Top e Flop, i protagonisti del giorno: martedì 11 ottobre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di martedì 11 ottobre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di martedì 11 ottobre 2022

TOP

CLAUDIO FAZZONE

Claudio Fazzone

I numeri contano solo se li sai mettere nell’ordine giusto, altrimenti restano numeri e basta, senza valore. Ed il coordinatore regionale di Forza Italia Claudio Fazzone è uno che oggi ha meno numeri del passato ma mantiene immutata l’abilità nel saperli coniugare ed incolonnare. Posizionandoli in una maniera da moltiplicare il loro peso ed il loro valore politico. È così che in queste ore ha dettato la linea del centrodestra pontino. E lo ha fatto nonostante la grande parte dei numeri stia allocata su un settore del centrodestra che non è il suo.

Spiega che la Regione è la Regione, i Comuni grandi sono un altro livello, e che il restante sta nel piano sotto. Quindi? Prenota la guida di Latina città, un cambio di danza rispetto ad una città condannata alla destra-destra e che invece era e resta tutta democristiana. Quello che non ha fatto in tempi recentissimi il sindaco Prog Damiano Coletta fa Fazzone: “ricentrare” sulla Dc la città dove lo scudocrociato prendeva il 60%. Anche tra chi vince c’é chi sa vincere meglio.

Da settembre ad ora incassa: la fine di Damiano Coletta a Latina ma senza il peso di Vincenzo Zaccheo, Forza Italia versione pontina regge meglio che altrove dentro la vittoria di Giorgia Meloni. Ora deve giocarsi le carte per il Lazio e si dimostra capace di giochi fini. Che dopo la quinta volta che va in Senato “trovi” tempo per giocarsi il ritorno in Regione e sta volta da “capo”?

Fazzone è di Fondi, a Fondi le carte buone se le sanno giocare, e fa poca differenza se sul tavolo mettete il mazzo di napoletane o di piacentine, loro giocano comunque.  

Abilissimo giocatore.

GIORGIA MELONI

Giorgia Meloni (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Cravatta blu per gli uomini, foulard alle donne, obbligo di presenza in Aula e soprattutto vincolo all’assoluta sobrietà una volta all’esterno: parole pesate davanti ai microfoni, nessuna concessione alle stravaganze e tolleranza zero verso gli eccessi; sul piano politico: no a richieste particolari, si fa quel che serve al Paese: Giorgia Meloni scrive nel vocabolario dei Parlamentari di Fratelli d’Italia la parola decoro. Lo ha fatto in occasione della prima riunione con gli eletti nel nuovo parlamento.

Sapeva di esporsi ad un rischio. Imporre un dress code si presta con troppa facilità ad un imporre la divisa ai suoi deputati e senatori: e nelle radici culturali di FdI c’è un precedente non troppo edificante che fa riferimento alle camicie.

Ma ha ragione lei. Troppo squalificato il Parlamento che sta per lasciare le Camere, troppa indecenza ed impudicizia tra deputati e senatori che hanno preso Montecitorio e Palazzo Madama come i bolscevichi interpretarono il Palazzo d’Inverno: amplessi in aree nemmeno troppo appartate, tracce di cocaina non solo nei bagni, cappotti e computer spariti. Un codice di comportamento si impone ai ragazzini e non a quella che dovrebbe essere la crema del Paese. Giorgia Meloni ha capito che la particella debole del discorso è quel verbo irregolare transitivo coniugato al condizionale presente: dovrebbe. Ha preferito agire.

Giorgia Meloni (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

Lo ha fatto dopo avere messo un altro punto fermo. Non sapevamo cosa si aspettavano che dicesse gli osservatori pelosi ma di fatto il contesto era importante. Per certi versi più importante ancora del video al semolino inviato a Vox. Lo era perché era la prima circostanza in cui una imminente e certa premier accusata di essere nipote del fascismo rivolgeva parole ad una comunità ebraica. E non una comunità qualunque ma quella di Roma, della stessa città cioè da cui irradia legiferati, condotta e linea politica il governo italiano. E neanche l’occasione era qualunque: commemorare ed onorare Stefano Gaj Tache, bambino di 2 anni ucciso nel 1982 da attentatori palestinesi.

