Stirpe suona la sveglia al Governo: «Basta tweet e posizioni plateali, si passi a cose concrete»

Il vice presidente di Confindustria Maurizio Stirpe suona la sveglia al Governo: «Dai tweet e dalle prese di posizione plateali si deve passare alle riunioni su temi più concreti». La paura della dinistermediazioni. E delle sue conseguenze per industrie e lavoratori.

«È arrivato il momento di passare dai tweet e dalle prese di posizione plateali alle riunioni su temi più concreti»: Maurizio Stirpe toglie i panni del presidente di un Frosinone che ha appena conquistato con le unghie ed i denti la Serie A. Indossa quelli del vice presidente nazionale di Confindustria: e suona la sveglia al governo Conte ed al ministro Luigi Di Maio.

 

Lo fa intervenendo all’appuntamento indetto da Unindustria all’interno della cartiera Wepa di Cassino per parlare di Premi di Risultato e Welfare come leve di sviluppo per le Piccole e Medie Imprese.

 

Il tema è legato agli stipendi italiani: sono tra i più alti in Europa ma nelle tasche dei lavoratori finisce molto poco. Il resto se ne va in tasse e contributi, è il cosiddetto “cuneo fiscale”. Ed i piani di wellfare, dice il convegno, possono essere una soluzione vantaggiosa sia per le imprese che per i lavoratori.

 

È a questo punto che la parola tocca a Maurizio Stirpe. Fa una premessa, il presidente: «Il salario deve crescere solo se cresce la produttività». Rilancia e fa sue le parole del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: «Qualunque riduzione del cuneo fiscale va data a vantaggio dei lavoratori». Perché? Sono loro che fanno ripartire i consumi e se si compra di più, automaticamente si deve produrre di più.

 

Stirpe va oltre: «Il Jobs Act non va smontato, ma completato».  L’Euro? C’è chi vorrebbe uscirne, chi propone una doppia moneta: gli industriali ritengono che «L’Euro è la moneta giusta, servono le condizioni di contorno».

 

Ma è qui che affonda il colpo Maurizio Stirpe. Dice: «Dai tweet e dalle prese di posizione plateali si deve passare alle riunioni su temi più concreti».

Quali? Il primo tema è la disintermediazione. Cosa significa? Il ministro Luigi Di Maio ha incontrato i lavoratori. «Ora, leggo dalle agenzie di stampa, incontra i protagonisti della gig economy: il rischio è quello di andare ad una disintermediazione». Cioè quello di indebolire fino ad annullare il ruolo di rappresentanza che hanno le associazioni degli imprenditori ed i sindacati.

Perché è un rischio? «Un paese che abbia un ambiente di questo tipo non ‘protetto’ da accordi e tutele di categoria, nessuno investe più perché non si sente garantito».

Un esempio è il dumping contrattuale: oggi esistono 868 contratti diversi, solo una sessantina fanno riferimento a Confindustria, gli altri hanno condizioni meno favorevoli per i lavoratori.

Il rischio è che si arrivi ad un salario minimo garantito per tutti e poi ognuno vada a definirsi in sede locale i dettagli dell’accordo di lavoro. Una specie di contrattazione di secondo livello, saltando però il primo.

Dove sta il rischio? «Tagliando fuori i sindacati e le associazioni di categoria, si arriva ad un salario minimo garantito. Poi, alle elezioni, la sfida tra i Partiti sarà sull’importo di quel salario: che però dovranno pagare le imprese. E sarà sganciato dalla produttività. Rendendo non più conveniente stare in Italia».

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