Chi taglia, chi cuce e chi inciucia al matrimonio dell’anno Salera – Secondini

Camilla de Tourtrissac

Tagliacucitrice con gusto

 

 

Una nuvola di organza in seta bianca: linee classiche ma non barocche, fasciano il corpo ma non ostentano, trame che lasciano vedere ma non scoprono più del dovuto, l’equilibrio è una rada veletta bianca sul volto ed un lungo strascico da principessa che diventano modernissimi se si posano sulla raffinatezza senza ostentazione di Alessandra Salera. La figlia del principe del foro di Cassino, l’avvocato Sandro Salera, si è sposata a Roma. Chiesa di San Marco al Campidoglio, all’ombra dell’Altare della Patria in piazza Venezia: c’è un sole preso a piene mani dalla primavera celebra dom Donato Ogliari, padre abate di Montecassino.

 

Nello stesso momento, tra le navate della chiesa e sul sagrato, si celebrano tanti altri riti. C’è tutta la politica che conta nel Cassinate, l’imprenditoria, mezzo Foro, alti magistrati e magnifici rettori: il taglia e cuci è un’arte sopraffina. Tanto che gli arrotini hanno dovuto fare gli straordinari per mantenere in piena efficienza fino a sera le lame.

 

Il padre della sposa, in impeccabile abito sartoriale, veste di scuro rigorosamente classico: punto di incontro tra il rigore londinese e l’estro della cucitura italiana. Emozionato più di quanto vorrebbe mostrare, l’avvocato accompagna all’altare la figlia che porta il suo nome e che si sta facendo largo nello studio. La consegna a colui che nel giro di una quarantina di minuti ne diventerà il marito: il dirigente d’azienda Marco Secondini. Inizia la cerimonia.

 

Ma a metà della navata si teme il dramma. La sposa è sul percorso che la porterà dal futuro sposo ed il cellulare del professore Vincenzo Formisano, docente dell’Uniclam e vice presidente della Banca Popolare del Cassinate, inizia a vibrare con insistenza: è il numero che hanno i familiari, c’è un’urgenza. Donato Formisano, il patriarca, il custode della tradizione della Banca dei cassinati, ha avuto un calo repentino di pressione mentre stava per entrare in chiesa, un mancamento; non vuole saperne di andare in ospedale per un controllino, vuole essere presente alla cerimonia. Deve intervenire il figlio per convincerlo.

 

Mentre nella chiesa edificata  ad Pallacinas da Papa Marco nell’anno del Signore 336 si celebra la funzione, all’esterno Francesco De Angelis e Mario Abbruzzese parlano fitto per una buona mezzora. Il presidente dell’AsiCosilam è in una giacca dalle impunture a vista che andavano di moda un paio di anni fa, dal colore indeciso tra il blu ed il carta da zucchero; il presidente della Commissione Riforme della Regione Lazio è in camicia azzurra e cravatta a bande che ormai per lui sono lo standard. Entrambi sono incavolati neri con Alessioporcu.it che gli ha rovinato la mattinata con l’articolo I Consorziati (leggi qui). Chi ha assistito alla lettura racconta che De Angelis lo ha letto ad alta voce in macchina, a tratti contento ed in alcuni punti inviperito; in un’altra macchina, Abbruzzese leggeva lo stesso articolo ma stranamente era contento proprio nei passaggi in cui De Angelis si inviperiva. Cosa si siano detti fuori dalla basilica è un mistero, chi gli stava accanto ha sentito che oltre a domandarsi perché Alessio Porcu abbia scritto quelle cose e dove voglia arrivare, parlavano del passaggio di Barbara Di Rollo nelle file del Pd (un comunicato veniva inviato proprio in quei minuti alla stampa confermando quello che il solito blog aveva annunciato nei giorni precedenti leggi qui): l’arruolamento punta a fare terra bruciata intorno a Marino Fardelli e sterilizzare ogni sua velleità di crearsi una componente su Cassino per pesare poi in Direzione Provinciale. Barbara – confermano – verrà candidata alle regionali ma i voti sono quelli che porterà lei, sarà tutta acqua per il mulino di Mauro Buschini. A lei invece servirà per accreditarsi.

