Stellantis, pregando al capezzale di Cassino Plant

Un impianto eccellente, capace di produrre cento ma 'spinto' ad appena venti. È il caso dello stabilimento Stellantis Cassino Plant. Le origini della crisi. I segnali ignorati. Le illusioni e gli illusionisti. In attesa che il governo intervenga

Fabio Cortina

Alto, biondo, robusto, sOgni particolari: molti

Assurdo. Lo stabilimento Stellantis adagiato all’ombra dell’abbazia di Montecassino lavora al 20% delle proprie capacità. Può produrre 100 e alla fine produce 20: come se un panettiere ogni mattina alle tre accendesse il forno per produrre solo venti pagnotte mentre potrebbe realizzarne cento. Non solo. Ogni trimestre che passa lo stabilimento viene utilizzato sempre meno. Va letto così il report diffuso ieri. Quello che di tre mesi in tre mesi realizza il centro studi della FIM Cisl nazionale. Sta diventando una sorta di bollettino di guerra. O meglio, se volete, somiglia alle preghiere che si recitano al capezzale di un malato. (Leggi qui Stellantis, Cassino in caduta libera spera nel Tridente).

All’inizio era Giulia che non tirava come avrebbe dovuto; poi Giulietta che fisiologicamente cala dopo dieci anni; in successione lo Stelvio che costa troppo; e poi il Covid. Continuiamo? Ma sì, la Giulietta che esce di produzione ed infine i semiconduttori. Per ogni stagione c’è un responsabile, più o meno noto.

Fermarsi però al dato numerico e alle fredde spiegazioni che fornisce il sindacato, non basta. L’analisi va fatta sul contesto globale, al netto della storia che cambia e fluisce.

TUTTO CAMBIA, ANCHE LE FABBRICHE

La Fiat Ritmo sulla catena di montaggio di Piedimonte San germano

Cassino Plant non è più la vecchia Fiat di Cassino. Non è più una fabbrica che fa volumi negli anni ’70 e ‘80 con 126, Ritmo, Regata e Tipo. Non è neanche più la fabbrica di Bravo, Brava, Marea che si affacciava al nuovo millennio. Così come sono un ricordo Delta, la seconda generazione di Bravo e Giulietta.

Lo stabilimento che produce modelli di massa non esiste più dall’ultimo segmento dell’era Marchionne. Fu proprio il manager italocanadese ad affermare che: “Se vogliamo fare la guerra ai giapponesi perdiamo in partenza”. Una frase che in molti sottovalutarono, ma che fu la cesura netta con un tempo che non c’è più

Ed allora ecco il segmento Premium, il polo del lusso: “Cassino sarà la casa del marchio Alfa Romeo che tornerà agli antichi fasti”. Non è andata proprio così, o forse sì. Perché chi pensava che Stelvio e Giulia – quest’ultima forse l’unico grande errore strategico di Marchionne – vendessero come una Panda, o era un pazzo o di motori ci capiva ben poco. La strategia dell’allora management FCA era chiara: costruire meno auto, ma con un margine di guadagno maggiore.

ILLUSIONI ED ILLUSIONISTI

Foto Tiberio Barchielli © Imagoeconomica

Nel mezzo si è inserita la politica, con le assunzioni annunciate, ma senza seguito; con l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi che suggerisce a Marchionne, proprio a Cassino, “Ma perché assumerne 1.800? Facciamo uno sforzo, arriviamo a 2mila” e tutti che pensano che sia arrivata la svolta.

Macché svolta, è proprio da lì che è partito il declino. Dal 2017, dati Cisl alla mano, si sono prodotti 91 mila pezzi in meno all’anno, un crollo del 68% ed una fabbrica perfetta in ogni suo segmento, che lavora su un solo turno.

Eppure il risveglio non è stato brusco, ma graduale. Ogni tre mesi ci è stato ricordato che le macchine prodotte erano sempre meno, così come i lavoratori. Oltre 1000 a casa senza neanche un licenziamento, semplicemente non assumendo ed assecondando pensioni, scivoli ed uscite volontari. Perché? Perché è evidente che in questa fabbrica, così bella ed efficiente non ne servivano così tanti secondo i piani dell’azienda. E perché per produrre qualcosa con cui guadagni di più serve meno manodopera e se per una gamma di motivi produci meno, ne servono ancora meno.

Negli ultimi cinque anni, i governi che si sono succeduti, hanno osservato, sperando che la soluzione arrivasse dal cielo, con la certezza che gli ammortizzatori sociali bastassero.

