Top e Flop, i protagonisti del giorno: giovedì 3 novembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di giovedì 3 novembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di giovedì 3 novembre 2022

TOP

LETIZIA MORATTI

Letizia Moratti (Foto: Marco Cremonesi © Imagoeconomica)

Era nell’aria e guai a stupirsi, ma le cose che sono nell’aria abbisognano sempre e comunque di una buona impalcatura di motivazione e quella che ha offerto Letizia Moratti nel dire addio alla Regione Lombardia, va ammesso, zoppica. Innanzitutto per un motivo: perché la Moratti, che sarà surrogata dal Nembo Kid Guido Bertolaso, non ha detto addio al Pirellone, ma al suo uomo forte, quell’Attilio Fontana che alla ex vicepresidente ed assessore al Welfare non è mai piaciuto.

Insomma, il voto è passato, il Governo Meloni è stato fatto e non c’è più ragione che la Moratti se ne stia separata in casa a mostrare il grugno al proconsole “lumbard” di Matteo Salvini. E veniamo alle motivazioni ché da esse discende la scarsezza delle medesime.

La Moratti ha spiegato che ha “atteso l’esito delle elezioni politiche e la formazione del nuovo Governo per rendere nota la mia posizione”. Così facendo l’ex vice di Fontana ha inteso lanciare “un forte segnale rispetto alle lentezze e alle difficoltà nell’azione di questa Amministrazione, che a mio avviso non risponde più all’interesse dei cittadini lombardi. Una scelta di chiarezza di cui mi faccio pienamente carico, anche in considerazione dei provvedimenti contraddittori assunti in materia di lotta alla pandemia“.

E la dimissionaria già benefattrice di Vincenzo Muccioli buonanima, skill questa che va a suo assoluto merito, ne ha avute anche per il governo in carica, di cui registra “con preoccupazione la scelta di anticipare il reintegro dei medici e degli altri professionisti della sanità non vaccinati, il condono sulle multe ai no vax e la diversa sensibilità sull’importanza dei vaccini, provvedimenti che non condivido“.

Attilio Fontana © Imagoeconomica / Marco Cremonesi

Bene brava bis, ma non l’ha detta tutta. Questi sono i moventi-motivi, ora veniamo al motivo-motivo: Attilio Fontana è stato rinnovato ufficiosamente ma fiduciariamente a candidarsi come presidente della Lombardia e Letizia Moratti sostiene da tempo che lo stesso Fontana le aveva promesso che la candidata sarebbe stata lei e che lui come esponente della Lega l’avrebbe sostenuta.

Poi però Salvini aveva fatto un casino dopo il Papete, la Lega era tornata a fare numeri da bocciofila e nessuno si era sentito più di affidare la regione-icona del Carroccio assieme al Veneto ad un’eretica, perciò Fontana era diventato inamovibile come il premolare dalla mascella di un caimano.

La Moratti, che oggi ci va giù con argomentazioni cristalline è la stessa che con Gorgia Meloni ci si è seduta ad un tavolo almeno due volte negli ultimi 10 mesi. Avrebbe potuto contrattare qualsiasi genere di sistemazione o di buonauscita politica, come la presidenza di un prestigioso ente culturale. Invece la sua scelta di dire no va ad alimentare quel processo di trasformazione della destra nazionale e con lei anche della sinistra.

Perché ora Letizia Moratti diventa il naturale stendardo dei lombardi che stanno contro Fontana, hanno sul gozzo il salvinismo del Papeete, non sono simpatizzanti di quelli che si sono formati nelle sedi della Figc. Su di lei hanno non hanno mai nascosto l’apprezzamento né Calenda né Salvini, di suo ha un movimento civico che vale da solo il 12%. Al Pd non resta che ragionare. E vuoi vedere che passando dalla Lombardia sistema pure le cose nel Lazio.

Se così fosse, Letizia Moratti diventerebbe, al di là dei risultati, un naturale catalizzatore di una Destra sempre meno nostalgica che vedrebbe messo in discussione il suo scomodo Capitano; catalizzando al tempo stesso un centrosinistra sempre meno ancorato a valori ormai fuori dal tempo.

Acceleratore politico.

RICCARDO DEL BROCCO

Riccardo Del Brocco

Il mondo cambia, le abitudini cambiano, così come i consumi. Ed i rifiuti che producono. Tanto per dirne una: tredici anni fa nessuno “svapava”. E se pronunciavi una parola simile, t’avrebbero preso per dislessico nella migliore delle ipotesi. Oggi specie tra i giovani, è la regola. Perché questa generazione non ha la voglia di giocarsi i polmoni che avevano invece i ragazzi degli Anni 70 con il loro istinto alla gioventù bruciata: belli, maledetti e poi con i carcinoma. Fumare sigarette elettroniche è cool, è green, è millennial. Ma produce una nuova generazione di rifiuti.

Se n’è accorto un assessore all’Ambiente di destra che amministra in una città tra le più di destra nella provincia di Frosinone dopo esserne stata l’ultima Stalingrado: Riccardo Del Brocco. È stato lui a considerare che le sigarette elettroniche, ricaricabili o usa e getta, sono a tutti gli effetti rifiuti elettronici: alla pari di una stampante, un computer, un televisore o un elettrodomestico ibsoleti.