 

Mentre discutono passa vicino a loro Marino Fardelli in blu scuro e cravatta sottile, troppo sottile per la sua età: quelle cravatte vanno lasciate ai ragazzini, se le indossa un capogruppo (seppure di se stesso) regionale, finisce per farlo sembrare un quarantenne sull’orlo di una crisi. E’ scortato dal fratello Luca (direttore dello stabilimento Saf) e dalla mamma: papà Cesare Fardelli è in costante recupero dalla malattia, si è risparmiato il viaggio a Roma ma ha preteso che la figlia lo portasse a pranzo al Mulino. Fardelli passa vicino ad Abbruzzese e De Angelis, saluta ma non si trattiene: è consapevole che rischia di essere accoltellato. Si avvicina allora al costruttore Salvatore Fontana ed all’industriale della saldatura Lino Perrone arrivato su una fiammante Giulia bianca: si sparano subito un selfie guancia a guancia e postano su Facebook: «La Grande Bellezza… Avevamo tutti e tre l’invito … tranquilli». A chi gli fa notare che il copritarga della Giulia tradisce l’acquisto fatto in Molise, Perrone risponde velenoso: «In provincia di Frosinone non c’è una concessionaria Alfa Romeo».

 

Manco l’avessero evocato, si materializza il signore degli autosaloni: preceduto dal rombo di circa 500 cavalli (e c’è chi giura che ne conosca il nome di ognuno) arriva Davide Papa sulla Giulia Quadrifoglio messa in strada da meno di una settimana; la notte prima l’ha stirata un po’, non si capisce bene se su un tratto segreto di autostrada o in una pista privata. Calza un paio di occhiali da sole con la montatura azzurro elettrico che sembrano rubati dalla collezione personale di Marcello Pigliacelli:  abito blu confindustriale, Davide porta una nota di tristezza a causa della dieta che si è messo in testa di seguire in maniera prussiana, a tavola praticamente non toccherà cibo facendo sentire in colpa i suoi commensali, nessuno dei quali (in primis il presidente di Aspin Genesio Rocca e Danilo Zola con signore) però si asterrà dal mangiare. A poca distanza, su un’altra Giulia, arriva il fratello di Davide, Christian Papa che nonostante si affanni a fare pubblicità in tv non lo vede nessuno: accompagna la dolcissima sorella Manuela, attraente oltre maniera nel bellissimo abito nero di quelli che detta la moda quest’anno, effetto lungo sul dietro ma corto fin sopra il ginocchio davanti. Lei si che può permetterselo con quelle gambe.

 

Da una Alfa scura scende sua eccellenza il prefetto Emilia Zarrilli, fasciata in un abito rosa cipria con i particolari in argento, assolutamente in pendant con gli accessori; acconciatura semi cotonata, la parrucchiera sembra avergliela disegnata su misura per renderla del tutto in linea con il vestito. Borsa a busta dello stesso colore dell’abito, attende pochi istanti e da una Bmw serie 5 chiara (ma sta per essere sostituito con un X4 già commissionato a Stoccarda) scende per scortarla il cavaliere d’ordinanza in servizio permanente effettivo  e prefetto onorario Giuseppe Patrizi che sembrava appena uscito dal sarto: ma, si sa, se l’ex presidente della Provincia non è acchittato a puntino, donna Gina non gli fa attraversare il cancello di casa; a completare il quadro c’è proprio donna Gina, moglie di Peppe, con un abito in pizzo blu che premia la linea ancora affusolata da fare invidia alle ragazzine.

 

