Top e Flop, i protagonisti del giorno: venerdì 3 febbraio 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di venerdì 3 febbraio 2023.

TOP

LUIGI DI MAIO

Luigi Di Maio (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Si è affrettato a smentire le voci che avrebbero certificato la sua sconfitta totale come uomo dedito alla politica attiva, perciò nella misura in cui questa smentito dovesse reggere nelle prossime ore Luigi Di Maio sta nella casella proba.

Ad insinuare che l’ex ministro degli Esteri, ex pentastellato doc ed ex conducator-inventore di Impegno Civico avesse bussato alla porta del Nazareno era stato il Giornale. E c’è di più: il quotidiano aveva spiegato che “Giggino” era in attesa che si perfezionasse ufficialmente il suo incarico come inviato energetico Ue nel Golfo Persico per annunciare che si, la sua era sempre stata un’anima Dem.

E per quale motivo Di Maio avrebbe avuto in animo di traccheggiare prima di annunciare che anche lui in camera aveva il poster di Berlinguer? Per non irritare il governo che alla sua nomina come rabdomante di petroli non aveva opposto veti. Il gabinetto guidato da Giorgia Meloni però, in caso di un passaggio in casa Pd, potrebbe rinfoderare la raccomandazione andreottiana.

Lo scenario è plausibile ma non troppo, a contare che a Di Maio in questo momento tutto conviene meno che impelagarsi in un’altra avventura partitica di ripiego, però serviva una smentita.

Serviva anche perché lo scenario de Il Giornale profilava un quadro a doppia mandata meschinella. In cui un trombato recuperato attende di incassare il risultato n°1 prima di andare a meta con quello n°2; ed un sistema complesso di governo è pronto a vendicarsi di uno sgarro togliendo la poltrona da sotto le natiche ad un tizio non proprio qualunque (piaccia o meno Di Maio è un ministro di lungo corso) in zona Cesarini.

E a dare smentita secca ci ha pensato proprio Di Maio: lui al Pd in questo momento non ci pensa. E invece di trovare “l’oro falso” preferisce cercare l’oro neo per conto di Bruxelles. Poi magari si vedrà.

Saggio, democristiano, quasi Dem.

LA CORTE DI APPELLO DELLA FIGC

Federcalcio, il Consiglio Federale. Foto: © Figc

Leggiamo come si dice “per tabulas” come hanno spiegato i giudici della Corte Federale di Appello della Figc la sentenza con cui hanno inflitto 15 punti di penalizzazione alla Juventus. La medesima ha “commesso un illecito disciplinare sportivo“, perciò sul caso plusvalenze quella penalizzazione di 15 punti è legata alla “particolare gravitàe alla “natura ripetuta e prolungata della violazione che il quadro probatorio emerso è in grado di dimostrare“.

In 36 pagine di motivazione e in poco meno di quattro settimane la faccenda è andata cassata con tanto di inibizioni di diversa durata gli ex dirigenti del club. Premessa: le sentenze, anche quelle della giustizia sportiva, si rispettano. Ma è evidente che è nel novero della umane faccende che le stesse si discutano. E siano soggette al meraviglioso patibolo della opinioni di chi su di essere viene informato.

Insomma, a rispettare le sentenze ci devono pensare quelli che le subiscono. Ma quelli che ne hanno contezza possono anche dire la loro. E magari rilevare storture eventuali con il piglio artigianale di chi applica il buon senso senza avere l’obbligo di conoscere il latinorum.

E c’è una cosa nel rapido pronunciamento contro la Juve (per cui chi scrive mai ha tifato e mai tiferà perché sotto la Mole ci vede solo ben altro colore e e ben altro animale totemico) che convince molto poco.

La Juve è stata colpevole di un clamoroso illecito di bilancio? Cosa c’entra il campionato e perché non sono stati puniti, puniti davvero, solo i quadri dirigenti ritenuti rei invece dei calciatori che oggi lottano in zona Mitropa Cup?

