Top e Flop, i protagonisti del giorno: mercoledì 8 febbraio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 8 febbraio 2023.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 8 febbraio 2023.

TOP

SERGIO MATTARELLA

Sergio Mattarella all’Ariston

Era nel destino di questa edizione: Sanremo è stata epicentro della politica nazionale. Nella serata in cui tutti aspettavano il collegamento con Volodymyr Zelensky è stato invece il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a prendersi la scena. E lo ha fatto con la sua semplice ed ingombrante presenza dal palco centrale dell’Ariston.

Se per la prima volta un Capo dello Stato italiano presenzia alla manifestazione canora nazionale per definizione, una ragione importante deve esserci. Per comprenderla bisogna leggere la scelta dei tempi. Non quelli musicali. Ma quelli politici.

In questi giorni si sta preparando una radicale riforma con cui fare a stracci la Costituzione che ha retto l’Italia del 1947 e l’ha tenuta unita fino ad oggi dal colle di Cadibona al Golfo del Quarnaro, per scendere lungo gli Appennini ed attraversare lo Stretto e poi giungere a Pantelleria. Una riforma in senso Presidenzialista che arriva subito dopo l’Autonomia Differenziata di marca leghista che allargherà ancora di più la forbice tra Regioni del Nord e quelle del Sud.

Con la sua presenza, Sergio Mattarella ha ricordato che l’Italia è una, unita, unitaria. E se qualcuno ha avuto dubbi sul significato del messaggio allora è sufficiente ricordare la concomitanza con lo show tenuto all’Ariston da Roberto Benigni declamando la Costituzione.

Il segnale è evidente: si sta dentro la Costituzione della Repubblica Italiana.

Via Re Sergio.

PASQUALE CIACCIARELLI

Ciacciarelli con Marco Corsi

Nella fretta di lasciarsi alle spalle le macerie della Prima per occupare subito uno spazio nella Seconda Repubblica mentre era ancora in costruzione, molti l’hanno dimenticato e non lo hanno portato con se. Si chiama ‘senso di squadra‘: non è una fragranza aromatica, non è una strategia. È semplicemente una delle ragioni fondamentali per le quali si sta in un Partito politico e lo rendono differente da un insieme di bande d’àscari dell’Eritrea.

Il ‘senso di squadra‘ è in genere quello che fa la differenza tra i leader ed i gregari. Anche per questo se ne vedono pochi e rari esempi in giro. Proprio per questo sorprende la mossa compiuta ieri sera da Pasquale Ciacciarelli, consigliere regionale uscente e ricandidato per un altro quinquennio alla Pisana. È andato ad un’iniziativa elettorale del Carroccio a Ceccano ma ha chiesto di non votare per lui. I voti li ha sollecitati per l’ex Presidente del Consiglio Comunale Marco Corsi, candidato nella sua stessa lista.

Via le foglie di fico: in queste elezioni sono schierati tridenti (le due terne del Pd costruite intorno a Sara Battisti ed Antonio Pompeo), accoppiate (i tantissimi tandem uomo – donna con cui sommare i voti grazie alla possibilità di esprimere due preferenze purché di genere diverso), solisti capaci di suonare l’intero concerto da soli. Non si lascia indietro nemmeno una preferenza.

L’incontro di Ceccano

Pasquale Ciacciarelli invece a Ceccano si è comportato da leader. Ed ha chiesto di votare non lui ma il suo collega Corsi. Che in città ha ‘smascherato‘ la precedente pattuglia leghista. Sospettata di non avere sostenuto Riccardo Mastrangeli nella corsa alla presidenza della Provincia di Frosinone. Ma di essere funzionale alle strategie di Fratelli d’Italia che controlla l’amministrazione e sosteneva invece l’elezione di Gino Germani.

Di fronte alla candidatura di Corsi buona parte dei ‘leghisti‘ ceccanesi ha salutato ed è andata in FdI. Pasquale Ciacciarelli ci ha messo la faccia, ha sostenuto quella scelta, a costo di rinunciare ad una parte delle sue preferenze. Segno, allo stesso tempo, di forza elettorale ma soprattutto di senso della squadra.

Il bel gesto sulla linea d’arrivo.

