Top e Flop, i protagonisti del giorno: mercoledì 9 novembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di mercoledì 9 novembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di mercoledì 9 novembre 2022.

TOP

VINICIO PELUFFO

Vinicio Peluffo (Foto: Marco Cremonesi © Imagoeconomica)

Si trattava di chiarire che in Lombardia c’è in ballo una strategia politica e non l’inossidabile nemesi fra Enrico Letta e Matteo Renzi.

Quello di Vinicio Peluffo perciò era un compito tutt’altro che facile. Tenere vive le distanze di concetto fra due idee politiche quando intraversate alle stesse ci sono le ruggini fra due leader Alpha non è cosa facile, specie se c’è di mezzo la candidatura golosa di Letizia Moratti contro il centrodestra lombardo a trazione leghista.

Il Segretario regionale del Pd lo ha spiegato bene ad AdnKronos: “Non vogliamo imporre a nessuno un candidato, tantomeno ci facciamo imporre delle candidature: non siamo per i diktat“. E per chiarire meglio e senza dietrologia a sedimentary Peluffo ha fatto il membro di commissione che trova una sbavatura curriculare: “La Moratti ha un suo percorso all’interno del centrodestra: per noi non è e non può essere un’opzione“.

Attenzione, Peluffo ha fatto in modo di assicurarsi l’appoggio del plenum regionale lombardo prima di parlare, la sua è stata un’operazione politica e comunicativa curata in ogni minimo particolare. La sintassi del Pd sa essere diretta malgrado i marinismi apparenti: “Abbiamo rivolto un appello a tutte le forze per una proposta programmatica, che consenta di costruire insieme una coalizione. Si decide insieme: per noi lo strumento è quello delle primarie di coalizione” .

Insomma, lo scopo era far capire che in Lombardia il Terzo Polo di è fatto fuori da solo e lo ha fatto giocandosi una carta che avrebbe imbarazzato almeno metà del Nazareno. E Peluffo ha fatto passare il messaggio rendendone credibile la cornice.

Più strategico che tattico.

GIUSEPPE SACCO

Giuseppe Sacco

Se il punto di caduta sarà lui è un’opzione, non una certezza. Ma è già abbastanza per dire che la possibile individuazione di Giuseppe Sacco come candidato di sintesi per la presidenza della Provincia di Frosinone racconta con disarmante semplicità le mille sfaccettature della politica di questi giorni. (Leggi qui: Provincia, il campo largo per Sacco mette fuori gioco Di Stefano).

C’è un tema antico: nessuno ha i numeri per imporre il suo candidato. Nè Fratelli d’Italia con Roberto Caligiore o Lucio Fiordalisio. Né il Pd con Gianfranco Barletta. Tantomeno Forza Italia con Anselmo Rotondo o la Lega con Riccardo Mastrangeli. Il sale della democrazia impone in questi casi di ragionare e trovare una sintesi: rinunciando a qualcosa ma vincendo tutta la partita.

Vince chi è più abile. Ma oltre alla capacità nel leggere i numeri, metterli in fila, addizionarli, serve l’uomo di mediazione. Il sindaco di Roccasecca Giuseppe Sacco, con il sindaco di Sora Luca Di Stefano, hanno lo skill richiesto. L’ago della bilancia pende verso il primo per due motivi: ha già un mandato alle spalle, può vantare una serie di successi amministrativi non secondari come il braccio di ferro sulla discarica provinciale che ora è chiusa ma per due volte Palazzo Chigi s’è dovuto riunire per deliberare e forzare le norme sollevate da Sacco.

I rumors dicono che ad oggi la partita va in quella direzione. Ma ci sono ancora molte variabili aperte. Una su tutte: c’è chi dimentica che si sta eleggendo il nuovo Presidente della Provincia e sta pensando invece a procurarsi i voti da mettere sul tavolo per le Regionali. Il che metterebbe in discussione l’opzione Sacco.

Che in ogni caso racconta, con precisione, le mille sfaccettature della politica di questi giorni.

Sindaco di sintesi.

FLOP

GIUSEPPE CONTE

Giuseppe Conte (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Se sia da Top o da Flop dipende solo da quale curva dello stadio si assiste alla partita che è in corso tra M5S e Pd nel Lazio, per l’elezione del successore di Nicola Zingaretti. È chiaro che Giuseppe Conte stia solo fingendo di giocare il match per le Regionali.

La sua vera strategia è logorare il Partito Democratico sgretolandolo poco alla volta fino a farlo crollare e trasformare così il Movimento 5 Stelle nella prima forza politica del Lazio. Con conseguenze letali per il Pd.

Per comprendere la portata della manovra avviata da Giuseppe Conte è sufficiente leggere le conseguenze ‘sul campo’ nel sud del Lazio. Il M5S primo Partito ed il centrodestra vincente alle Regionali significa zero eletti Pd a Frosinone e zero eletti Pd a Latina. Chiara la manovra?

Una strategia del tutto legittima, comprensibile: condivisibile se si sta dietro le linee pentastellate. Le rivoluzioni (e questa ne ha la portata) non sono inviti a cene di gala insegnava Mao. Il risultato finale sarebbe un Pd subalterno, destinato alla frantumazione durante il Congresso e proiettato verso la scissione tra le due anime originarie dei Ds e della Margherita. Con una una parte che verrebbe amalgamata nei 5 Stelle ed una con il Centro.

Se sul piano dei giochi di potere tutto questo ha un senso, cosa autorizza a farlo sulle spalle dei cittadini del Lazio? Saranno loro a pagare le conseguenze ogni giorno. Perché prima di Zingaretti le province di tutto il Lazio avevano una Sanità basata sulle Macroaree cioè dovevi andare a Roma per farti curare, in un ospedale diverso a seconda della patologia e della provincia da dove partivi. E questo non per dire che la sanità di Zingaretti sia meglio di quella lasciata da Polverini: ma per dire che le conseguenze pratiche del Risiko finiscono sulla pelle dei cittadini.

Giuseppe Conte sa benissimo che la sua strategia consegnerà il Lazio al centrodestra. Il quale è talmente sicuro del risultato che non si sta affrettando nemmeno un po’ per annunciare il suo candidato. Ma perdere il Lazio, per Conte e la sua visione, significa prendersi buona parte del Pd.

Il Pd val bene una sconfitta.

GOFFREDO BETTINI

Goffredo Bettini (Foto Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

Lui ha tutte le ragioni del mondo nel dire che il Pd ha seguito ed applicato per troppo tempo l’apologetica dello sviluppo. Ed il suo ragionamento non fa una grinza quando spiega che no, Giuseppe Conte non è affatto il nuovo nemico del Nazareno.

Tuttavia ed anche al netto di questa analisi come sempre acutissima ed impietosa Goffredo Bettini sta camminando sui carboni ardenti.

Lo sta facendo perché la storia del Pd di ieri ha consegnato al Partito l’unica storia possibile per il Pd di domani: rifondarsi e smetterla di cercare truppe ausiliarie per una deambulazione che si è fatta identitaria.

Bettini ha in mente il Lazio ed ha in mente la situazione nazionale quando spinge il Pd a cercare di nuovo Conte ed il suo M5s. Lui vuole che il Partito torni ad essere centrale e sa che per farlo ha bisogno di due cose: numeri e reale vocazione pauperistica. Ma Bettini sbaglia quando crede che il M5s così come l’ha rivoluzionato Conte possa essere più di un modello da imitare.

Perché un Pd che continua ad appaltare a terzi la sua trama etica sarà sempre un Partito in debito con gli elettori e magari in pace con se stesso, cioè un Partito perdente.

Non l’hai detta bene.

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