Ma la vera regina appare quando all’improvviso la folla si allarga in due ali per accogliere l’uscita degli sposi. In realtà, sembra che si allarghino come le acque del mar Rosso al cospetto di Mosé, per fare spazio a Lady Tiziana Fella, coniugata a Sandro Salera dopo avere trascorso gli anni del liceo a tirarsi i libri appresso e farsi i dispetti. Tiziana ha un abito da dieci e lode, solo la sposa è più bella di lei. Sembra uscita per un attimo dalla copertina di Vogue, sorride ad ognuno degli invitati. Lei non arriva: appare. Come le visioni. Saluta e con la coda dell’occhio verifica che tutto sia in ordine, sparisce con la grazia di una Jackie Bouvier Kennedy. Riesce a fare sentire importanti tutti i presenti. La mise è da perfetta mamma della sposa. Grigio perla in tafta che sembra arrivato apposta per lei dalla Persia. Leggerissimo, brillante, sembra appoggiato con grazia sulle curve statuarie. L’occhio esperto riconosce che la densità dell’ordito è superiore a quella della trama. Siccome fuori dalla chiesa c’è il sole ma è pur sempre ottobre, la prudenza impone che a coprire le spalle ci pensi una mantella dello stesso colore, cucita a piccole balze in tulle e taffetà. Collana, orecchini ed anello sono en parure, forse diamanti (mannaggia alla vista che non è più buona come un tempo, prima o poi devo farmi fare il tagliando dal professor Luigi Pinchera che, a proposito, era presente con abito fresco di sartoria cucito su misura per l’occasione). Tornando agli accessori: la pietra al centro è contornata da una tempesta di diamanti che hanno ispirato l’invidia di tutto l’universo femminile presente. Non tanto per il valore ma per come gli stanno bene, per la disinvoltura con cui li sfoggia ma non li ostenta: Tiziana è un tuttuno con il suo abito, i suoi gioielli e la sua classe.

 

Si va a Villa Miani, la dimora in stile umbertino realizzata nel 1837 e rilevata poi dal conte Luigi Miani di Cittanuova dell’Istria, che aveva tra i suoi avi un capitano delle galere della Marea quando nel 1483 i Veneziani presero Comacchio. Proprio mentre si sta per trasferirsi nella stupenda dimora dal panorama mozzafiato su Roma, si presenta come sempre in ritardo il direttore Alessio Porcu, testé congedatosi dal cardinale vicario Agostino Vallini al termine di un prolisso quanto inutile incontro in Laterano. Ormai messo alla berlina da Alessandra Di Legge e sbertucciato da Patrizia Rotondi, per non sbagliare cravatta ha fatto come i vecchi: sotto l’abito grigio lucido da telegiornale di gala ha annodato una cravatta Von Furstenberg dello stesso identico colore su una camicia bianca finalmente da cerimonia.

 

A Villa Miani inizia il taglia e cuci più serrato. Così, si nota il presidente del Cosilam Pietro Zola che si intrattiene nel giardino per buoni venti minuti a colloquio fitto con Francesco De Angelis poi entra in uno degli stanzoni e trascorre altri venti minuti a colloquio altrettanto fitto ma con Mario Abbruzzese. Forse li ha incontrati separatamente per evitare si dica che pure lui è un Consorziato. A proposito di Cosilam si materializza la sua fondatrice, la lady di ferro Anna Teresa Formisano che un tempo faceva colazione sbranando mastini: sfoggia una camicia nera a girocollo con maniche lunghe, in seta effetto stropicciato; il trucco è inutilmente pesante ma al parrucchiere va dato un dieci senza riserve: Anna Teresa è una delle poche a potersi permettere di non fare la tinta e lasciare che i pochi capelli grigi siano in evidenza. Altera finalmente non troppo, poggia su una sedia il soprabito nero e grigio in maglina ed aggredisce Mario Abbruzzese azzannandolo agli stinchi (in altri tempi avrebbe affondato i denti direttamente alla giugulare): «Voi chiuderete il Cosilam» gli ringhia lei. Mario ribatte: «Ma nnoo». Lei lo incalza ed alza il tono, sfiorando l’imperioso: «Voi farete chiudere il Cosila, vedrai se non finisce che viene fuso con l’Asi». Mario sa che è meglio non accettare la sfida e prova a rasserenarla: «Mma nnooo, Zingaretti ci ha provato e ci ha sbattuto il muso, c’è una legge, non si può fare». «E che ci vuole ad abrogare una legge… Sono pronta a fare scommettere».

 

