Top e Flop, i protagonisti del giorno: venerdì 20 gennaio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di venerdì 20 gennaio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di venerdì 20 gennaio 2023

TOP

ANDREA BASSI

Andrea Bassi

Fino a qualche anno fa era consigliere comunale a Verona e per altre fiate era stato consigliere regionale del Veneto. Ora, di Andrea Bassi poco interessa dove operi per la cosa pubblica, né se si trovi meglio in Fratelli d’Italia rispetto alla Lega.

No, a noi di Andrea Bassi interessa che da politico deputato ad amministrare la cosa pubblica lui si sia trasformato in persona incazzata nel denunciare cose pubbliche, cose sconce nella loro polpa. E il paradosso-Bassi lo ha illustrato proprio lui con un post su Facebook. Leggiamo cosa ha scritto e capiamo perché lo ha scritto: “Proprio vero: a volte si fa più notizia quando non si vuole farla. Qualche giorno fa ho pubblicato un post sul mio profilo personale di Facebook su un fatto a mio avviso incredibile accadutomi”.

Poi l’ammissione candida che vale due triliardi di massimi sistemi. “Ebbene, ha avuto più risonanza mediatica della stragrande maggioranza dei post politici che io abbia mai scritto! Subito francamente non ne ero felicissimo ma oggi, col senno di poi, mi sono ricreduto”.

Rider al lavoro. (Foto Marco Cremonesi © Imagoeconomica)

Ma cosa aveva scritto Bassi da ottenere tanto successo? Nulla di che: solo che la prima volta che lui ha ordinato del cibo per mezzo di un delivery rider è stata esattamente l’ultima perché si è accorto di una cosa. E cioè che incazzarsi con un rider in ritardo sulla sua bicicletta equivale a tenere il polso che regge la frusta di Simone Legree, lo schiavista della capanna dello Zio Tom.

Il rider che, sputando i polmoni sull’asfalto, era arrivato a gratificare le papille di Bassi si era sciroppato circa 50 km in mezzo all’abitato di Verona e quando gli aveva consegnato panino e patatine sembrava l’Albania dopo la fuga di re Zog. Perciò Bassi aveva raccontato quella storia di mortificazione e lavoro e mortificato aveva chiosato con un “mai più” grosso come l’Arena della sua città.

E la chiosa del tipo quando ha visto che il suo racconto è tracimato in decine di articoli, post e commenti è piaciuta più del preambolo che l’aveva innescata: “Spero che questa attenzione cominci a squarciare il velo di indifferenza (spesso inconsapevole, come nel mio caso) che cela alcune evidenti storture nel funzionamento di questo sistema”.

Perché poi là, nella Capanna dello Zio Tom, Simone Legree alla fine perde.

Junk food.

MARCO DELLE CESE

Marco Delle Cese (Foto © AG IchnusaPapers)

Occorre la lente d’ingrandimento per riuscire ad individuarne qualche frammento delle impronte digitali. Solo chi sa dove guardare riesce a trovarne di sue con certezza. Ma dietro alle operazioni che questa mattina portano all’assetto definitivo dell’Amministrazione Provinciale di Frosinone c’è la mano di Marco Delle Cese. È lui la minuscola figura sullo sfondo che però regge l’intero architrave sotto al quale si svolge la scena.

Alle 10.30 di questa mattina c’è in agenda l’ingresso in Aula di tre nuovi Consiglieri: due sostituiscono i rappresentanti di Ferentino decaduti con le dimissioni del sindaco Antonio Pompeo; una sostituisce l’ex presidente d’Aula Daniele Maura che le ha lasciato lo scranno per concentrarsi sulle Regionali alle quali è candidato.

Il primo ingresso è quello del sindaco di Colle San Magno Valentina Cambone. È lei la designata dai nuovi equilibri al ruolo di vice Presidente della Provincia di Frosinone. C’è l’invisibile Marco Delle Cese dietro alla sua candidatura in Provincia nella lista del Polo Civico che lui contribuì in modo determinante a tagliare e cucire (in accordo con il leader Gianfranco Pizzutelli, in un gioco di equilibri interni tra centrosinistra e centrodestra). Tanto quanto c’è lui dietro all’elezione di Alessandro Rea, il consigliere di Ferentino che viene surrogato oggi.

Valentina Cambone

L’ex presidente del consorzio industriale Cosilam è l’uomo che ha portato Fincantieri a Cassino, ha teorizzato e realizzato il primo Contratto di Filiera: sempre rimanendo lontano dai riflettori, preferendo sostenere l’architrave. È lui ad avere cucito quella lista costruendo un equilibrio perfetto con i Comuni dell’Unione Cinquecittà: un sistema che prevedeva Valentina Cambone in Aula e poi vicepresidente; il sindaco di Roccasecca Giuseppe Sacco candidato Presidente della Provincia (operazione sfumata solo per i veti posti dal sindaco di Cassino Enzo Salera); il sindaco di Aquino Libero Mazzaroppi candidato alla Regione Lazio.

Terminato il Consiglio, il presidente Luca Di Stefano firmerà due decreti: con il primo assegnerà il ruolo di vicepresidente all’avvocato Valentina Cambone; con il secondo nominerà Presidente del Consiglio Provinciale il Consigliere Gianluca Quadrini.

Occorre una visione di sistema e di insieme per riuscire a comprendere lo scenario e disporlo in maniera che la scena si possa svolgere come il regista vuole. Serve concentrazione per farlo, non il megafono: è per questo che lui preferisce studiare tutto nell’ombra, nascosto sotto il peso dell’architrave che sostiene.

