Le strade di Antonio e Nicola verso i prossimi governi

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Il possibile futuro Presidente del Consiglio dei Ministri ed il possibile futuro Governatore del Lazio. Antonio Tajani (presidente del Parlamento Europeo)  e Nicola Ottaviani (sindaco di Frosinone) nelle ore scorse hanno avuto un lungo colloquio.

La strada del primo, prosegue. Quella del secondo sembra costretta a fermarsi.

Il tema pare sia stato sollevato proprio dal sindaco. La sua candidatura alla guida della Regione Lazio contro Nicola Zingaretti appare sempre più complessa. Perché i costituzionalisti consultati da Nicola Ottaviani hanno individuato un passaggio con il quale tentare di superare la norma  che lo rende ineleggibile. Ma è molto stretta, a strapiombo, tortuosa. La via larga e dritta c’è: dimettersi da sindaco di Frosinone. Ipotesi che Nicola Ottaviani non tiene minimamente in considerazione. Non perché tema di non vincere le Regionali. Ma perché per nulla al mondo lascerebbe il ruolo di sindaco di Frosinone: si ritiene investito di una missione e sarebbe come venire meno all’unzione del Signore.

Il sentieri individuato dai professori consultati da Nicola prevede di sollevare la questione di fronte alla alla Corte Costituzionale. E lì portare una serie di considerazioni di carattere tecnico e giuridico, opinabili ma tutt’altro che infondate.

Il problema però è più politico che giuridico. L’intera campagna elettorale si giocherebbe su questa spada di Damocle sospesa sulla testa del possibile candidato governatore.

A questo punto, Nicola Ottaviani si ritaglia un ruolo differente. Vuole tentare di essere l’ispiratore del nuovo vento di centrodestra che è necessario far soffiare se si vogliono vincere le Regionali.

Ad Antonio Tajani ha spiegato che l’unico modo per frenare l’avanzata del populismo è quello usato da lui a Frosinone. E che può essere clonato e replicato in tutto il Lazio. Ma pure in tutta l’Italia. La chiave di tutto è l’efficienza.

Nicola Ottaviani ritiene che ormai agli elettori interessi ben poco di Forza Italia come del Pd. Ai cittadini interessa l’efficienza. Al punto di saltare gli steccati. E votare in base ai risultati che vedono: lo stadio realizzato in due anni dopo averne attesi oltre quaranta, il ponte Bailey realizzato in due mesi dopo avere attesa inutilmente la Regione per due anni, circolari nuove ed ecologiche che passano in orario…

In un momento nel quale Roma è lo specchio dell’inefficienza populista – sostiene il sindaco – contrapporre la competenza ed i risultati sarebbe un’arma micidiale.

Antonio Tajani ha preso nota. E riferirà colà dove si puote ciò che si vuole.

Ma ha preso nota anche per se stesso. Nel caso in cui dovesse andare avanti l’ipotesi di candidarlo premier nella prossima tornata elettorale. Il suo nome era stato tirato fuori da Silvio Berlusconi con uno dei suoi magistrali colpi di comunicazione. Nel corso di una cena aveva lanciato il nome dell’Ad Fca Sergio Marchionne, accendendo i riflettori su quel tavolo (leggi qui ‘«Pizzuti, candiderei Marchionne: che ne pensa?»). Poi, prima che si raffreddasseo, nel corso di un’altra cena aveva sfoderato la sua “arma segreta” e definitiva: Tajani.

Il motivo è nei fatti. Con la legge elettorale che non verrà cambiata (e se lo sarà, avrà un’impronta proporzionale) Antonio Tajani viene ritenuto l’uomo più capace di governare qualsiasi risultato dovesse uscire dalle urne. Perché è uomo del proporzionale, ci si destreggia come se si trovasse dentro casa sua: è abilissimo nella mediazione politica, insuperabile nell’individuare le crepe nelle quali infilarsi e nello scorgere i terreni comuni sui quali appoggiare i vari pezzi delle alleanze.

Così ha costruito la sua elezione a presidente del Parlamento Europeo. Il dato di fondo da cui Berlusconi parte è proprio questo: è stato Tajani a costruire l’elezione di Tajani e non è stato Berlusconi a costruire la strada che ha riportato un italiano alla guida di Bruxelles quaranta anni dopo Emilio Colombo.

Tajani c’è riuscito mettendo d’accordo francesi e tedeschi. E per di più mettendoli d’accordo sul nome di un italiano. Ha limato per mesi, trovando un equilibrio tra tutte le forze possibili presenti nell’emiciclo. (leggi qui)

Il Cav ha capito che in questo particolare scenario, il suo fedelissimo ex portavoce sarebbe in grado di governare ad occhi chiusi Montecitorio e Palazzo Madama stando seduto a Palazzo Chigi.

Lì dove, se dovesse arrivare, l’efficienza di Nicola Ottaviani potrebbe essere l’arma decisiva per rimettere insieme i cocci del Paese.

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