quello non ti ha fatto le 30 ore di corso, quindi ti salta tutta la cottura. Meglio studiare.

Così come le 20 ore di scienza dell’alimentazione. Vuoi mettere, impastare, ammassare, roteare e infornare senza avere la consapevolezza  degli amidi che spezzano le loro catene nucleari all’interno del forno a legna e poi se eccedi con un tocco di lievito quello fermenta nel pancino per tutta la notte? Studiare! Studiare e diventare professionisti!

La cultura costa. E così, Peppe, insieme a Ciro, Gennaro ma pure Alì, si dovranno mettere in fila e fare i corsi. Pagando. Profumatamente, s’intende. E chi incassa: lo Stato? Renzi non sapeva più a che attaccarsi? Macchè.  A organizzare i corsi (obbligatori), a condurre gli esami (obbligatori), a rilasciare diplomi (obbligatori) e a gestire l’elenco (obbligatorio) dei diplomati saranno “esclusivamente” le associazioni nazionali di pizzaioli riconosciute dal ministero dello Sviluppo economico. In altre parole «La legge regala a pochi soggetti il business incredibile della formazione e del riconoscimento». Lo sostiene Sergio Miccù, presidente dei pizzaioli napoletani. La sua associazione è in prima linea contro «una politica che fa le leggi col copia-e-incolla e finisce per creare la casta della pizza».

E qui entra in scena la nostra Maria Spilabotte. Rivelano i colleghi de Il Fatto

La relazione, compresi dati e fatturato delle pizzerie, è infatti copiata pari pari da una proposta di legge del lontano 2007, quella dei senatori Lion e Fundarò (Verdi). Un altro buon pezzo del ddl (i corsi, gli esami, il diploma, il ruolo delle associazioni) è ispirato da altri testi presentati in passato, in primis quelli del Pd Giovanni Legnini. Ma è con l’attuale legislatura che i copiatori seriali si moltiplicano: alla Camera ecco Sabrina Capozzolo, Pd, che propone la Patente europea del pizzaiolo (Pep) mentre al Senato, in nome della Pep, si sono attivati il Pdl con Pietro Iurlaro (oggi in Ala) e il Pd con Maria Spilabotte. E qui viene da ridere: sia il Pd che il Pdl hanno presentato un articolato praticamente identico, parola per parola. Confrontare per credere. Persino la relazione iniziale è un copia-e-incolla con trascurabilissime varianti stilistiche, e tutt’e due i testi, a loro volta, si rifanno al “fare la pizza è un’arte” dell’illustre antesignano Legnini. Qualche variazione in tanto copiare, comunque, c’è. Legnini punta, come associazione partner di corsi ed esami, sul Comitato italiano pizzaioli. Spilabotte e Iurlaro, invece, affidano il monopolio di esami e diplomi all’Amar, una piccola associazione pugliese capitanata da tale Enzo Prete, classe 1962, pizzaiolo di Brindisi, vincitore nel 2008 della “Coppa del Mondo della pizza dessert”.

Tutto scritto nel testo. Per nostra sfortuna c’è ancora il bicameralismo a rallentare i lavori parlamentari. Ma una volta che sarà passato il referendum e abolito il bicameralismo, leggi come questa passeranno in un attimo. E daranno a tutti noi le norme di cui il Paese ha bisogno per rilanciarsi in maniera definitiva. Grazie anche a Maria ‘Capricciosa‘ Spilabotte.

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