Top e Flop, i protagonisti del giorno: martedì 15 novembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di martedì 15 novembre 2022.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di martedì 15 novembre 2022.

TOP

NICOLA PROCACCINI

Nicola Procaccini

Ha aspettato. Non proprio in silenzio. Ha gridato la sua indignazione quando ha visto l’ombra del sospetto avvicinarsi su di lui ed il suo lavoro. Poi a taciuto, per non dare l’impressione che volesse condizionare il lavoro dei magistrati. Il tempo gli ha dato ragione: gli stessi magistrati della Procura di Latina che avevano iniziato ad indagare sulle concessioni date dal Comune di Terracina hanno chiesto ed ottenuto dal giudice l’archiviazione del caso. È quello che aspettavano da mesi Nicola Procaccini e Fratelli d’Italia: per lanciare la candidatura dell’ex sindaco e parlamentare Ue alla guida della regione Lazio. (leggi qui: Procaccini: la Procura ‘spiana la strada’ per la Regione).

Nicola Procaccini è la sintesi del Partito come lo immagina Giorgia Meloni. Ideologicamente strutturato, radicalmente di destra ma non nostalgico, bandiera di un pensiero che si confronta con i conservatori europei, dove non c’è tempo per togliere dal pantheon né camicie né randelli. Amministrativamente preparato: sindaco di una città complessa e vasta come Terracina, dove ha governato nel periodo delle ristrettezze imposte dal dissesto. Prudente come deve essere una figura collocata in quel livello e come hanno dimostrato le recenti intercettazioni.

In più è fidato. È stato il Portavoce di Giorgia Meloni quando lei è stata ministro per la Gioventù nel Berlusconi IV. (Leggi qui: Procaccini: «Pronto a candidarmi alla Regione»).

Che il nome sul quale si punta per la Regione Lazio sia il suo lo conferma il fuoco di sbarramento preventivo aperto domenica da Fabio Rampelli, la sensibilità interna opposta a quella della generazione Atreju alla quale Procaccini e Meloni appartengono. Serve solo ad ottenere un contrappeso interno, in termini di candidature nelle liste. (leggi qui: Regionali, il centrodestra scopre di non avere il candidato).

La sua candidatura sarebbe un altro enorme gesto di rottura firmato da Giorgia Meloni. Perché Nicola Procaccini sarebbe il primo candidato Governatore realmente non romano (Francesco Storace poteva vantare natali cassinati ma a tutti gli effetti è capitolino).

Da Terracina alla Pisana passando per Bruxelles.

CRISTIANO STRINATI

Il sindaco Cristiano Strinati

Sono decenni che la politica ce lo dice e sono secoli che della cosa ci frega solo quando dobbiamo citare casi scuola etici: gli amministratori italiani, quelli che non rombano dalle cime del mainstream e che non cinguettano come tordi sui social, sono il meglio che potesse capitare all’Italia dei Comuni che è molto più bella dell’Italia dei Palazzi.

Noi però siamo come i tordi di prima e concioniamo solo dei massimi sistemi di questi ultimi e nel farlo ci scordiamo di gente come Cristiano Strinati. E chi è? E’ “solo” il sindaco di un paesino del Cremonese, Paderno Ponchielli. Un sindaco che ha pensato bene di diventare autista di scuolabus e che si è pagato la patente D di tasca sua per farlo.

Strinati ha fatto un ragionamento che se balenasse nel cranio di uno solo di quelli “grandi” ci metterebbe al sicuro da cento Putin e mille borse di Amsterdam. Ha deciso cioè di guidare anche lui lo scuolabus del Comune nelle situazioni di emergenza, sostituendo il dipendente che per malattia o per altre ragioni non potesse timbrare il cartellino.

Lui l’ha detta meglio e l’ha detta candida: “Il nostro autista è padre di tre bambini piccoli ed è già capitato che dovesse rimanere a casa; in quella occasione sarebbe stato utile contare su una persona disponibile per garantire il servizio, quindi ho pensato bene di conseguire la patente in modo da poter guidare lo scuolabus in caso di necessità“.

E Strinati all’occorrenza farà anche servizio per il vicino comune in convenzione di Annicco e per il grest parrocchiale. Perché lui è un sindaco, una vertebra della schiena dritta di un Paese che invece con i suoi “capoccia” troppo spesso è curva: o per l’umiliazione o perché chinati si raccoglie meglio la messe.

