Top e Flop, i protagonisti del giorno: venerdì 23 settembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di venerdì 23 settembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di venerdì 23 settembre 2022

TOP

GIUSEPPE GARGANI

Giuseppe Gargani (Foto © Imagoeconomica)

Ha dalla sua quella coerenza quadrata e di spigoli forti che può appartenere solo a due tipi di politici: quelli di scuola democristiana o quelli di tratto europeista. E guarda il caso Giuseppe Gargani è stato punta di lancia della sinistra Dc di Ciriaco De Mita ed europarlamentare.

Insomma, i conti per una disamina senza fronzoli delle prospettive italiane alla luce del voto di domenica tornavano tutti. E l’agenzia di stampa AdnKronos quei conti ha voluto che Gargani li facesse come piace a lui: rasoterra, con nomi e cognomi e con un “disegnino” che non è michelangiolesco ma straordinariamente essenziale ed efficace.

Primo tratto di lapis colorato: “Il paragone che Calenda fa tra Draghi e Mattarella regge. Se non ci sarà un risultato elettorale chiaro e la situazione di emergenza sarà più grave di quanto ci venga raccontato”. Tratto netto sottolineato a carboncino con la matita di Kissinger: “Draghi non potrà fare altro che farsi carico di un secondo mandato per il bene del Paese, come fece Mattarella”.

Ghirigoro blu Quirinale: “E’ evidente che in caso di maggioranza non solida sarà il Capo dello Stato che dovrà farsi carico di questa situazione attraverso un governo del presidente. Auspico come Calenda un esecutivo efficiente guidato da Draghi, in grado di risolvere problemi che fanno tremare le vene ai posti”.

Cartello con freccia e faccia sorridente: “Calenda continua a ripetere ciò che ha detto mille volte. Nulla di nuovo. Io ho condannato ciò che i Partiti hanno fatto mandando a casa un governo in piena efficienza che avrebbe ottenuto dall’Europa il price cap sul prezzo del gas”. Firma in calce al lavoro: “Chi come me condanna questo punto, auspica che alla guida ci sia un uomo come Draghi”.

Svolazzo finale: “Perché non ci saremmo trovati nella situazione drammatica in cui siamo se ciò non fosse accaduto. Invece, a fine mese falliranno migliaia di aziende che non potranno pagare le bollette”.

Meglio di Giotto.

VALENTINA CALCAGNI

Valentina Calcagni con Matteo Renzi

Geniale, non solo sul palco come uomo di comunicazione. Ma soprattutto come politico: per i contenuti che su quel palco ci ha voluto portare. Matteo Renzi a Frosinone ha riempito due sale del Fornaci: cosa che il Partito Democratico ha fatto solo ai tempi di Massimo D’Alema, un’era geologica fa. Ma soprattutto ha saputo esercitare la parte del pitbull pronto ad azzannare il Pd alla gola rinunciando a sferrare il morso potenzialmente mortale. (Leggi qui: Renzi a Frosinone, sul serio: «Enrico, stai tranquillo»)

Di motivi per sbranare il Pd ne aveva più d’uno. Fosse solo per il fatto che nella Federazione di Frosinone cinque anni fa erano tutti renziani. E si prendevano a gomitate in faccia per dimostrare chi fosse più renziano dell’altro, esibendo con orgoglio le testimonianze delle Leopolde alle quali avevano partecipato. Poi, al momento di fare quadrato intorno al leader a Frosinone è rimasta solo Valentina Calcagni, la fedelissima che già alla Leopolda numero zero era lì ad apparecchiare i tavoli.

Qualcosa da dire glielo aveva fornito anche il movimentato dopocena tra esponenti del Pd divenuto famoso in tutta Italia per un dirigente del tutto fuori controllo. Matteo Renzi l’aveva annunciato la scorsa settimana da Roma, verso la fine del suo show all’Auditorium della Conciliazione a Roma. Dicendo:  “Noi andremo a Frosinone per dire che non si dice ‘ti devi inginocchiare’. Ma si dice Lazio rialzati.  (Leggi qui: La sfida di Renzi a Frosinone ed al suo Pd).

Invece. Una volta a Frosinone Matteo Renzi ha ringhiato ma non ha azzannato. Non su quella vena, non su quell’argomento. Quando dalla sala gli urlavano di polizze sospette o primari nominati (temi proposti da una trasmissione tv nazionale ma finora rimasti senza riscontro), l’ex Segretario Pd ha schivato “Allora qui a Frosinone avete la testa dura: ho detto che vengo a dire Lazio Rialzati e non altro”.