CARLO COTTARELLI

Carlo Cottarelli (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Ci sono momenti e frasi che andrebbero scolpiti nel marmo da quanto calzano. Di solito sono quelli che gli addetti ai lavori riservano ai “loro lavori”. In senso è che per criticare la propria categoria bisogne essere due cose: o molto bravi o moderatamente onesti, faccende che piacciono in ogni declinazione e ad ogni latitudine politica. Carlo Cottarelli ad esempio ha detto che “alle volte gli economisti fanno previsioni mettendoci quello che desiderano accada”.

Ora, a tener conto che Cottarelli economista lo è e che quello di cui parlava era un tema molto delicato, il risultato è stato decisamente piacevole. Ma a cosa alludeva il politico-economista-senatore? All’effetto delle sanzioni alla Russia sull’economia non russa, ma italiana. Ed a quello che dovrebbero aver sortito sul tessuto produttivo di Mosca.

Una faccenda bifronte ed ostica, a contare il grado di coinvolgimento anche etico che da un anno a questa parte essa suscita nella litigiosa comunità italica. Cottarelli è partito dall’impatto su Mosca: “C’è stato, con una crescita negativa per Mosca, e si farà sentire nel tempo”. Ma c’era un distinguo da fare, di quelli che rendono le cose obiettive invece che iperboliche. Ed è: “Tuttavia non sono le sanzioni che possono obbligare Putin a finire la guerra. Sono uno strumento di negoziazione, che a un certo punto arriverà, che non è irrilevante”.

E veniamo all’effetto dell’effetto delle sanzioni, ma sull’Italia. Il sunto è che alcuni settori e categorie hanno patito ma lo Stato ha retto all’urto. Le politiche fiscali “sono state meno espansive dell’anno precedente ma non c’è stata una stretta paurosa”. Tuttavia per lui alla fine si è fatto “tanto rumore per nulla”.

Insomma, qualcuno si è impoverito e qualcuno ci ha guadagnato? A chi è andata bene? Allo Stato, visto che “ha guadagnato perché i titoli di Stato in circolazione sono stati erosi dall’inflazione”. E a chi è andata male? Ai risparmiatori che “hanno investito direttamente e indirettamente nei titoli di Stato e hanno perso”.

Se ci fosse mai stato bisogno di un potatore di iperboli e letture crespe diciamo che a quel bisogno e per questa volta Cottarelli ha risposto “eccomi”.

Sfumatura alta.

FLOP

L’AUTONOMIA PER DPCM

Il Consiglio dei Ministri

Il tema dell’autonomia normativa è uno di quelli che in Italia fanno risorgere il peggio del peggio dei manicheismi assortiti con cui noi italiani da sempre camminiamo nella storia. C’è chi nel sentirla solo nominare diventa idrofobo e fantaccino del Carso. E chi la cerca come la Pietra Filosofale di un progresso tutto da dimostrare.

Insomma, stare in equilibrio cartesiano sul tema è difficile. Lo sta dimostrando il governo Meloni che sullo strumento di “equità” dell’autonomia pensa ad un legiferato di Esecutivo, ad un Dpcm addirittura. Ora, la portata del problema non sfugge neanche a quelli che la mattina sui social cercano la cura per il cancro sotto la voce “infuso di borragine. Se si sta parlando di come dovrà andare l’Italia dei territori e dei governi di secondo livello per i prossimi anni non sarebbe il caso di far decidere a coloro che dai territori hanno ricevuto delega a legiferare?

La questione è vecchia e si barcamena fra il decisionismo di Palazzo Chigi e le prerogative del Parlamento, ma ridurla ad una mera questione di idoneità a “quagliare” è da scemi. Lo è perché la questione, ora e più che mai, è etica e normativa alta. Lo aveva spiegato benissimo il costituzionalista Alfonso Celotto, che fu capo di gabinetto del ministro delle Riforme Elisabetta Casellati: tutto verte sui Lep, i livelli essenziali (leggi minimi) delle prestazioni che non dovrebbero lasciare nessuno indietro.

Il problema aperto di questo disegno di legge è stabilire con quale fonte vadano definiti i Lep. Attualmente si prevederebbe che spetta al governo con un Dpcm. Tuttavia è più conforme al disegno costituzionale pensare che sia la legge a individuare e stabilire i Lep, perché i diritti delle persone possono e devono essere disciplinati con atto del Parlamento. È opportuno modificare questo punto“.

Ecco, si può anche finirla qui: sarebbe il caso di modificarlo.

Delegare, non decidere.