Per la cronaca. Oggi viene surrogato anche Luca Zaccari di Ferentino, sostituito con il consigliere leghista di Alatri Giuseppe Pizzuti (in quota a Pasquale Ciacciarell); e Daniele Maura di Fratelli d’Italia che si è dimesso spianando la strada al ritorno di Stefania Furtivo, consigliere comunale a Pofi, che era stata in provincia nel biennio 2019-21.

Architrave del Sud.

FLOP

DONATELLA BIANCHI

Donatella Bianchi (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Vogliono che se ne vada. E lo vogliono con tanta chiarezza che, in maniera del tutto irrituale, anche il Presidente del Consiglio Comunale di La Spezia ha voluto mettere la sua firma. Proprio lui che si è ritagliato un ruolo super partes e per questo, nei documenti di partes, non ha mai voluto lasciare il suo autografo.

Ma il documento in questione è particolare. È quello con cui l sindaco di La Spezia Pierluigi Peracchini chiede ufficialmente le dimissioni della Presidente del Parco nazionale delle Cinque TerreDonatella Bianchi. Cioè colei che il Movimento 5 Stelle ha candidato alla Regione Lazio con il solo scopo di far perdere il Pd ed il centrosinistra, dal momento che i numeri sono stati chiari fin dall’inizio: possibilità di elezione pari a zero, senza quei voti la Regione va al centrodestra a meno di un miracolo che Alessio D’Amato sta tentando di costruire.

Il sindaco di La Spezia aveva detto da subito che quella candidatura rompeva il patto non scritto con Donatella Bianchi. Lì alla guida del Parco ce l’ha messa il centrodestra. Quello di Giovanni Toti e non quello di Biancaneve con i sette nani. Per dare un peso politico più ampio il sindaco ha voluto portare la questione in Aula. Ed è passata: con i soli voti della maggioranza di centrodestra. Che lo impegna “a farsi promotore all’interno della comunità del Parco, di cui fa parte anche il Comune della Spezia, della richiesta di dimissioni”.

Donatella Bianchi continua a dire che aveva accettato solo perché non era un incarico politico. Che però le è stato dato, in tutta evidenza, dalla politica. Al termine di un confronto, politico, tra il presidente Giovanni Toti e l’allora ministro dell’Ambiente del Movimento 5 Stelle.

Delle due l’una: o non ha capito dove sta o finge di non capire per tenere la poltrona. In entrambi i casi, scatta ora l’invito ufficiale a togliersi di mezzo. Per una questione che piace al M5S: l’opportunità.

Ufficialmente inopportuna.

PIF

Pif

Con Beppe Grillo era stato glorificato. Con tutti quelli che abbiamo in corpo noi ci si potrebbe riempire lo spazio come concetto astrofisico. Il “Vaffa” è una panacea, un intercalare, una risposta ed uno slogan e senza scadere nella sua millemila declinazioni limitiamoci a dire che è una costante dialettica della nostra esistenza.

A volte però è anche la risposta giusta da dare e di solito lo diventa quando si fa costante emotiva. Emotiva come l’emozione tonda che deve aver provato Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, nel mandarci un residente di Castelvetrano che in una intervista aveva definito “sbagliato” l’arresto di Matteo Messina Denaro.

Si, perché il senso di quell’affermazione è molto più profondo e molto peggiore del parlato occasionale di una lettura “morbida”. Con la mafia non ci sono scuse, con il malommi non ci sono sfumature e con le cosche non si traccheggia. Non lo si fa perché la palta in cui stanno mischiate collusione, omertà, complicità e silenzio sono la somma assoluta del vero male che la mafia rappresenta.

Senza i suoi fiancheggiatori laici Cosa Loro sarebbe solo una banda più organizzata di scannatori seriali e demolirla sarebbe stata faccenda netta da pochi anni. Grazie anche a gente come chi oggi “assolve” Messina Denaro la mafia è monolite sempre battibile, ma per erosione, non per attacco diretto e definitivo.

E Pif semplicemente lo ha detto: “Non è stato giusto arrestare Matteo Messina Denaro? A questa persona dico vaffanculo…“. Quel servizio realizzato a Castelvetrano, paese natale del boss arrestato a Palermo, ha dato la cifra di una cosa che da sola basterebbe a spiegare perché in Italia i latitanti li prendiamo quando l’eco delle loro malefatte arriva solo alle orecchie di chi ha avuto morti e di chi indaga. Perché nella loro latitanza non sono bravi, sono aiutati da un tessuto sociale che li ingloba e li protegge. E che noi, colpevoli di retorica, troppo spesso attribuiam ad “alte sfere”, poteri occulti e piani alti fumosi di ghenghe banchiere.

Ma talvolta un legittimo Vaffa non basta. È limitativo. E non occorre un vaffa al quadrato. Occorre invece argomentare. E dire queste cose. Spiattellarle in faccia a quei signori che con la loro ignavia o con la loro azione hanno fatto da utero protettivo per i signori della mafia. Metterli di fronte al fatto che le vere quinte colonne dei boss sono quelli che a casa hanno Netflix, un cane e le cambiali della nuova Nissan per la figlia 18enne.

Pif ha detto che non va bene. Casomai ci servisse che qualcuno ce lo ricordi. Ha fatto bene. Ma un vaffa non spiega. Ed è troppo facile rispondergli. Con un altro vaffa. E tutto resta com’era. Sprecando un’occasione televisiva.

Ecco, appunto: mavaff.

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