A proposito di Formisano, su un divano brilla lo charme della moglie di Donato: dall’ospedale le hanno dato ampie rassicurazioni sulla salute dell’ottuagenario banchiere che sembra ancora un ragazzino e le hanno detto di godersi in serenità il ricevimento. Lei, brilla di charme, In quanto a stile ha solo da insegnare:  sceglie un abito della collezione disegnata da lei, inimitabile, unico, personale, inarrivabile. Su due colori, contrasto chiaro scuro, lo abbina ad un occhiale che ricorda le donne fatali e senza tempo in vacanza sulla costa di Portofino. Conversa con la sorella di Tiziana Fella, in uno stupendo vestito fra il beige ed il crema, in taffetà ma con un drappeggio in seta morbida disegnato in modo da concedere una scollatura sulla schiena. Poco più in la, fa il suo ingresso nella sua gioviale rotondità il giudice Tommaso Miele in abito blu e camicia azzurrina su una cravatta bu a disegni orizzontali tinta su tinta; al braccio c’è la moglie Rita in uno splendido abito nero in seta dalla manica a tre quarti, sopra al ginocchio, con un giro di pizzo sul ginocchio e poi altre due balze leggerissime, coprispalla rigido in raso e gli accessori di alta oreficeria Damiani. Salutano un elegantissimo giudice Giulio Prosperetti, oggi giudice Costituzionale e amico di Sandro Salera da quando l’avvocato iniziò ad insegnare diritto del Lavoro. Nessuno dei presenti sa che Miele e Prosperetti hanno rischiato di essere colleghi: l’attuale presidente della Corte dei Conti dell’Abruzzo e già Commissario Federcalcio per la Lega Pro, per un solo voto non è stato eletto a Palazzo della Consulta in quota ai giudici contabili. A quel tavolo siede anche l’anonimo procuratore della Repubblica di Nocera Inferiore Gianfranco Izzo già procuratore capo a Cassino mentre a poche sedie di distanza sta il presidente del foro Giuseppe Di Mascio a capitanare la nutrita schiera di toghe.

 

Tra una chiacchiera e l’altra conviene fare due passi sul terrazzo panoramico. E si scopre così che l’ex deputato europeo Alfredo Pallone è a colloquio con colui che avrebbe sotterrato vivo e che giurò «A lui mai più rivolgerò la parola»: Mario Abbruzzese. A notare i dettagli si scopre che entrambi calzano due paia di scarpe identiche: o le hanno comprate insieme quando stavano nello stesso Partito oppure c’è ancora qualcosa che li accomuna. Comunque ad entrambi stavano male allo stesso modo sotto a quei vestiti. Si congedano subito, meglio non farsi vedere troppo insieme quando ci sono occhi indiscreti. Alfredo, insieme alla bionda e fascinosa di lui signora, si colloca vicino alla macchinetta del caffè e fa gruppo con il presidente della Saf Mauro Vicano sempre più in odore di Sanità; lo accompagna la moglie che è sempre divina nella sua eterea eleganza, vestito nero con cerniera sul dietro, giro maniche, gonna sopra al ginocchio, leggermente abbombata ma che non premiava lo stacco di coscia che la signora può ancora sfoggiare senza temere il confronto con le ragazzine. Alfredo ha una crisi di berlusconismo e racconta barzellette.

 

Tra le sale, intanto, il  sindaco di Cassino Carlo Maria D’Alessandro, in un elegante abito scuro in fresca lana di tasmania, combatte con un intero piano del palazzo riempito di ogni bendiddio di dolci. Si saluta solo per cortesia istituzionale con il suo predecessore Giuseppe Golini Petrarcone in gessato d’ordinanza che però non regge per niente il paragone con l’eleganza della moglie in abito chiaro che ne mette in risalto la linea, slanciata ancora più da quello che può essere considerato il migliore taglio di capelli visto nella mattinata. Ognuno dei due sindaci, cerca di informarsi, all’insaputa dell’altro, sugli sviluppi delle indagini per i brogli elettorali e l’orientamento del Tar sulla ripetizione del voto.

 

Cerca disperatamente un caffè il magnifico rettore Giovanni Betta, gli indica la fila più breve il suo predecessore Paolo Vigo che ha appena finito di fare incetta di dolci.

 

Al tramonto, la serata prosegue alla terrazza su Piazza di Spagna. Tra una vodka lemon ed un mojito, nella sala da ballo lo scettro è della giornalista Carmela Di Domenico con un vestito da urlo: decolleté importante, scollato dietro, stile anni Trenta, colore cipria con strasse in tinta, acconciatura assolutamente in pendant. Veleggia a poca distanza l’avvocato Renato Ciamarra che va ad arenarsi ad un tavolo nel quale, manco fosse la dogana, vengono bloccati e costretti a lasciare la decima i camerieri che conducono in sala i fritti con i quali accompagnare le bollicine.

 

E gli sposi? Ah già, c’erano pure loro… Beh, auguri: meglio che non si sia parlato di voi in queste righe, magari tra qualche anno…