Il crimine, irrisolto in punto di diritto, avvenne durante la “rottura della tregua” inaugurata da Aldo Moro con Settembre Nero circa il franco presenza in Italia ma senza mettere mano a mitra ed esplosivi.

Giorgia Meloni sapeva che più di un massimalista occhiuto ed ascultante la attendeva a quel varco ed ha dichiarato: “Ricorrono i quaranta anni dall’attentato compiuto da un commando palestinese contro la Sinagoga di Roma durante la celebrazione religiosa di Shemini Atzeret“. E ancora: “In quel giorno, così atroce e indelebile per l’Italia intera, perse la vita Stefano Gaj Tachè e rimasero ferite quaranta persone“.

Poi la chiosa che ha abbracciato la più grande ed inconfutabile delle categorie: “Un dolore che ci portiamo dentro perché Stefano, un bambino di soli due anni, poteva essere nipote, figlio o fratello di ognuno di noi. Il nostro impegno a non dimenticare, ma anche a cercare la verità“.

Noi non lo sappiamo dove si aspettavano che Giorgia Meloni cadesse secondo i suoi pelosi detrattori, ma non è caduta.

Dribbling a rientrare.

FLOP

LICIA RONZULLI – SILVIO BERLUSCONI

Silvio Berlusconi ha sempre avuto bisogno delle donne: donne-compagne, donne-toy e donne-totem. E su queste ultime il Cav ha sempre incentrato il meglio del peggio della sua straordinaria potenza di fuoco.

Lo ha sempre fatto perché più che di silenti vestali arcoriane è più ancora di sciantose giovanotte il leader azzurro ha sempre avuto bisogno di testimonial. Prove provate della sua capacità di imporre ai sistemi complessi persone di sua fiducia assoluta.

E il criterio non è mai stato l’idoneità tecnica delle stesse ad essere ingranaggio di quei sistemi, ma la fedeltà che quelle donne avevano palesato al solo Berlusconi. Fedeltà, questa indiscutibile, sulla scorta della quale il Cav sta piallando la pazienza di tutti per far ottenere un ministero di peso a Licia Ronzulli, Sanità o Infrastrutture. Chi è Licia Ronzulli?

A suo modo è l’ultima della sua specie e di una pletora di fedelissime che hanno dalla loro solo o prioritariamente il legame barbaro con il capo, invece della familiarità con i temi. La Ronzulli è l’elefante bianco e Berlusconi è quello che vuole trovargli un tempio. Ed entrambi sono ormai fuori contesto. Se mai lo sono stati.

Vestigia del passato.

FABIO DI FABIO

Fabio Di Fabio

Chi tira prima tira due volte. E chi strilla prima porta l’attenzione dove vuole lui. Lo sa benissimo Fabio Di Fabio lo storico ex vicesindaco di Alatri, affondato sulla linea della promozione a sindaco da una città che ha fatto pagare a lui i dieci anni di ruvidezze del suo titolare Giuseppe Morini.

Nelle ore scorse ha compiuto una mossa geniale. Ha inviato una lettera aperta al sindaco Maurizio Cianfrocca, intimandogli di vigilare sul prossimo Atto aziendale. Che è il documento con cui la Asl definisce le sue strategie e quindi quali reparti aprire, quali sopprimere, quali spostare.

Un allarme quanto mai opportuno. Il San Benedetto di Altri è stato nel passato al centro di un severissimo piano di ridimensionamento. Che portò allo scontro corpo a corpo tra l’allora capogruppo Pd in regione Lazio Mauro Buschini e la allora Dg Isabella Mastrobuono. Lei si intestardì verso la soppressione di reparti storici, lui pronunciò il ‘non possimus’. Culminato con l’assemblea dei sindaci che sfiducia la manager, primo ed unico caso dagli anni 70 ad oggi.

Con quella mossa, abilmente Fabio Di Fabio ha posto la croce sulle spalle del sindaco di centrodestra, dicendogli nei fatti e mò veditela tu. Ma le scelte strategiche in materia di Sanità attengono alla regione Lazio. Che fino a prova contraria e non si sa ancora per quanto è nelle mani del centrosinistra. Con un assessore alla Sanità che è della sinistra del centrosinistra.

Maurizio Cianfrocca è rimasto talmente spiazzato da non rinfacciare al suo avversario la situazione. Significa che la mossa è andata a segno.

E mò veditela tu.