Top e Flop, i protagonisti del giorno: mercoledì 7 dicembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di mercoledì 7 dicembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di mercoledì 7 dicembre 2022.

TOP

CARLO NORDIO

Il Guardasigilli Carlo Nordio

Come Mosè di fronte agli ebrei che avevano creato la statua del vitello d’oro, come Gesù di fronte ai mercanti nel tempio: la portata delle parole pronunciate nelle ore scorse dal Guardasigilli Carlo Nordio hanno una dirompenza (fatte le dovute proporzioni) accostabile. Non per la sacralità della sua persona né per la divinità del suo pensiero: ma per la potenza iconoclasta che contengono.

Il ministro ha mirato al cuore del modello forcaiolo della Magistratura, preannunciando un piano che mette freno al giacobinismo e rimette al centro del Diritto nazionale il Garantismo. In pratica: Procure e Tribunali devono tornare ad occuparsi di Giustizia e smettere di essere la cambusa sempre piena per chi voglia alimentare la macchina del fango, tanto a sinistra quanto a destra.

Ha osato l’inosabile, detto l’impronunciabile: separazione delle carriere tra chi fa le indagini e chi giudica quegli indizi, il cittadino è innocente fino a prova della sua colpevolezza e non è affatto colpevole di un bel niente solo perché iscritto nel registro degli Indagati, non si mette in carcere la gente solo per farla parlare, riesame delle norme che in concreto hanno solo bloccato la Pubblica Amministrazione perché nessuno è così scemo da mettere una firma a queste condizioni.

Non basta. Ha detto che le intercettazioni devono servire a trovare conferme per le indagini e non ad origliare per poi prendere poche frasi e costruirci un teorema con cui sputtanare la gente lasciando uscire poi i verbali delle registrazioni. Davanti alla Commissione Giustizia del Senato, il ministro ha detto basta a quei suoi ex colleghi che si sono collocati un gradino sotto all’Altissimo perché possono «indagare nei confronti di tutti senza rispondere a nessuno (…) è un intollerabile arbitrio».

Mosè non vide la Terra Promessa, la persona che mise sottosopra il tempio fece una fine terrena prematura. Denunciare le storture e le derive di una magistratura che s’è attribuita un ruolo sacrale, non promette bene: come sanno tutti i Presidenti del Consiglio che si sono accomodati in tempi recenti a Palazzo Chigi ed hanno osato dire molto meno di quanto ha fatto Carlo Nordio. Buona fortuna.

Attento che ti indagano.

ENRICO LETTA

Enrico Letta (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Fosse stato così lucido, ficcante e spietato in campagna elettorale avrebbe perso senza alcun refolo di discredito appaltato a chi gli stava già scavando la fossa al Nazareno. Perché i guai di Enrico Letta in realtà non derivano tanto dalla sua posizione ma dalla sua indole, che lo fa essere mastino in tempo di pace e maltese in tempo di guerra.

La riprova? Il segretario uscente Dem non ci ha pensato su due volte a disegnare uno scenario politico che ha un doppio dono: quello del cinismo fotografico e quello dell’iperbole “cattiva”, come è giusto che si faccia in politica quando a farla non sono i bonzi del Tibet.

Leggiamo e trasecoliamo: “E’ un governo che cerca disperatamente alleati con i quali sostituire gli attuali alleati”. Letta, manco a dirlo, ce l’ha con Forza Italia in ordine a chi potrebbe sparire e con il Terzo Polo in ordine a chi potrebbe surrogare gli spariti. Senza pensarci solo un attimo Letta ha fatto capire che: Silvio Berlusconi è molto anziano e il suo è un Partito azienda che non ha la vocazione del reducismo. Che quando Forza Italia annegherà nell’autarchia anagrafica del suo Leader Maximo ci sarà bisogno di gente della stessa schiatta politica e che il rodaggio è già in atto con Calenda e Renzi. Che in metafora copulatoria e federata si strusciano al governo Meloni come barboncini allupati.

E ancora: “Ho visto che si è già proposto il Terzo Polo e Calenda per sostituire Forza Italia”. E che tutto questo abbia o meno senso non importa, né importa che a ben vedere si tratta di uno scenario che avrebbe potuto prefigurare anche un diportista del Maine. No quello che conta è la “cattiveria” con cui il Segretario uscente di un Partito che lo fa uscire per carenza di zanne le abbia tirate fuori. Come a mostrare che in fondo in fondo lui ce le aveva e che magari bastava guardare meglio, invece di chiamare il cellulare di Ricci.

Gli occhi della tigre, l’orologio del bradipo.

