Top e Flop, i protagonisti del giorno: giovedì 20 ottobre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di giovedì 20 ottobre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di giovedì 20 ottobre 2022

TOP

SILVIO BERLUSCONI

Silvio Berlusconi

No, non è rimbambito. Al contrario. Silvio Berlusconi è lucidissimo. E le parole in libertà registrate e diffuse in queste ore non le ha rubate nessuno: sapeva benissimo che sarebbero filtrate. Esattamente come gli appunti su Giorgia Meloni lasciati bene in vista per gli zoom dei fotografi a Palazzo Madama. Perché la realtà è una: ha fatto più danni Berlusconi alla Meloni in tre giorni che l’intero centrosinistra in un anno e mezzo. (leggi qui: Fischi e fiaschi della XLI settimana 2022).

Sta giocando. Indossando i panni del nonno con la dentiera ancora nel bicchiere e la doppietta puntata verso il postino urlando che sul Piave non si passa. Ma è solo una maschera con cui si è mimetizzato. Il gioco di Silvio Berlusconi è sottile e lucidissimo. E quegli audio ne sono uno strumento. L’obiettivo?

La posta in gioco è evidente, a questo punto. Vuole il sottosegretario allo Sviluppo Economico che ha le competenze sulle frequenze e l’emittenza televisiva. E vuole il ministero della Giustizia. L’ultimo audio tirato fuori ha scavato il terreno intorno ad Antonio Tajani ed alla sua collocazione al Ministero degli Esteri.

Berlusconi rinuncia al resto, rendendolo incompatibile, inopportuno, impresentabile. Ma in cambio vuole quelle due caselle. E senza fare passi indietro, apparentemente. Sta sacrificando scientemente i suoi uomini di punta. Per difendere il bunker.

Raffinatissimo stratega in maschera.

PAPA FRANCESCO

Papa Francesco (Foto: Paul Haring / Via Imagoeconomica)

Se c’è una cosa che dovremmo aver imparato tutti della guerra, che la si sia vissuta o studiata e perfino giocata alla PlayStation è che essa non è la precondizione di alcuna miglioria per l’uomo. Non lo è e non lo sarà mai, a prescindere dalle regioni etiche che la muovono.

Ci sono poche persone al mondo che la pensano visceralmente così: una è Gino Strada che al mondo ci sta come malinconico e struggente ricordo e l’altro è Papa Francesco che al mondo ci sta come esempio, spot di coscienza universale.

E tutte queste cose il Pontefice le ha ribadite in un libro, “Vi chiedo in nome di Dio”, che sta per uscire. A pensarci bene in quel libro il Papa non ne dice tante di cose. No, lui dice solo che la guerra è inutile e che le armi non si dovrebbero vendere più, roba ermetica ma capace di riempire la biblioteca di Alessandria, a volerci pensare seriamente.

Quello del Papa è un appello: “Fermate la follia della guerra, in nome di Dio“. Poi Bergoglio della guerra ha parlato come forse mai nessun capo di stato dai tempi di Gandhi: “La sua persistenza tra noi è il vero fallimento della politica. La guerra in Ucraina ha messo le coscienze di milioni di persone del centro dell’Occidente davanti alla cruda realtà di una tragedia umanitaria che già esisteva da tempo“.

Bene, l’esempio non è servito, eppure c’è una realtà gigante sotto alla quale vagano miliardi di orbite vuote: “Non esiste occasione in cui una guerra si possa considerare giusta. Non c’è mai posto per la barbarie bellica“.

Ma la guerra non è orrore concettuale o cordite da soldataglia macellata, la guerra è fatto empirico voluto dai governi. Ecco, a loro Papa Francesco dice e scrive: “Basta alla produzione e al commercio internazionale di armi, sia estirpata dal piante l’arma atomica. L’esistenza delle armi nucleari e atomiche mette a rischio la sopravvivenza della vita umana sulla terra“.

Non parlava solo a Putin.

FLOP

IL MISE

Il Ministero dello Sviluppo Economico

Presente quando si parla di alcol in presenza di acolisti? Ecco, l’alcolista sobrio da anni non ha difficoltà alcuna e te lo ritrovi alla mezzanotte di Capodanno con un bicchiere di cedrata in mano allegro come una Pasqua che brinda con gli amici sfasciati di spumante e vinnaccio.

L’alcolista in stand by invece se sente la parola “gin” o magari vede l’amico che se ne caraffa un paio la sera in cui la moglie lo ha lasciato vive un sottile disagio, una consapevolezza limbica di avere ancora la scimmia appollaiata sulla spalla.

E’ una sensazione per cui la cronaca vecchia vecchia non riesca proprio a diventare storia. Come il Mise, che ha ritenuto opportuno far sapere a tutti che per evitare strumentalizzazioni ha rimosso la foto di Benito Mussolini dalla galleria dei ministri che guidarono Palazzo Piacentini di cui ricorre il 90ennale. (leggi qui: Rimuoverlo? No, bene in vista: per non dimenticare).

Ecco la nota: “Per evitare polemiche e strumentalizzazioni, la foto di Mussolini sarà rimossa“. Il ministero economico venne inaugurato il 30 novembre del 1932 e per ricordare quella data si è provveduto all’inaugurazione della mostra “Italia geniale” e con essa una nuova edizione del volume orbicolare più la galleria dei ministri.

Ecco, là c’è, o meglio, c’era, anche la foto di Benito Mussolini, che era ministro delle corporazioni nel 1932. Poi dal Mise, tignosi come i bimbi a cui si è fatta tana con le caramelle, ha precisato: “Si ricorda che il ritratto di Mussolini è anche a Palazzo Chigi nella galleria dei presidenti del Consiglio“.

Qual è il senso? Che il fascismo fu una sbornia di inciviltà assoluta ed un’orgia di barbarie. Che il capo del Fascismo, in quanto capo, di quell’ecatombe di diritti e uomini fu il responsabile primo maggior pessimo. E ancora che nessuno dovrà mai più azzardarsi anche solo ad accostare l’idea del fascismo a quella di una edulcorata rivisitazione della storia.

Ma c’è anche un altro senso, quello cui di solito si fa precedere la parola “buon”: è storia, e come tale andrebbe trattata. Mettere o togliere foto non ci ridarà un’etica di spregio e rifiuti che dovremmo già possedere nell’anima, oltre che in Costituzione.

E’ storia, non roba da mettere o togliere dalla bacheca a seconda di chi comanda o innesca equivoci. A meno che di quella storia qualcuno non senta ancora le lusinghe, come un beone che non sa scacciare la scimmia dalla spalla.

Passato remoto del verbo mettere, terza persona.