Top e Flop, i protagonisti del giorno: sabato 1 ottobre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di sabato 1 ottobre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di sabato 1 ottobre 2022.

LUCIANO SPALLETTI

Luciano Spalletti ai tempi dello Zenit di Sanpietroburgo

La vita è una scalata in alta montagna: servono forza, passione, competenza, abilità e tanto altro per arrivare in vetta. Una volta che sei lì ed hai piazzato la bandierina c’è chi si ferma a prendere il sole e chi osserva l’orizzonte per individuare la prossima vetta da scalare. Consapevoli, in entrambi i casi, che da sotto osservano: alcuni con invidia (non essendo stati altrettanto capaci o fortunati), altri con ammirazione (per prendere esempio e provare a riuscirci). Luciano Spalletti è uno che ha la chiara consapevolezza di cosa significhi la responsabilità di stare in vetta.

L’allenatore del Napoli è arrivato lì stringendo i denti dove altri hanno mollato. Ha vinto dove altri non sono riusciti. Ha detto in faccia quello che pensava anche a chi si riteneva un idolo ma poi, appesi gli scarpini, non ha proseguito la scalata e non diventerà mai uno Spalletti.

Nel pomeriggio di ieri Luciano Spalletti si è presentato nella tradizionale conferenza stampa del pre partita: ed ha portato con sé due rose. Non per galanteria ruffiana. Ma per impegno. «Sono per ricordare Mahsa Amini e Hadis Najafi» ha spiegato.

Mahsa Amini è la donna di 22 anni morta in Iran lo scorso 16 settembre mentre si trovata sotto custodia della polizia dopo essere stata fermata perché indossava in maniera non corretta il velo. Delle proteste nate dopo la sua morte, Hadith Najafi era diventata subito il simbolo: la giovane è stata uccisa a Karaj. Era diventato virale il video nel quale la bionda Hadith, senza velo, si legava i capelli prima di una manifestazione.

Quando stai in vetta e ti occupi di pallone, potresti beatamente fregartene di quello che accadere a migliaia di stadi da te. Ma se porti due rose in conferenza stampa significa che non sei un allenatore di Serie A: sei un Campione del Mondo del buon esempio. Esattamente come Luciano Spalletti.

Campioni si diventa.

LUIGI DI MAIO

Luigi Di Maio (Foto: Tim Hammond / Imagoeconomica)

La definizione più sferzante la diede Sergej Viktorovič Lavrov, diplomatico di lunghissimo corso e non per caso Ministro degli Esteri della Russia. Ricordò che guidare la diplomazia di uno Stato non significa andare in giro per il mondo ad assaggiare piatti esotici. Semmai il titolare della Farnesina nel governo Draghi avesse avuto un minimo di credibilità residua, l’ha vista evaporare in modo definitivo.

L’Italia ha avuto, nella Prima Repubblica, una lunga tradizione di titolari degli Esteri. Supportati da una generazione di feluche d’assoluto rispetto, competenza e capacità. Con la schiena dritta e capaci di suscitare l’ammirazione dei Paesi in cui venivano inviati. Ancora oggi le analisi dell’ambasciatore Sergio Romano su quanto accade nell’ex Urss sono definitive, tra quegli uffici si sono mosse figure come quella di Staffan de Mistura che è una specie di Onu ambulante.

Seppure con ritardo, ne ha preso atto l’attuale titolare del dicastero Luigi Di Maio: totem dell’inconsistenza del Movimento 5 Stelle dei Vaffa day che hanno lasciato in eredità al Paese i famigerati banchi a rotelle e purtroppo anche molto altro.

Consapevole che un fortunato ed irripetibile ciclo della sua esistenza si sia concluso, il ministro degli Esteri ha iniziato a fare gli scatoloni. Partendo dalle cose più ingombranti: la pagina Facebook da 2,4 milioni di fan, il profilo TikTok. Li ha disattivati. Il ministro degli Esteri ed ex Capo Politico del M5S Luigi Di Maio non c’è più. Ha lasciato un segno talmente profondo nel Paese da non essere rieletto. E lui, finalmente con coerenza, ha fatto ciò che doveva.

Il suo team conferma: shutdown volontario, non è azione di hackeraggio. Non dei russi, certamente: a quelli di Lavrov un ministro degli Esteri così non poteva che fare piacere.

Lo spegnimento delle vecchie stelle.

