Top e Flop, i protagonisti del giorno: giovedì 21 luglio 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di giovedì 21 luglio 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di giovedì 21 luglio 2022

TOP

FIORENZA TARICONE

Fiorenza Taricone (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Scomoda lo è sempre stata. Perché è portatrice di idee non convenzionali. Accade a chi è in anticipo sui tempi. E Fiorenza Taricone, neo rettrice vicaria dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale ha sempre visto molte cose prima degli altri.

Ad esempio sul ruolo della donna. Nella società, nella politica, nei costumi. Con una nitidezza di dettagli da risultare scomoda soprattutto alle donne. Che di quell’immagine sbiadita erano pronte a fare bandiera di un femminismo d’opportunità. Con le idee e gli studi di Fiorenza Taricone non è possibile farlo. Perché le sue ricerche portano certezze. E non è possibile indossarle solo per opportunismo. Anche per questo ii rettore Marco Dell’Isola l’ha voluta al suo fianco.

La professoressa Fiorenza Taricone fino ad oggi è stata Prorettrice alla Terza Missione. Ordinaria di Storia delle Dottrine Politiche e di Pensiero politico e Storia della Questione Femminile, è spesso protagonista di dibattiti, seminari, confronti che proprio grazie alla sua presenza hanno maggiore spessore. E che al termine lasciano chi li ha ascoltati con molte cognizioni in più e con molte delle vecchie certezze in meno.

Averla voluta come rettrice vicaria è scelta coraggiosa. E scomoda allo stesso tempo. Come solo le donne di carattere sanno essere.

Non chiamatela rettore.

VINCENZO GALASSI

Una fase della commemorazione

Tre messaggi. Uno per le mafie, uno per gli operatori del Diritto (avvocati e magistrati), uno per la città di Frosinone. C’è molto dietro alla scelta non convenzionale fatta nelle ore scorse dall’Ordine degli Avvocati di Frosinone presieduto da Vincenzo Galassi. Ha scelto di commemorare i 30 anni dalla strage di Via D’Amelio con uno spettacolo anziché con il solito tradizionale convegno.

E che spettacolo! Voce narrante, musica, spezzoni di memoria. Per raccontare la nascita della mafia dal Dopoguerra in poi. Con un filo narrativo che parte dallo sbarco degli americani in Sicilia per arrivare agli anni dello stragismo. Uno spettacolo andato in scena anche in via D’Amelio a Palermo, suggerito all’Ordine dal Tesoriere Fabrizio Zoli ed immediatamente approvato con la collaborazione di Tribunale e Procura.

I tre segnali. Quello per le mafie. Con il loro tritolo i boss volevano imporre il silenzio allo Stato: ricordare a distanza di trent’anni significa che quell’esplosivo ha fallito. Ricordare con uno spettacolo è offesa maggiore: perché le mafie non accettano l’arte, che è creatività, bellezza, raffinatezza.

Il segnale per gli operatori del Diritto è che non ci si tira indietro, bisogna avere il coraggio di osare. E la commemorazione andata in scena nelle ore scorse è stata quanto di più forte ed efficace si potesse sperare di avere. Piazza piena, finale con standing ovation e tre infiniti minuti di applausi a scena aperta.

Da qui deriva il segnale per Frosinone. Il Palazzo di Giustizia è parte della città, non solo luogo di processi ed indagini. Può essere vissuto, vuole essere vissuto. Nelle forme e nei modi in cui questo può essere possibile. Non è un luogo alieno. Ed il fatto che ieri fosse pieno fa capire che c’è voglia di integrarsi ed interagire con la città.

Senza toga sulle spalle ma nell’anima.

FLOP

CERTI COMMENTATORI

Roberta Tintari

Certi commentatori proprio non ce la fanno, a scindere le presunte malefatte degli uomini dai contenitori ideologici di cui quegli uomini sono a servizio.

Per loro è come se la loro indole e le azioni che di essa sono figlie siano il prodotto indiretto ma comunque ineluttabile della tessera che hanno in tasca. E allora succede che se un amministratore diventa legittimo nome in rubrica di verifica di una Procura pare più tondo sottolineare cose che non hanno il conforto del rigore.

Per esempio che quel tizio o quella tizia siano iscritti “guarda caso” al tal Partito. E che illo tempore il capo di quel Partito disse ovvietà morali di maniera, enunciando magari con tigna pruriginosa tutti gli step in cui, per amaro paradosso, l’etica si era affacciata al balcone di quella formazione politica.

È la mistica del boomerang in faccia all’avversario mettendo la magistratura nello scomodo ruolo di chi fa gli assist e non la propria mission istituzionale.

E questa logica perversa certi commentatori la mettono in corsa su due binari. Facendo passare l’info sull’appartenenza politica dell’indagat* come mera enunciazione storica creano due correnti di pensiero subliminali.

Quali? O che l’indagat* non poteva che militare in quel Partito dove la legge la usano notoriamente come carta igienica o che a furia di strusciarsi a quel Partito abbia imparato ad usare la legge come carta igienica. Cose cretine da zoppi e imparare a zoppicare, cose da bassissima manovalanza social.

Senza (quasi) nessuna allusione o preambolo al concetto di responsabilità personale. Senza alcuno stralcio da cui ribadire all’interlocutore che la violazione presuntiva della norma è atto mirato su di un singolo, ipotetico, attore.

E così facendo senza nessuna speranza che un solo scampolo di cultura giuridica attecchisca nel popolo, che poi magari in circostanze terze ma contigue va sotto i portici in cerca di avvocati ed ex imputati da sbranare.

Fumogeni della giustizia.

GIUSEPPE CONTE

Giuseppe Conte

Una specie di Alberto Sordi. Con la differenza che Sordi indossava le maschere dei suoi personaggi, rappresentando i vizi e le debolezze degli italiani. Invece Giuseppe Conte è vero. Purtroppo. Reale come il suo cerchiobottismo, il suo costante giocare all’equilibrista, tentare di tenere il piede in tutte le scarpe possibili. Frutto non di strategia: ma di assoluta incapacità politica.

L’avvocato del popolo ha avuto un solo merito da quando ha lasciato Palazzo Chigi: ha messo in mutande il Movimento 5 Stelle rivelando cosa c’era sotto il vestito che tutti avevano votato. Nulla. Non una strategia, non una visione di Paese, non un percorso che portasse al rilancio ed alla ripresa stabile.

Un livello così inconsistente non lo immaginavano nemmeno sui mercati esteri. Che fino alla fine hanno scommesso su Mario Draghi e la sua permanenza. Invece Draghi ha fatto Draghi fino alla fine: nel suo intervento al Senato ha messo la politica di fronte ad un ampio programma di cambiamenti: Fisco, Dl concorrenza, bollette dell’energia, riforma delle pensioni, reddito di cittadinanza. Ha messo la politica di fronte alla trasformazione del Paese. Gli hanno risposto leggendo altri numeri: i sondaggi. Ed hanno deciso per il voto.

La battuta finale, prima della chiusura del sipario, è la sintesi perfetta. Conte dice “Ci hanno voluto mettere fuori”. No avvocà, non hai capito come si gioca a questo tavolo e ti ci sei seduto lo stesso, mettendoti fuori da solo. E – forse – mettendoci anche il Paese.

Avvilente