Tajani: «Il futuro dell’Europa sta nelle grandi idee dei suoi fondatori»

È convinto che il Governo imploderà dopo le Europee. E che la manovra farà esplodere le contraddizioni. Le opportunità di un'Europa da rivedere. Ma che gli altri Paesi hanno già individuato.

di Francesco BOEZI *

Antonio Tajani non è solo l’uomo politico più vicino al presidente Silvio Berlusconi e la massima carica che l’Italia ha potuto vantare nel consesso sovraistituzionale europeo in questi anni, ma è anche il simbolo della dottrina politica popolare e popolarista di queste elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo di Strasburgo, Lussemburgo e Bruxelles.

C’è un distinguo, neppure troppo sottile, tra la visione che i sovranisti, almeno quelli “non illuminati”, hanno del futuro dell’Europa e quella promossa dal Partito Popolare Europeo: questi ultimi non vogliono la destrutturazione delle istituzioni per come sono state immaginate sino a questo momento.

C’è necessità di cambiamento – e questo è un punto che sembra condiviso – , ma la differenza la fanno il multilateralismo, spesso richiamato anche dalle istituzioni cattoliche, e il dialogo, che è sullo sfondo dell’intervista che state per leggere. 

Presidente Tajani, nel corso della sua campagna elettorale, lei ha evidenziato la discrepanza che esiste tra le possibilità offerte ai giovani che abitano nelle città e le poche destinate a coloro che invece risiedono nelle periferie. Personalmente, Si pensi – come lei spesso sottolinea – alla fibra ottica. Che aiuto può arrivare da Bruxelles?

Le periferie, come le zone rurali e montane sono, a mio avviso, le aree dove la buona politica deve fare molto di più, dando risposte concrete ai problemi dei cittadini, a partire dalla disoccupazione, soprattutto giovanile.

L’Europa ha già fatto molto con l’iniziativa WiFi4Eu, votato dal Parlamento europeo, che promuove la connessione veloce per i cittadini. Si tratta di un voucher destinato ai Comuni, da utilizzare per installare apparecchi Wi-Fi negli spazi pubblici all’interno dei comuni che non hanno Wi-Fi.  Abbiamo anche votato un nuovo Programma Digitale europeo da 9.2 miliardi per progetti di intelligenza artificiale,supercomputer, cyber-sicurezza. Una parte importante di questi fondi sarà dedicata ai cittadini, affinché acquisiscano le competenze digitali necessarie per accedere alle più recenti tecnologie digitali e per utilizzarle.

Ma questo non basta. Servono maggiori investimenti, soprattutto nelle aree rurali e periferiche. Non ci possono essere cittadini di serie A e cittadini di serie B. Ognuno deve poter usufruire di una connessione veloce, sempre più essenziale anche per fare impresa. Per questo, il Parlamento europeo ha chiesto che una parte delle risorse del Fondo chiamato “Meccanismo per collegare l’Europa” sia dedicato a investimenti infrastrutturali strategici, come il 5G. 

La rivoluzione digitale deve essere governata in maniera efficace per portare i suoi benefici a tutti cittadini. Ma occorre agire in fretta. Nei prossimi 5 anni il 90% delle professioni subirà cambiamenti profondi introdotti dal digitale. Per aiutare i nostri giovani ad essere competitivi, dobbiamo investire da subito.

Ma nel Basso Lazio c’è anche un problema correlato, che è molto più esteso, quello occupazionale. Qual è la sua ricetta europea?

La situazione del Lazio, in generale, è drammatica. Dall’inizio della crisi, la regione ha perso il 17% del Pil. Oggi, il tasso di disoccupazione è all’ 11,1%, superiore della media del Centro Italia che è del 9,4%.

Il Lazio è l’unica regione del Centro con un aumento del tasso di disoccupazione (0,5 punti) rispetto al 2017. La disoccupazione giovanile si attesta al 34,5%. 

