Top e Flop, i protagonisti del giorno: venerdì 10 febbraio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 10 febbraio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 10 febbraio 2023.

TOP

SILVIO BERLUSCONI

Silvio Berlusconi (Foto Sergio Oliverio / Imagoeconomica)

In questa settimana e nelle ultime ore ha rimesso in campo una verve sorniona che si credeva ormai avesse sperso nei mille rigagnoli emissari del gran lago di anagrafe e cesarismo che lo contraddistinguono. E invece su Silvio Berlusconi ogni tanto bisogna ricredersi altrimenti finisce che lui ti passa sotto il naso dalla modalità “umarèl” a quella “volpone”.

L’unità di misura politica di questo periodo, inutile negarlo, non è quella delle Regionali in Lazio e Lombardia che bussano, ma quella del Caso Cospito. Lo è in un’Italia proclamante che da sempre, da D’Azeglio in poi ma anche prima, ama enunciare i massimi sistemi molto più di quanto non ami applicarli.

E sul Caso Cospito ci si sono misurate due categorie politiche assolutamente trasversali: quelli che ci sono sono buttati dentro di pancia e quelli che sono rimasti a bordo piscina sapendo benissimo che la tinozza non conteneva acqua. Ecco, Berlusconi sta fra questi ultimi e soprattutto sta fra coloro che hanno detto alle truppe di stare in riga e di non buttarsi nella baruffa fra FdI, Pd, sinistre sciolte e una libbra grossa di Lega.

E il Cav il Caso Cospito, fino a poche ore fa si badi, non lo ha neanche nominato. Ma ha detto cose a puntate che hanno fatto capire che era esattamente quello a cui lui alludeva quando parlava. Insomma, il “vecchio saggio” stavolta è stato più saggio che vecchio ed ha “surfato” il caso Cospito.

Come? Dicendo ad esempio e dicendolo serafico che “i nostri parlamentari lavorano meglio e di più“. Ecco, il senso era ed è che lì dove quelli dei Partiti alleati sono nell’occhio del ciclone per vicende legate anche alle loro “intemperanze”, quelli del Partito del Cav sono più disciplinati e soprattutto “scafati”. Lo sono al punto da non cadere nel trappolone di un’invettiva in aula contro il Pd a tema “filo-terrorismo”. E di non mettersi sulla coda del dragone di fuoco che quell’episodio aveva fatto levare in volo.

E come lo ha spiegato senza spiegarlo il Cav? “I nostri parlamentari costituiscono i due gruppi con più cultura e con più professionalità alla Camera e al Senato. Lavorano meglio, e di più, di tutti gli altri gruppi e collaborano con assoluta lealtà con gli altri parlamentari del centro-destra”. Poi la chiave di volta del perché le “truppe” siano così disciplinate: “Io continuo ad essere il regista di Forza Italia, lavoro molto e sono in continuo contatto con i miei ministri e con tutti i miei parlamentari”.

La vecchia regola che nelle bagarre a godere sono sempre gli spettatori interessati è stata valida anche stavolta.

Ha preso il Gerovital.

NICOLA ZINGARETTI

Nicola Zingaretti

Ha tolto la giacca ed arrotolato le maniche, uscendo dalla modalità “andatevene tutti aff… a quel paese” sulla quale si era attestato il 4 marzo di due anni fa. Sbattendo la porta nell’ufficio da Segretario del Partito Democratico. Nel frattempo ha lasciato che quel Pd marcisse nel proprio male interiore, consumando anche un altro Segretario: Enrico Letta.

In questi 23 mesi i fatti hanno drammaticamente dato ragione a Nicola Zingaretti. Compreso quando ci mancò poco che dal suo Pd gli mettessero la camicia di forza e lo accompagnassero alla neurodeliri. Aveva appena detto che Giuseppe Conte era così popolare da poter essere il federatore di un nuovo polo progressista nazionale.

Il Pd con Zingaretti aveva portato alle Primarie quasi 2 milioni di votanti, vincendo le elezioni; senza Zingaretti… il Pd sta dove sta. Oggi l’ex Segretario scende dal suo scranno parlamentare per metterci la faccia su quei territori nei quali per dieci anni ha rivoltato le zolle e costruito una nuova Regione.

Che può piacere o no. Ma non ha più le macroaree con le quali fare media tra i posti letto che erano di troppo negli ospedali romani ed i posti letto mancanti in provincia di Frosinone; i conti della Sanità hanno le briglie dopo vent’anni di sacrifici fatti da destra a sinistra e questo ha sbloccato molti fondi; i conti vengono pagati a 2 settimane e non più a 2 anni dalla data di presentazione fattura; i bus del Cotral non si incendiano anche perché ora le manutenzioni sono a carico del fornitore che ha tutto l’interesse a fare si che non si rompano; tutti i treni per i pendolari sono stati sostituiti.

Si poteva fare meglio? Sempre. Si poteva fare in modo diverso. Certo. Si può arrivare agli stessi risultati passando per altre strade, per questo esistono destra e sinistra che propongono percorsi diversi con i quali giungere allo stesso obiettivo. E per questo ci sono le elezioni.