Dietro c’è stata la sapiente mediazione di Valentina Calcagni, coordinatore provinciale di Italia Viva. Fatta insieme al candidato Adamo Pantano, a Marietta Tidei (coordinatore regionale), Germano Caperna (componente della Cabina di Regia Regionale), Salvatore Fontana (co Coordinatore Provinciale). Che prima dello show si sono confrontati per oltre quaranta minuti con Matteo Renzi. Spiegandogli che qui il suo Partito ha affrontato le Comunali insieme al Pd; e che alle prossime Regionali del Lazio bisogna decidere ora cosa si vuole fare: “se si vuole confermare l’attuale alleanza costruita da Zingaretti non si può demolire quello che tra una settimana sarà il nostro alleato”.

Matteo ha capito e non ha azzannato.

Potenza della fedelissima.

FLOP

SILVIO BERLUSCONI

Silvio Berlusconi (Foto © Carlo Lannutti / Imagoeconomica)

È abilissimo nel tenere il palco televisivo, forse è l’unico in grado di fare concorrenza a Matteo Renzi. Ma questa volta il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi l’ha sparata talemte grossa da lasciare senza parole uno come Bruno vespa che non è affatto di primo pelo.

Nel corso della diretta su Porta a Porta ieri sera ha detto che Vladimir Putin è stato «spinto dalla popolazione e dal suo Partito a inventarsi questa operazione speciale in Ucraina». Riascoltiamo al rallentatore: Putin ha scatenato la guerra perché glielo hanno chiesto gli ucraini. Di più: quella in corso non è una guerra ma un’operazione militare speciale.

Berlusconi è riuscito a fare di peggio. Aggiungendo che l’obiettivo iniziale di Mosca era quello di entrare a Kiev e «in una settimana sostituire con un governo di persone perbene quello di Zelensky. Non capisco perché le truppe russe si sono sparse in giro per l’Ucraina, mentre secondo me dovevano fermarsi solo intorno a Kiev».

Cioè: per Berlusconi un colpo di Stato in un Paese che è sostanzialmente europeo è una cosa comprensibile. Quello che non gli è chiaro è perché poi abbiano invaso tutto il resto.

Che stia dicendo una solenne corbelleria non gli passa nemmeno in mente. Se ne è convinto è grave; se non ne è convinto è la prova che è arrivato.

Compagno Silvio.

CHRISTIAN SOLINAS

Christian Solinas

Ci sono uomini che ad un certo punto della loro storia personale si giocano il tutto per tutto. Puntano su un cavallo solo, magari quello considerato al momento il più brocco. E vincono con quote stellari. Poi ci sono uomini, quasi sempre gli stessi, che si giocano tutto sul medesimo cavallo in medesime condizioni, e perdono.

E che vincano o perdano non dipende dall’oculatezza delle scelte. Ma da una serie di fattori che quelle scelte le certificano come buone o pessime solo ex post, quando cioè non puoi farci più nulla. Fattori come ad esempio le urne di un Paese come l’Italia, che il 25 settembre si avvia a fare con moderata certezza tre cose. La prima: far vincere in senso lato Giorgia Meloni. Poi far resistere alla buriana Enrico Letta. E infine far tornare nei ranghi del paleolitico padano Matteo Salvini ma non la Lega.

Ecco, Christian Solinas quello ha fatto: si è giocato il tutto per tutto. E nella mistica di Pontida in versione “malloredus” ha scelto Salvini e la linea del Capitano. Un Capitano con il quale, a voler dare traino epico alla faccenda, lui sembra o “voler affondare” o voler stravincere se restasse a galla in barba ai governisti che sono i suoi veri avversari.

Solinas lo ha detto talmente chiaro che perfino la sua antica inimicizia con Luca Zaia è passata in secondo piano in quanto ad eziologia: “Crediamo in Matteo Salvini, non nello Stato che comprime le libertà”. Il governatore della Sardegna ha paure ben delineate quindi: “Io non ho paura di uno Stato che riconosce l’autonomia, a me preoccupa maggiormente uno Stato, come quello attuale, che ha compresso l’autonomia delle Regioni, anche di quelle che già ce l’hanno”.

In elegia per Salvini poi Solinas ha dato un volto al colpevole: “Questo perché c’è un rigurgito di centralismo che tende a riconquistare spazi di libertà che le Regioni a statuto speciale avevano consolidato negli anni. Abbiamo bisogno di ragionare si nuovi poteri e spazi di libertà”.

Tutto bello e magari anche giusto, a considerare una realtà isolana dove la marginalità spocchiosa da parte di Roma è spesso regola. Un po meno bella, nel senso di fruttuosa, la scelta di delegare al solo Salvini e non alla mistica generale e generica del Carroccio quella battaglia.

Perché se Salvini vince e resta in sella Solinas ci ha visto giusto ed avrà un po’ di attenzione, ma se Salvini perde ed a restare a galla fosse solo la Lega di Zaia e Giorgetti allora Solinas sarà fra i pretoriani da epurare. E della sua battaglia buona resterà solo un cippo: al valore.

Temerario sono.