Top e Flop, i protagonisti del giorno: mercoledì 24 agosto 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di mercoledì 24 agosto 2022.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di mercoledì 24 agosto 2022.

TOP

ALDO MATTIA

Aldo Mattia (Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica)

Glielo avevano proposto in Sardegna. Nel Lazio c’è mancato poco. L’ultima tappa della sua carriera è stata in Basilicata: lì adesso è avvenuto il passaggio. Il dirigente nazionale di Coldiretti Aldo Mattia di Frosinone entra in politica. È candidato alla Camera nel listino bloccato del Proporzionale.

In pensione da pochi mesi al termine di una lunga carriera, Aldo Mattia è stato commissario regionale di Coldiretti in Sicilia. Da lì è stato mandato in Sardegna dove ha gestito i problemi legati alle quote latte; lì c’è stato il primo approccio della politica, lo volevano in Giunta come assessore all’Agricoltura ma lui scelse il lavoro. Nel Lazio è stato il direttore regionale di Coldiretti e la nomina ad assessore nella giunta Zingaretti veniva data come cosa fatta: ad impedire l’ultimo passo fu il fuoco di sbarramento di chi riteneva occorresse un uomo di equilibrio e non il rappresentante di una sola parte, seppure la più consistente.

L’ultima parte della carriera l’ha svolta in Basilicata, sempre come direttore regionale. Andato in pensione, ha deciso che i tempi erano maturi per compiere il salto della barricata. Il dirigente frusinate ha accettato la candidatura di Fratelli d’Italia ed ora è capolista per Montecitorio con ottime prospettive di elezione. Porta in dote un ricchissimo bagaglio di esperienza nel mondo agricolo: è stato in prima linea su tutti i fronti più caldi, conosce i problemi delle filiere e quelli dei finanziamenti, ha una visione a 360 gradi essendosi occupato anche di finanza e di credito. C’è chi sostiene che la Camera sia solo un primo passo.

Nemo propheta in patria

MARIO DRAGHI

Mario Draghi

A nessuno di noi sfugge il fatto elementare per cui quando un’avventura finisce lo fa in due modi: o con colpi di coda a sparigliare o in maniera stanca, quasi a sottintendere che non essendoci più un futuro il presente è autorizzato ad andare in modalità “camomilla”.

È il destino degli indolenti. E in ogni campo è destino quasi certo perché gli indolenti sono tanti e le situazioni che vanno a terminare nella vita sono tantissime, come quando il giorno prima della pensione il massimo che puoi fare è sbriciolare “pastarelle” con colleghi che già ti hanno cassato. Bene, Mario Draghi non è così e le sue non sono “pastarelle”, è la pasta di un leader grosso di stazza etica che alla conferenza sulla Crimea ha sorpreso tutti.

Sotto il grugno di leader occidentali che hanno più tempo di governance e più titubanze sul tema Draghi ha detto: “L’Italia sostiene senza tentennamenti questa iniziativa”. E fin qui ci siamo, è fuffa di circostanza a ribadire, poi: “L’Italia ha sempre condannato l’occupazione della Crimea e siamo preoccupati per il peggioramento dei diritti umani nella penisola e per le ingiustizie verso la comunità tatara”. Il tono si è fatto duro, netto, inequivocabile, si parla di etnie e di una fetta del conflitto ucraino forse neanche mai nominata in Parlamento. Poi il clou: “La lotta per la Crimea è parte della lotta per liberare l’Ucraina”. Vi sembrano parole di un leader “dimissionato” da un Parlamento in modalità Bisanzio?

La grandezza assoluta del premier prossimo a non essere più tale è stata proprio questa: dosare abilmente serenità di enunciazione e forza assoluta dell’enunciato in un contesto in cui ci si aspettava che la sua attuale posizione di countdown lo inducesse a toni sempre filo ucraini, ci mancherebbe, ma più di prammatica, senza upgrade o minuziosi aggiornamenti “sul pezzo”.