Nicola Zingaretti in queste ore viene a metterci la faccia a Frosinone. E non lo fa in maniera ecumenica: va solo nell’area di Sara Battisti, che è quella di Francesco De Angelis, nella quale ci sono Libero Mazzaroppi ed Andrea Querqui. Viene per dire che la partita per Alessio D’Amato è apertissima a condizione che Frosinone ancora una volta regga il fronte. Ed i bastioni sono quelli del suo lavoro.

Tutto il resto è tifo.

FLOP

FABRIZIO PIGNALBERI

Adesso è davvero finita. Anche se il dubbio è se fosse mai cominciata l’avventura di Fabrizio Pignalberi lungo la strada per diventare Governatore del Lazio. Il Consiglio di Stato nelle ore scorse ha respinto anche gli ultimi due ricorsi contro la sua esclusione dalle elezioni.

E non ha dovuto cavillare affatto. Non c’è stato bisogno di spremere i cervelli dei magistrati per individuare un valido pretesto giuridico nascosto tra i commi con cui toglierlo dalla competizione. Semplicemente: non ne ha i requisiti. A tutti è evidente. Tranne che al diretto interessato.

Riassumiamo: per candidarsi a fare il Governatore del Lazio bisogna essere presenti con le proprie liste in almeno tre province della Regione. E Fabrizio Pignalberi lo ha fatto. Ma da un rapido controllo delle firme a sostegno della candidatura presentate a Frosinone è sorto qualche dubbio. Che siano false. Sul che sta approfondendo la Procura della Repubblica. Come si diceva una volta: siamo andati nel Penale. È stato escluso. Restano valide le firme e la candidatura sulle altre due province. Ma due è meno di tre. Inutile starne a parlare, hanno scritto nelle ore scorse i giudici.

Alla fine ne ha preso atto anche Fabrizio Pignalberi. Che ieri sera ha gettato la spugna. Durante una diretta Facebook ha annunciato di lasciare la presidenza del suo movimento politico. E che tornerà a fare il papà a tempo pieno. Il dubbio sul complotto gli resta: «Arriverò comunque a trovare la verità. È un arrivederci e non un addio». Ancora non ha capito.

Game Over.

LORENZO GUERINI

Lorenzo Guerini (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

Il guaio della politica attiva è che si tratta di una specie di otto volante. Dove, a seconda del grado di rappresentanza e delle sorti della bottega con cui si sta si sale e si scende. E lo si fa non tanto in termini di grado di responsabilità (quello è sano e fisiologico come mi cambio olio all’auto) ma in termini di visibilità.

Accade perciò che in date circostanze chi prima era noto poi diventi oscuro e comunque più bigio di quanto i fasti passati non gli facciano rimembrare. In questi casi succedono due cose. O il politico passato ad altro incarico pensa a quell’incarico che magari di visibilità non ne richiede per sua conformazione istituzionale. O si va a cercare la visibilità lì dove essere in vista non è bello. Ed è un po’ mesto. Quando non a volte irrituale.

Lorenzo Guerini questa cosa l’ha capita ma non benissimo, a giudicare dal come si sta prodigando in questi giorni nel dire che il Copasir è sul pezzo in merito al recente attacco hacker ad Italia e mezzo mondo. Già ministro della Difesa, il parlamentare in quel ruolo si era scavato una nicchia “figa” che per sua insita natura non storceva e non faceva storcere nasi.

Un ministro della Difesa è uno che va alle parate, che si prende i saluti di generali con greca e quattro stelle, che fa scattare sull’attenti reggimenti interi e che prende addosso a sé un po’ della mistica patriottarda. Che per altri, quelli con le stellette vere, è Patriottismo vero.

Poi è arrivato il Copasir, che è organismo segreto per definizione, o quanto meno più discreto. E posto molto più mogio in quanto a mainstream. E Guerini, che pure proprio da lì viene, ci si è trovato male ed è diventato loquace. Attenzione: non loquace nel senso di essere divulgatore di cose sensibili eh (Donzelli si incazzerebbe se qualcuno gli rubasse il lavoro) ma loquace nel senso di teso ad esserci e proteso a parlare con i giornalisti anche quando parlare non era proprio necessario assai.

Ecco perché sul tema attacco ramsonware Guerini ha detto che il Copasir segue “con grande attenzione l’attacco hacker di queste ultime ore. Ho chiesto al professor Baldoni (direttore generale di Acn ndr) di far pervenire al Comitato una relazione su quanto accaduto“. Ecco, ci sono momenti in cui a Roma sanno coniare le Massime Espressioni per definire un certo grado di disinteresse per una vicenda importante ma a cui le parole di Guerini non hanno aggiusto nulla.

Perché non sta scritto da alcuna parte che uno deve starci sempre, sul pezzo, e magari a volte quel famoso “bel tacer” diventa oro zecchino. Non c’era bisogno di dirlo ma solo bisogno di farlo, senza informare il mondo di cose peraltro poco masticabili dai più.

Stacce Lorè.