LE TRE VARIABILI, UNA PONDERABILE

Se a tutto ciò si aggiungono tre variabili, due imponderabili ed una un po’ meno, il patatrac è fatto. Partiamo dalla variabile che chi di dovere avrebbe dovuto quantomeno prefigurare: i costi. La narrazione del “Produrre in Italia è oneroso”, è sempre stata usata come racconto di un proprietario che vuole massimizzare i costi sulle spalle degli operai in una nazione lontana, ma mai come base di partenza di un discorso reale sui costi energetici

La realtà ci è arrivata in faccia come un treno: a livello di bolletta siamo uno dei peggiori posti in cui investire. E carlos Tavares, appena salito al comando, proprio da Cassino ha detto – un po’ come il Marchese del Grillo con l’ebanista Aronne Piperno – “Bella la fabbrica, belle le tecnologie, ma qui conviene poco”.

Le altre due variabili e su queste neanche Nostro Signore poteva far nulla, sono il Covid ed i semiconduttori: in pratica la tempesta perfetta. Con una si faranno i conti anche per buona parte dell’anno appena iniziato, con l’altra solo Dio lo sa, ma diciamo che chiusure come quelle del 2020 non dovremmo vederne più.

Il risultato è che ad oggi Cassino ha chiuso l’anno con 43 mila auto prodotte e spiccioli, di cui due terzi Stelvio ed il resto Giulia, più circa 100 pre serie di Grecale. Ed è proprio da qui che si alimenta l’unica speranza possibile per Cassino. Da quel macchinone col Tridente sul frontale, auto di una bellezza da mozzare il fiato e che non sarà per tutte le tasche, anzi, sarà per poche. 

LA SPERANZA IN PIATTAFORMA

Maserati Grecale

Parliamoci chiaro, l’arrivo del Grecale non sarà la panacea dei mali di Cassino. Anzi, gli ammortizzatori sociali continueranno ad essere vivi e vitali tra i capannoni di Piedimonte, ma quest’auto potrebbe rappresentare una svolta.

Anzi, più che l’auto lo sarà la piattaforma su cui verrà costruita. E’ nelle due parole che descrivono il pianale la chiave di tutto: premium hibrid. Vale a dire una piattaforma su cui verranno costruite auto di quel segmento, con i motori della transizione: prima ibrido e poi elettrico. Si partirà con Grecale, poi si passerà a Giulia e Stelvio e poi… Tocca a Tavares.

Il primo marzo il grande capo di Stellantis svelerà le missioni fabbrica per fabbrica. Jean Philippe Imparato, CEO di Alfa Romeo, aveva assicurato che da qui al 2026, ci sarà un modello all’anno per Alfa, Lancia e DS. Tutte auto premium, tutte auto che potenzialmente possono essere costruite a Cassino. (Leggi qui Stellantis annuncia la svolta: a marzo il piano).

IL RUOLO DEL GOVERNO

Mario Draghi

Prima di quella data però occorrerà che il Ministro Giancarlo Giorgetti riconvochi il tavolo Stellantis. Con l’azienda che dovrà spiegare cosa sta accadendo ed il Governo che dovrà raccontare come intende affrontare la transizione. L’obiettivo, come spiegano dalla Cisl è quello di mettere in sicurezza gli stabilimenti italiani, ma il sindacato sa anche bene che non è possibile parlare solo di Stellantis senza una strategia per il settore.

Ad esempio, come è possibile immaginare di far ripartire il settore senza destinare incentivi a chi vuole comprare auto elettriche o ibride, che ad oggi costano davvero tanto, a tratti troppo? No, perché nella manovra non sembra ci siano interventi di questo genere. Come è pensabile trovare operai che costruiscano queste auto senza un’adeguata formazione e quindi un sostegno a periodi senza lavoro per imparare che la transizione è anche un fatto lavorativo e non solo un lavoro?

Se da un lato occorre la volontà condivisa di Stellantis di scommettere ancora su questo posto in cui conviene poco investire, dall’altro serve anche quella del Governo di accompagnare il settore evitando un bagno di sangue da 40 mila posti di lavoro. Altrimenti, come cantava Lucio Dalla in “Intervista all’avvocato”, ci accorgeremo che, almeno per l’industria in Italia, l’auto non ha futuro, l’auto è in crisi profonda, stecco di legno sull’onda. 

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