La Crimea è solo l’ultima casella geopolitica sullo scacchiere della guerra che Mosca sta facendo a Kiev, e chi avesse voluto tenere un tono più defilato perché non ha un timing sufficiente a seguirne o incentivarne in un senso gli sviluppi sarebbe stato capito. Ma Draghi questo lo ha capito e ha fatto Draghi. Quello che non molla. Quello che se ne va ma presta servizio fino all’ultimo. E che rimpiangere tutto sommato non sarà poi così sbagliato.

Presentat-arm!

FLOP

GIORGIA MELONI

Giorgia Meloni (Foto: Paolo Cerroni © Imagoeconomica)

 «Sono disperata, mi hanno riconosciuta da quel video»: non sa più cosa fare la donna di 55 anni vittima dello stupro avvenuto a Piacenza e divenuto un caso nazionale da quando la violenza che ha subito è finita sul web. Con un coefficiente di moltiplicazione della diffusione e dei clic arrivato alle stelle qundo quel filmato è stato rilanciato sulle sue pagine da Giorgia Meloni.

La leader di Fratelli d’Italia ed aspirante premier di questo Paese lo ha fatto per denunciare le condizioni di insicurezza dei cittadini: lo stupro è avvenuto in pieno centro storico di Piacenza, all’alba, di domenica mattina. Giorgia Meloni è talmente convinta di quanto ha fatto che non è arretrata d’un solo passo nemmeno di fronte all’ondata di indignazione he ne è conseguita. Perché usare le immagini di una violenza, oltretutto di genere sessuale, come arma di propaganda elettorale lascia spazio per più di qualche riserva.

Non puoi ostentare a tutta l’Italia una povera donna mentre subisce abusi da un richiedente asilo. È una questione di buon senso. Ma se non bastasse ci sono regole chiare: ad esempio, ai giornalisti è vietato fornire qualunque dettaglio che possa rendere identificabile la vittima, pena il procedimento disciplinare; ci sono corsie riservate e privilegiate negli ospedali per proteggere l’anonimato di chi ha subito uno stupro.

Si dirà che era in ballo la necessità di rendere pubblico un episodio gravissimo ed emblematico delle condizioni della sicurezza individuale in Italia. E che quelle immagini erano già in rete. Non è così. Perché le esigenze vanno contemperate. E tra la necessità di denunciare la mancanza di sicurezza e la necessità di tutelare una vittima si sceglie sempre la seconda. Si difende sempre il più debole.

Voglia di stravincere.

STEFANIA MODESTINO D’ANGELO

Carlo Calenda (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Le cose si sono evolute dai tempi del potentissimo cardinale Richelieu. Ai suoi collaboratori diceva con sicurezza: “Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini, e vi troverò una qualche cosa sufficiente a farlo impiccare”.

In tempi di tweet, città smart e procedure fast, non sono più necessarie le sei righe richieste da Armand-Jean du Plessis de Richelieu. È sufficiente qualche vecchio post pubblicato nel passato anche remoto. Pensieri in libertà oppure ragionamenti ben articolati, convinzioni rimaste identiche oppure mutate con il tempo, poco importa. E se servono per colpire un candidato.

Come è avvenuto a Stefania Modestino D’Angelo, docente di italiano e capolista al Senato nel listino plurinominale di Caserta per Calenda – Renzi. Appena è stata ufficiale la sua candidatura sono riapparsi dal passato una serie di post: contro Biden e Zelensky, con plausi per il dittatore bielorusso Lukashenko; nei quali la presidente europea Ursula Von der Leyen viene definita “una cameriera”, ed il presidente francese Emmanuel Macron “un fattorino”.

Lei ha rimosso i post, giurando che sono “strumentalizzati. Sono atlantista“. Il leader di Azione ammette che c’è stato “un nostro errore: non abbiamo verificato i post“. L’errore non è di Calenda. Ma dell’aspirante senatrice: se le tue idee sono quelle possono essere discutibili ma vanno rispettate; non ci si candida però nello schieramento più atlantista in tutto il cucuzzaro. E se anche lo si vuole fare, una pulita preventiva alle bacheche è sempre opportuna, casomai si fossero riviste determinate convi.

Scripta manent.