La profezia di Stirpe si avvera: mancano 280mila tecnici e non li abbiamo

La profezia del vice presidente nazionale di Confindustria inizia a materializzarsi. Mancano 280mila tecnici qualificati ma non li abbiamo. Il 4.0 chiede figure professionali che in Italia stentano a decollare.

Fabio Cortina

Alto, biondo, robusto, sOgni particolari: molti

La profezia di Maurizio Stirpe è stata vaticinata con un anno e mezzo di anticipo sui tempi. Matteo Renzi ancora governava l’Italia, Sergio Marchionne collocava sul mercato mondiale la fiche chiamata Stelvio. Ad un passo da loro, il vice presidente nazionale degli industriali avvertiva che il lancio del suv Alfa Romeo ci poneva tutti di fronte ad una realtà: l’ingresso nella quarta rivoluzione industriale. E noi, l’Italia, avvertiva Maurizio Stirpe, eravamo tutto fuorché preparati (leggi qui Stirpe: «I robot prenderanno 5 milioni dei posti di lavoro»).

 

Tanti robot che entrano nelle nuovissime superfabbriche e pochi, pochissimi tecnici che potranno dialogare con loro. Tanto per citare un passo della profezia, il vicepresidente nazionale di Confindustria disse a dicembre a Cassino:

“Il 4.0 è una sfida che non possiamo perdere. Altrimenti la vinceranno i nostri competitor europei. E noi ci ridurremo ad essere loro clienti anzichè loro fornitori. Il 4.0 è tema centrale per lo sviluppo, per la produttività e la competitività”.

Oggi, dopo sedici mesi, nulla è cambiato. Anzi Confindustria aggiunge un altro dato a questa profezia del baratro verso cui, dopo anni di assistenzialismo e poca attenzione alla specializzazione, l’Italia sta precipitando. A raccontarlo è Giovanni Brugnoli, responsabile del capitale umano dell’associazione degli industriali: «L’industria reclama ben 280.000 «super tecnici. Ed è una cifra circoscritta solo a cinque settori produttivi e riferita solo ai prossimi cinque anni: se allargassimo l’orizzonte ci accorgeremmo che quella soglia è destinata a crescere».

La traduzione è che il made in Italy ha bisogno urgente di manodopera altamente qualificata, giovane, nativa digitale, disposta a lavorare nell’industria 4.0, quella del futuro. Ma fatica a trovare quelle figure.

 

«L’indagine da noi svolta – racconta Giovanni Brugnoliha preso in esame cinque settori cardine per l’Italia, vale a dire la meccanica, l’agroalimentare, la chimica, la moda e l’ICT.

Abbiamo domandato di quali e quante figure professionali le aziende avessero bisogno in un arco di cinque anni e tenendo conto di una crescita economica simile a quella dell’ultimo anno. E la cifra che ne è venuta fuori è quella: tenendo conto del saldi tra pensionamenti e diplomati dagli istituti tecnici il gap previsto è di 280.000 tecnici che la nostra manifattura non riuscirà a trovare sul mercato.

Un autentico cortocircuito, perché negli ultimi mesi le aziende hanno investito molto per rinovare i loro impianti e adeguarsi alla rivoluzione digitale ma ora rischiano di non trovare le persone necessarie a farli funzionare».

 

E Brugnoli traccia anche l’identikit di questi tecnici. Gente che almeno abbia un diploma in tasca, questo è chiaro. «La prima caratteristica – racconta ancora Giovanni Brugnoliè “flessibilità”, inteso come atteggiamento mentale e disponibilità al cambiamento. Nella fabbrica tradizionale le mansioni di un dipendente mutavano ogni venti anni, oggi questo arco di tempo si riduce. Ora è di tre anni, al massimo cinque.

È la conseguenza del modo che hanno le imprese di stare sul mercato e della grande competizione.

Le altre qualità devono essere intuito e curiosità, voglia di apprendere. Poi naturalmente essere in possesso di cultura digitale perché ormai tutto passa da lì. Le nuove generazioni, per il mondo in cui sono cresciute dovrebbero essere in possesso naturalmente di queste caratteristiche».

 

Il problema come si risolve? «Con un grande lavoro di orientamento scolastico, sulle famiglie e sui ragazzi. Facendo capire loro dove lo studio si può maggiormente concretizzare in uno sbocco di lavoro. E quali sono le opportunità offerte dal territorio in cui vivono. Da qui può mettersi in moto un percorso virtuoso che magari comincia con l’alternanza scuola-lavoro, con la conoscenza delle opportunità offerte. Si comincia così. Impegnandosi, faticando ma aggiungendo al proprio curriculum cose fatte anziché semplici sogni».

 

Questa la realtà dei fatti, questo il mondo in cui non ci stiamo preparando ad andare. Nonostante la profezia.

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