Seconda domandina: la Juve è rea assieme ai suoi stessi giocatori di quei medesimi reati? La spedisci in serie Z a giocare contro Civita di Bagnoregio di Sotto e amen. Questa soluzione mediata e mediana, con la Procura Figc che vorrebbe chiedere altri 20 punti per il caso stipendi, ha l’odore di un pannicello caldo con cui infliggere alla società un danno che pare poco per chi ha sbagliato e troppo per chi non ha sbagli sul groppone.

E se perfino un tifoso granata vede questo controsenso forse qualche domanda sarà il caso di farsela.

La legge leggera.

FLOP

CORRADO LOREFICE

Corrado Lorefice (Foto: Alberto Lobianco © Imagoeconomica)

Una scelta coraggiosa. Come lo sono tutte quelle di rottura con il passato. Non facile da comprendere al volo: proprio perché va ad interrompere secoli di tradizione. Ma l’autorevolezza della cattedra lascia poco spazio per i dubbi. La cattedra è quella dell’arcivescovo di Palermo e la decisione è quella di non avere più le figure dei padrini e delle madrine durante battesimi e cresime. Tolti ‘ad experimentum’ per tre anni come dispone il decreto dell’arcivescovo Corrado Lorefice.

Per l’arcivescovo, intorno alle figure dei padrini e delle madrine c’è molta confusione, spesso si creano “legami ambigui. E questo va nella direzione opposta al vero significato che queste figure dovrebbero avere per la Chiesa cristiana.

Tradotte all’atto pratico: per l’arcivescovo le figure dei padrini e delle madrine hanno perso la funzione di affiancamento dei genitori nell’educazione dei figli, sono diventate figure quasi coreografiche. Spesso pericolose per il concetto ed il significato che quel termine ha assunto in quella particolare area geografica.

Ci sta tutto. Ma forse poteva esserci spazio per una soluzione alternativa. Ad esempio far riscoprire l’importanza del ruolo dei padrini.

Perché se si va avanti in questa direzione, anche il Natale è diventato una festa nella quale principalmente ci si fa dei regali e non si va più a Messa. Sopprimiamo anche il Santo Natale?

Il rischio è che riformando in questo modo, il prossimo passo, considerato il significato ambiguo assunto su quel territorio, dalle nozze vengano fatti sparire pure i testimoni. In Sicilia non sempre sono apprezzati.

Riforme ambigue.

EMANUELA ZAPPONE

Emanuela Zappone

Sembra una beffa del destino. Nel mirino della Corte dei Conti è finita un’esponente Dem. Ma a pagare il conto viene chiamata anche la candidata alle Regionali espressa da Fratelli d’Italia. Accade a Terracina, dove la Corte dei Conti ha contestato il “vero e proprio mostrum contrattuale” costruito intorno alla dottoressa Carla Amici (sorella della più nota ex sottosegretario Pd Sesa ).

Un Mostrum che per cinque anni ha permesso a Carla Amici (anche lei esponente Pd) di ricoprire nello stesso tempo sia il ruolo di direttrice dell’azienda speciale del Comune di Terracina e sia quello di consulente del Lavoro e consulente Fiscale della stessa municipalizzata. Il tutto, sommando le due retribuzioni.

Cosa c’entra con tutto questo la candidata alle Regionali Emanuela Zappone, esponente di Fratelli d’Italia? Cioè il fronte politico del tutto contrapposto. Per la Corte dei Conti la candidata, in quel quinquennio era assessore al Comune di Terracina. E per questo l’ha ritenuta responsabile del danno erariale che si è venuto a creare per le casse cittadine. Avrebbe dovuto vigilare ed impedire la somma dei due contratti.

I giudici contabili hanno condannato la direttrice Amici a risarcire circa 163mila euro. In via sussidiaria, hanno condannato l’ex assessora a pagare il 20% di quella somma, insieme all’ex sindaca Roberta Tintari.

Il colmo della beffa.