Ha guardato oltre. Ed ha deciso di istituire nel Comune di Ceccano uno specifico servizio. Si è procurato i raccoglitori per quel tipo di rifiuto. E da questa settimana, nelle maggiori tabaccherie e punti vendita, c’è il raccoglitore per le sigarette elettroniche usate: come per le batterie esauste. Ha commentato: «È una battaglia di civiltà, combattiamola insieme, per un futuro migliore». Se da destra iniziano a dire cose green, alla sinistra rischia di rimanere molto poco.

Orbace ma naturale.

FLOP

GIORGIA MELONI

Giorgia Meloni (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Lo splendido “Eravamo giovani in Vietnam” racconta che nel 1965 e dopo l’inferno a Ia Drang, un embedded Usa chiese ad uno dei superstiti della battaglia, un sottotenente di prima nomina al comando del colonnello-autore Al Moore, se avesse avuto paura. Lui rispose “assolutamente no”, poi svenne addosso al microfono.

Ecco, fatta la debita e sacrosanta tara fra la guerra vera e le tenzoni fra i velluti di Montecitorio, a Giorgia Meloni deve essere successo un po’ come all’ufficialotto Usa. La premier non ha scritto un libro, ma in un libro ci è entrata. Quale? Quello che puntualmente Bruno Vespa butta giù ogni anno per dare dignità letteraria alla cronaca. Come si fa per i vini di pronta beva che piacciono solo alle signore col french alle unghie e ai radical chic del generone romano.

Nell’ultima fatica letteraria del giornalista la Meloni ha detto: “Non ho mai temuto davvero di non riuscire a fare un Governo”. Poi, dopo questo attacco di spavalderia ha aggiustato il tiro. Ed ha ammesso: “Anche se ho preso in considerazione l’ipotesi di presentarmi in Parlamento senza un accordo preventivo con tutti gli alleati, quando alcune proposte mi sono sembrate irricevibili“.

La Meloni aveva una mission, quella di “formare una squadra che funzionasse, un governo inattaccabile, serio, adeguato, ben calibrato. E credo di esserci riuscita“. Ecco. Al di là delle questioni di merito la signor Presidente del Consiglio dovrebbe capire però che la strizza l’abbiamo vista tutti. Quello e il fatto che lei, da donna in gamba quale è, non l’abbia fatta trasparire, non significa affatto che non ci sia stata.

C’è stato un momento di magia nera in Italia in cui una delle affermazioni elettorali più nette della storia repubblicana ha rischiato di trasformarsi in una delle carnevalate con annesso deragliamento più epocali dai tempi delle Atellane. E giova e fa male ricordarlo, probabilmente se la Meloni oggi ha un governo a cui chiedere di mettere i rave fuorilegge è stato grazie all’ultima persona da cui ci si sarebbe aspettato equilibrio: Matteo Salvini.

Giorgia Meloni alla fine lo ha riconosciuto chiamandolo “mediatore” che è un po’ come dare del maestro yoga ad Albino Ruberti : “Il fatto che lui non si sia schierato aprioristicamente con Berlusconi mi ha aiutato molto“. E magari in futuro aiuterà Giorgia Meloni a dirla tutta quando le chiedono della paura.

Eravamo giovani in Parlamento.

MATTEO ORFINI

Sara Battisti con Matteo Orfini e Luca Fantini

Il curriculum è tutt’altro che scialbo. Matteo Orfini è stato leader della componente dei Giovani Turchi, presidente del partito Democratico ai tempi di Matteo Renzi, Segretario ad interim. Anche per questo in pochi hanno potuto obiettare quando in pieno agosto è stata ufficiale la sua decisione di candidarsi alla Camera nel collegio di Frosinone – Latina, costringendo a farsi più in là e schierarsi a Roma uno come Francesco De Angelis. Ora è deputato.

Prendiamo la sua attività delle ultime ore. Primo intervento. “La strategia del Governo sulla gestione dei flussi migratori non tiene conto del tema rispetto dei diritti umani. Per questo Governo, l’importante è non vederli arrivare qui. Se vengono stuprati, uccisi e torturati in Libia non è un nostro problema. Se annegano nel Mediterraneo, non è un nostro problema. Questo è quello che emerge”.

Secondo intervento. «Non mi pare geniale aspettare marzo per il Congresso del partito Democratico. Se si vuole invertire la rotta, restare nel limbo non mi sembra la via giusta». E spiega come fare opposizione, senza essere “spolpati” da M5s e terzo polo.

Ora. Facciamo a capirci. Dopo il tour elettorale Matteo Orfini non aveva nascosto il suo disappunto. Rivelando che in Ciociaria aveva incontrato elettori stupefatti. Gli avevano rivelato di non avere mai visto un onorevole, prima di lui. Circostanza vera e falsa allo stesso tempo. Vera, perché se 5 anni prima avessero candidato Francesco De Angelis o Francesco Scalia in posizione eleggibile, anche questi territori avrebbero avuto un deputato o un senatore da vedere. Falsa perché comunque i due onorevoli regionali Mauro Buschini e Sara Battisti fanno concorrenza all’ex presidente della Provincia Peppe Patrizi che è presenzialista in servizio permanente effettivo.

Va bene la Libia, va benissimo il Congresso. Ma quando cominciamo a parlare di Stellantis Cassino Plant, delle fabbriche che in Ciociaria stanno chiudendo sotto il peso dell’energia, di un rilancio che qui in tanti vorrebbero innescare ma non trovano interlocutori?

Sei stato eletto con i voti dei ciociari e dei pontini.