Il Basso Lazio sta vivendo una fase di deindustrializzazione senza precedenti. Occorre invertire la rotta al più presto, con investimenti in infrastrutture, formazione e a favore delle imprese. Per questo, ho proposto un prestito di 50.000 euro garantito dall’Ue ai giovani che hanno idee imprenditoriali.

Di questo, e non di spesa improduttiva hanno bisogno le nostre ragazze e i nostri ragazzi.

Parliamo di Europa, che è poi l’oggetto di questa campagna elettorale. Lei è stato tra i pochi che hanno presentato, assieme a monsignor Gaenswein e altri, l’ultimo libro uscito tra quelli che raccolgono gli scritti politici di Benedetto XVI. Difficile non constatare come il contesto europeo, per certi versi, appaia sempre più desacralizzato. Il popolarismo può salvare l’Europa dal relativismo?

Settant’anni fa, uomini come De Gasperi e Adenauer hanno creduto nel processo di integrazione europea come risposta ai conflitti fra Stati e alle guerre che avevano contraddistinto la storia europea. Per tornare a credere in un’Europa più giusta, più vicina ai cittadini, a cominciare da coloro che sono in difficoltà, occorre ritrovare lo spirito di quegli uomini visionari. Compito di chi si ispira ai valori del popolarismo è ricordare che la solidarietà è il primo principio e dovere dell’Europa.

Metto in pratica questo convincimento anche in prima persona, partecipando da oltre venti anni alle opere di volontariato della Comunità “in Dialogo” di Trivigliano, per il recupero e il reinserimento sociale dei giovani tossicodipendenti. A questa realtà, dal 2018, devolvo anche la mia pensione.

Mi sono battuto in difesa dei diritti umani e della libertà ovunque nel mondo. L’Europa è il più grande esempio al mondo di democrazia e di inclusione sociale, è l’unico continente in cui è bandita la pena di morte e in cui ad ogni cittadino viene data la possibilità di redimersi e iniziare a dare un contributo positivo alla società, anche dal carcere.

Ma la nostra Unione è ancora un ‘cantiere’ aperto e, come l’Italia, oggi sta dimostrando una serie di fragilità.  Trovare un più giusto equilibrio tra rigore, solidarietà e crescita, è l’impegno che anima e contraddistingue il gruppo dei Popolari Europei.

In questo momento difficile, ritengo sia necessario raddoppiare gli sforzi per rafforzare e migliorare il nostro Paese e l’Europa ripartendo dai valori, senza cadere nella tentazione di distruggere quanto di buono é stato costruito dai nostri padri. 

La litigiosità del “governo gialloverde” è manifesta. Quali scenari per l’esecutivo, e per la politica italiana, in seguito alle elezioni europee del 26 maggio? La sensazione è che questo sia anche un test per verificare, in percentuale, la tenuta dei consensi ascrivibili alla maggioranza.

Sostengo da tempo che questo governo è un matrimonio contro natura che non dà soluzioni ai problemi dei cittadini. Ho sempre preferito il lavoro concreto e l’impegno silenzioso ai proclami vuoti. Credo che le urla degli ultimi giorni siano in realtà un tentativo di mascherare gli insuccessi e le difficoltà di chi governa. 

Non so quali saranno gli sviluppi dopo il voto, non mi interessano le liti. Io penso agli italiani e sono sicuro che si meritino un governo che conosca i loro problemi, li sappia risolvere e crei opportunità di crescita e posti di lavoro.

C’è chi parla di una possibile alleanza tra popolari e sovranisti, scenario che i sondaggi quantificano come non sufficiente al raggiungimento di una maggioranza parlamentare. Ee chi sostiene invece che, a conti fatti, assisteremo alla riedizione delle logiche attuali. Lei cosa si auspica?

I Partiti sovranisti, secondo i sondaggi, continueranno ad avere un ruolo marginale nella prossima legislatura. Detto ciò, il Partito Popolare europeo, in quanto primo gruppo nel futuro Parlamento europeo, avrà il dovere di provare a dialogare con tutte le forze politiche per trovare una maggioranza.