Primissimo cittadino.

FLOP

ENRICO LETTA

Enrico Letta (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Ha la stessa cera di Leoníd Il’íč Bréžnev negli ultimi giorni al Cremlino: impettito sulla Piazza Rossa ad assistere alla parata militare, ostentazione della potenza (solo di facciata) dell’Urss nella quale lui era il potentissimo Segretario Generale del Pcus dal quale ogni decisione passava. La storia ha poi rivelato che in realtà fosse quasi trapassato, tenuto in vita solo da potentissime iniezioni praticate quotidianamente dai medici sovietici. In questi giorni il Segretario nazionale del Partito Democratico Enrico Letta ha la stessa reattività.

Nel pomeriggio di domenica il suo predecessore Nicola Zingaretti lo ha mediaticamente randellato. A sangue. Dicendogli dallo studio di Lucia Annunziata che sulle elezioni Regionali nel Lazio ci ha capito meno di quanto Alessio Porcu comprenda di danza classica. Che ha sbagliato tutte le mosse. E che l’ultima, la candidatura di Alessio D’Amato, rischia di essere il tumultuoso sepolcro per il centrosinistra ed il Pd: per il modo in cui è maturata e non per la persona designata.

La risposta di Enrico Letta? Nessuna. La risposta del Partito Democratico? Nessuna. Come se Nicola Zingaretti fosse destinato ad un lento e graduale abbandono. Dimenticando però una cosa non di poco conto: alle Primarie per eleggere il Segretario, Zingaretti portò un milione di persone più del previsto. È stato l’unico a vincere sempre sventolando la bandiera del Pd.

La strategia dell’isolamento è l’errore che ha condotto il Pd a quello che oggi è diventato. Il pluralismo è la sua unica forza e senso di esistenza. La versione in colbacco e cappottone grigio non ha avuto un grande finale.

Congelato sulla Piazza Rossa.

CARLO CALENDA

Carlo Calenda

Il pacifismo un tanto al chilo travestito da pragmatismo ci sta e non è mai stato peccato mortale in politica, ma bisogna saperlo gestire e dosare. Carlo Calenda ci tiene in questi giorni soprattutto ad una cosa: a non apparire ancora una volta come quello che ha “rotto” un fronte politico anti-destra di sicura efficacia.

Ed è per questo che il leader di Azione ha deciso di andare sull’ovvio e fare al Pd lombardo una proposta “che non possono rifiutare”: discutere delle pregiudiziali e provare a trovare la quadra per arrivare al Pirellone. E che c’è di male a ben vedere? Nulla, se davvero Calenda volesse fare team con i dem per affondare Attilio Fontana; tutto, se Calenda offre il ramoscello d’ulivo ma lo fa ancora con il coltello fra i denti.

Il “coltello”, nel caso di specie è Letizia Moratti, che Calenda ha “incoronato” candidata del Terzo Polo per il Pirellone e che però dal Pirellone viene, Pirellone lato centro destra, cosa questa un filino invisa al Pd.

Il sunto è dunque che il leader di Azione ha chiesto “di sederci insieme con Sala, Moratti, Gori, Del Bono e gli altri sindaci lombardi per verificare se le distanze sul merito e sui programmi siano così rilevanti da impedire una candidatura comune“. Poi ha fatto il Gandalf della situazione: “Prendiamoci una giornata insieme per parlare di Lombardia e programmi invece di dividerci sulla provenienza dei candidati. Non costerebbe nulla e alla fine il Pd sarebbe comunque libero di scegliere un’altra strada”.

Il tutto con stoccata finale: “Non chiudiamoci questa possibilità per preconcetti ideologici”. Resta il dato per cui di questi tempi l’ideologia è invisa a tutti e vista come fuffa da scavalcare in mood machiavellico e pragmatico. Ma le idee non sono mai state pelucchio sul tavolo e nel mondo che Calenda proprio non capisce una scelta di campo precedente ha un peso su una scelta di campo successiva e contraria.

Ma Calenda tutto questo lo sa benissimo, solo che gli piace giocare a quello col calumet da far girare in tenda. Salvo poi scappare a dissotterrare l’ascia.

Tiro seduto.