FLOP

PAOLO TRANCASSINI

Paolo Trancassini

Nelle prossime ore le assemblee dei sindaci eleggeranno i presidenti e (forse) i Consigli d’Amministrazione degli Egato. Sono i nuovi enti che andranno ad assorbire le funzioni oggi assegnate ai Comuni, alle Unioni di Comuni, alle società municipalizzate, in materia di raccolta dei rifiuti. E di organizzazione del servizio. Fratelli d’Italia è salita sulle barricate ed ha bollato il tutto come un’operazione da basso impero. Come il furto dell’argenteria mentre i le truppe stanno per assaltare il palazzo. (Leggi qui: Rifiuti, Regione al bivio tra riforma e fallimento).

Posizione più che legittima. Sacrosanta. L’accusa mossa dal Partito guidato nel Lazio da Paolo Trancassini è circostanziata. Per loro gli Egato sono dei poltronifici nei quali accomodare i consiglieri regionali Dem prima che diventino dei trombati con le imminenti elezioni di febbraio. Ma c’è qualcosa che non quadra.

E la prima cosa a non quadrare è che su quelle poltrone non appoggeranno le loro regionali terga solo esponenti del Pd. Ma anche della Lega e di Forza Italia. Quindi se Poltronificio è lo è anche per gli alleati con i quali il partito di Trancassini sta per andare insieme alle urne.

In realtà, la divisione di presidenze e CdA è stata fatta tenendo conto degli equilibri di forza dei vari Partiti nel Lazio: maggioranza ed opposizione; affinché gli Egato siano lo specchio della situazione. E che non siano Poltronifici lo ha scoperto proprio un Partito alleato di FdI. Che ha provato a collocare su una di quelle panche un senatore ed una deputata rimasti fuori dalla recente tornata: le norme, a ieri mattina, non lo consentivano; se oggi verranno interpretate in maniera diversa si vedrà.

Però quella norma non nasce in una notte, inserita in maniera carbonara nell’Ordine del Giorno Regionale. C’è stato un dibattito in Aula, lungo ed approfondito, durato un paio di anni nelle Commissioni. È la scelta dei tempi adottata da FdI ad essere rischiosa. Perché salire sulle barricate adesso dà l’impressione che si tratti solo di uno spot elettorale: rinunciare ad una Poltrona per prendermi tutti i voti del centrodestra che invece al poltronificio ha partecipato.

Tempo slEgato.

GIORGIO GORI

Nicola Zingaretti con Giorgio Gori © Sergio Oliverio / Imagoeconomica

I Padri Nobili hanno di solito un difetto: o sono padri o sono nobili. Ovviamente nel caso di Giorgio Gori sia la patente di “paternità” del Pd che quella di “mancanza di nobiltà” nella sua linea recente sono eccessive. Però qualcosina traspare al di là delle iperboli.

Spieghiamo. Giorgio Gori fa parte di quel pattuglione di persone che alla candidatura di Elly Schlein ed a quella “storia nuova” che lei vuole scrivere non ci hanno creduto mai. E non perché non fosse possibile. Ma perché a renderla tale sarebbe stato un guaio. E Gori, che comunque di essere un signore se lo ricorda abbastanza spesso, contro la Schlein non ha nulla, solo che per lui vederla segretaria del Partito Democratico significherebbe non vedere più il Partito Democratico.

Come mai? Innanzitutto perché Gori sta con Stefano Bonaccini, come Dario Nardella e come un bel mucchio di capi corrente che di Schlein apprezzano le doti. Ma non amano le aspirazioni. Poi perché Gori ha una sua teoria. Ed è quella per cui lui fa fatica “ad immaginare che possa essere lei a rilanciare il Pd, che ha la necessità di riconquistare milioni di elettori per tornare ad essere il primo partito del Paese“.

E invece di additare il correntismo come causa del suo ragionamento Gori ha accusato il correntismo di esserne effetto: “Ho il sospetto che dietro di lei ci siano movimenti per nulla disinteressati“. Insomma, Gori ci resterebbe in un Pd a guida Schlein? “Non lo so. Vivo questo congresso come un’ultima occasione di rilancio per il Partito al quale ho convintamente aderito nel 2011”.

Poi giù di mistica da Padre Pellegrino lingottiano. “Ho condiviso la sua Carta dei Valori, al di là delle leadership che si sono alternate. Oggi leggo che qualcuno vorrebbe mandare quella Carta al macero. Sospetto che siano gli stessi che vorrebbero Elly Schlein segretaria, per dare vita alla ‘rifondazione’”.

Insomma, il sunto è che Gori sta in un consesso di persone che sono lì da mesi per cambiare ma non vuole che a cambiare sia troppa roba. I mali del Pd in 22 parole.

Salina bergamasco.