La cinica crociata di Cinque Stelle e Lega contro la stampa libera

Il taglio dei contributi all’editoria mette in mostra il vero volto del governo pentastellato. Dopo la genuflessione in Europa e la manovra scritta sotto dettatura, si cancellano i contributi all’editoria per le piccole realtà locali. Non sopportano le voci autonome. Migliaia di posti di lavoro a rischio. Forti con i deboli, deboli con i forti

Con il taglio ai contributi all’editoria il Movimento Cinque Stelle ha raggiunto uno dei suoi principali obiettivi: lo smantellamento della stampa. La norma contenuta nell’emendamento appena approvato prevede una riduzione progressiva dei contributi diretti ai piccoli giornali locali (non al Corrierone o Repubblica). Scatteranno dal prossimo anno fino all’azzeramento dei finanziamenti nel 2022.

Nel dettaglio, nel 2019 il taglio alle imprese editrici riunite come cooperative dei giornalisti sarà del 20% nella parte eccedente il contributo di 500.000 euro (una sorta di franchigia), percentuale che sale al 50% nel 2020, al 75% nel 2021 fino al 100% nel 2022.

Il contributo all’editoria era stato pensato per tutelare i giornali più piccoli, le imprese editrici riunite come cooperative. Nel giro di quattro anni verrà inferto un colpo mortale alle realtà locali e a tutte quelle voci libere che non hanno naturalmente la possibilità di poter competere con i grandi giornali sul piano nazionale.

Naturalmente i Cinque Stelle non avrebbero potuto farcela senza il sostegno decisivo della Lega. Dunque Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno portato avanti un’operazione contro la libera stampa che mai nessuno aveva osato immaginare prima. Non Silvio Berlusconi, che pure aveva “firmato”l’editto bulgaro contro Biagi, Luttazzi e Santoro. Non Matteo Renzi, che pure ha avuto rapporti tumultuosi con trasmissioni televisive, con giornalisti come Massimo Giannini, con direttori come Ferruccio De Bortoli.

Mai nessuno era arrivato a tanto. Il governo del cambiamento è allergico alla libertà di stampa. Il perché è evidente: raccontare quello che è successo questi giorni, prima con una fiducia votata al buio su un testo che stava per cambiare, poi la marcia indietro in genuflessione dopo il confronto con l’Unione Europea, quindi il clima da dilettanti allo sbaraglio nel presentare (nei tempi e nei modi) il maxiemendamento al Senato non fa fare bella figura.

Il taglio ai contributi all’editoria è una delle pagine più oscure della vita democratica di questo Paese, perché evidenzia due cose. La prima è l’ostilità verso realtà autonome, libere e indipendenti. La seconda è la determinazione di essere forte con i deboli e debole con i forti.

Non potendosela prendere con Corriere della Sera e Repubblica, il bersaglio diventano le piccole realtà, come Ciociaria Oggi e Latina Oggi.

Stesso trattamento viene riservato alle televisioni: stanno in un capitolo a parte, le loro provvidenze se le pagavano da sole, con la vendita fatta dallo Stato dei canali tv sui quali trasmettono. Sarà una fase cruciale pure per Teleuniverso, Lazio Tv e quel poco rimasto nel Lazio, che con quelle provvidenze non si arricchivano pareggiavano il prezzo di trasmettere in un bacino troppo piccolo.

Così com’è scritto il testo, nei prossimi anni spariranno giornali e tv locali così come li abbiamo conosciuti oggi: regrediranno al semi dilettantismo dei primi anni Ottanta, ricattabili da chi gli prometterà una mancia sotto forma di pubblicità istituzionale con cui farli sopravvivere.

Nei prossimi anni ci saranno migliaia di disoccupati in più: giornalisti, grafici e tutti quelli che lavorano nell’indotto. Questa è l’Italia di Cinque Stelle e della Lega. Naturalmente la libera stampa si riorganizzerà, ma in ogni caso un prezzo verrà pagato. In termini di posti di lavoro, di storia, di tradizione, di autonomia. E di libertà.

Vigilia di Natale 2018: Cinque Stelle e Lega mostrano il loro vero volto. Dopo la genuflessione in Europa al cospetto di Junker e Moscovici, arriva la crociata contro le piccole realtà editoriali. Il governo del cambiamento? No, dilettanti allo sbaraglio. Cinici però.

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