Nel 2017 ad esempio sono stato eletto Presidente da una maggioranza di Popolari (PPE), Liberali (ALDE) e Conservatori (ECR), sconfiggendo il candidato della sinistra proposto, all’epoca, da Matteo Renzi.

I sovranisti sostengono che debbano essere modificati alcuni trattati europei, ma la sensazione è che neppure loro siano troppo concordi su tutto. C’è un paradosso nella cosiddetta “internazionale populista”: vengono tutelate “istanze nazionali”, ma alla fine è proprio il nazionalismo a non prevedere una concertazione tra le parti. Perché gli interessi sono troppo specifici. Lo abbiamo visto con le posizioni dell’Austria e di Afd sul tema della gestione dei fenomeni migratori. È in atto una sorta di sagra dell’egoismo?

Le recenti vicende che hanno coinvolto il governo austriaco dimostrano che bisogna essere sempre cauti e prudenti nelle valutazioni e nei giudizi. Di certo, gli scontri fra istanze nazionali non fanno bene ai cittadini europei. Così come non fa bene la retorica di certi partiti sovranisti che consiste nello spostare i problemi verso l’Europa invece di risolverli. 

È bene sapere, ad esempio, che per modificare i Trattati non bastano i proclami. É un processo complesso che richiede l’unanimità fra i Capi di Stato o di Governo dei 28 Paesi Membri dell’Unione europea. 

Occorre inoltre capire che le grandi sfide di oggi, come la disoccupazione, il cambiamento climatico, i fenomeni migratori, la rivoluzione digitale, non possono essere affrontate in maniera efficace dai singoli Stati. Solo insieme, l’Unione europea potrà competere sui mercati globali  con giganti come Cina, Russia e Usa, nella sfida alla modernizzazione.

C’è la narrativa, lo storytelling, e poi c’è la realtà dei fatti. Lei ha rinunciato all’indennità da Commissario. Parliamo, stando alle fonti, di 468mila euro. Perché questa scelta?

È stata una scelta di solidarietà, decisa insieme alla mia famiglia, di cui sono sempre più convinto: la buona politica è quella che da l’esempio. Le condizioni economiche di molte famiglie italiane erano e purtroppo sono ancora difficili.

Semplicemente, rinunciare all’indennità che spetta a tutti i Commissari uscenti è stato un atto di coerenza con i valori in cui credo. Per lo stesso motivo, quando sono stato eletto Presidente del Parlamento europeo, ho rinunciato all’indennità di rappresentanza e ho ridotto le spese della Presidenza. 

Con l’avvento del MoVimento 5 Stelle sembra quasi che la politica sia divenuta accessibile a chiunque manifesti volontà di partecipazione. Bastano una piattaforma e un po’ di consensi on line. Che futuro si immagina per la politica? La democrazia 2.0 è pericolosa?

La partecipazione dei cittadini è sempre fondamentale per la qualità della nostra democrazia. Noi legislatori siamo rappresentanti dei cittadini, dei loro interessi e delle loro preoccupazioni. La rivoluzione digitale e tecnologica, la diffusione dei social network sta cambiando le forme di partecipazioni dei cittadini alla cosa pubblica. 

Sono necessari, però, alcuni accorgimenti. Il Parlamento europeo ha lottato per difendere i diritti dei cittadini anche online, impedendo alle piattaforme digitali di utilizzare  i dati personali senza consenso. Abbiamo votato misure per rafforzare la cyber-sicurezza e per contrastare disinformazione e fake news: è fondamentale per garantire elezioni libere ed eque.

Dopo lo scandalo Facebook- Cambridge Analytica, il Parlamento europeo ha invitato Mark Zuckerberg. Per noi, la difesa dei cittadini è un impegno concreto.

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Francesco BoeziNato sull’Isola Tiberina nel 1989 mentre a Berlino cadeva il muro, finisce ad Alatri, dove si forma al Liceo Classico Conti Gentili. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Sapienza di Roma, collabora con Il Giornale.it e con Gli Occhi della Guerra. Per la collana “Fuori dal coro”, edita dal Giornale, ha scritto il pamphlet ” Benedetti Populisti”.

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