FLOP

DANIELE NATALIA

No, non era “un incidente di percorso” come il sindaco di Anagni Daniele Natalia aveva tentato di minimizzare. Lo scivolone di giovedì scorso in Consiglio comunale è il sintomo di più d’una cosa che non funziona nella sua amministrazione: sia sul piano politico che sul piano amministrativo. Come dimostra il secondo, imbarazzante scivolone, rimediato nelle ore scorse. Umiliante per i modi in cui si è manifestato: segno di evidente superficialità ed approssimazione.

Il secondo rinvio in ventiquattrore del Consiglio Comunale è quanto di più simile ad un Caporetto possa esistere. Non tanto per le assenze: questa volta i numeri per procedere c’erano. Ma per la dimostrazione di impreparazione di fronte alle procedure. Perché nessuno aveva letto il regolamento e notato il codicillo che impone la convocazione scritta degli assenti alla seduta precedente. (Leggi qui: Non era ‘un banale incidente’: Il Consiglio salta anche oggi).

Nulla di grave, sia chiaro. Ma è il segnale di una superficialità che è il sentiment latente di questa amministrazione. Non si spiega altrimenti il progressivo sfilarsi dei pezzi di una maggioranza grantica… fino al momento in cui non ha avuto un’alternativa. Che ha cominciato a prendere forma con i saluti dell’assessore al Bilancio ed ex presidente d’Aula Giuseppe De Luca.

I rumors dicono che stia prendendo forma intorno a lui la possibile alternativa a questa amministrazione: sempre nell’alveo del centrodestra. Con la regia dell’ex sindaco Franco Fiorito che nel gioco della strategia politica ha ben pochi rivali.

Daniele Natalia reagisce nell’unico modo possibile: realizzando interventi, mantenendo gli impegni presi in campagna elettorale. I fatti di questi giorni dicono che potrebbe non bastare. Anzi, essere del tutto inutile.

Mi sa che non era un caso.

DOMENICO ALFIERI

Domenico Alfieri

Nel Partito Democratico c’è stato. E non con un ruolo secondario. Domenico Alfieri è l’ex Segretario Provinciale prima del Congresso che l’ha sostituito con Luca Fantini. Proprio per questo la sua analisi della situazione è da tenere in considerazione: è stato sulla linea del fronte a cavallo tra due periodi. Cioè quello del renzismo sfrenato e poi quello del post renzismo e delle macerie.

Oggi dice che è fin troppo facile dare la responsabilità dell’accaduto al Segretario Nazionale di turno. «Il vero problema del Partito che va eliminato sono le correnti che uccidono qualsiasi dibattito politico e qualsiasi sano confronto sulle problematiche dei cittadini e sulle soluzioni per risolverle». Poi mette il dito nella piaga e porta la questione dietro alla porta di casa: «Capicorrente che scelgono candidati e li piazzano sui territori senza considerare il diritto di rappresentanza e le esigenze dello stesso territorio. Grazie a questo modo di fare la nostra Provincia non ha rappresentanti ciociari del Partito Democratico in parlamento e soffre palesemente il modello “Correnti Pd” anche la Federazione di Frosinone».

Ineccepibile. Se non fosse che anche durante la sua Segreteria le Correnti c’erano, sono rimaste, hanno fatto i comodi loro. Lui stesso è il risultato di un accordo tra le correnti: altrimenti mai sarebbe stato eletto.

Altrettanto ineccepibile il tema dei paracadutati. Ma pure durante la sua Segreteria non è che Francesco Scalia e Francesco De Angelis siano stati schierati in prima linea ed oggi i nostri uomini migliori siano finiti in retrovia per colpa di Fantini e co.

Il tema posto da Alfieri è ineccepibile quanto eterno. Perché oramai hanno ampliato a 3 le categorie dei matti: la prima è composta da quelli che si credono Napoleone, la seconda conta quelli che promettono i treni in orario sulla Roma – Cassino, la terza è fatta da quelli che immaginano un Pd senza le Correnti. Non sarebbe il Pd.

Nel discorso di Alfieri c’è una deriva contiana: la stessa che ha agitato a lungo il leader del M5S. Evidente quando l’ex Segretario Dem conclude: «Si individui una leadership del Pd provinciale scevra da appartenenze a componenti o correnti». La lingua batte dove il dente duole.

Sindrome da Giuseppe Conte.