Top e Flop, i protagonisti del giorno: venerdì 6 gennaio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di venerdì 6 gennaio 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di venerdì 6 gennaio 2023.

LUCA DI STEFANO

Luca Di Stefano

Non solo parole. Il neo presidente della Provincia di Frosinone Luca Di Stefano inizia subito con la sostanza. Ha convocato un tavolo tecnico sull’Ambiente. Nel quale riunire tutti gli attori dello sviluppo del territorio che passa attraverso le nuove tecnologie green. Un cambio di passo e di mentalità. (Leggi qui: Le parole che devono diventare fatti).

Fino ad oggi in provincia di Frosinone i rifiuti sono stati considerati un problema. Dalla discarica di Roccasecca alla necessità di individuarne una nuova, agli interminabili protocolli per il rilascio delle autorizzazioni ambientali che spesso fanno scappare gli investitori. Ora anche la Ciociaria tenta di mettersi al passo con le realtà del nord. Nelle quali ormai da anni «il rifiuto smette di essere inteso come un problema. Non è più qualcosa di usato da gettare in una discarica. Ma è nuova materia prima che deve soltanto essere recuperata per poter avere una nuova vita ed un nuovo utilizzo sotto un’altra forma».

È il dogma dell’economia circolare. Intorno al quale il Pnrr sta costruendo il nuovo sviluppo del Paese. Ma che fino ad oggi in provincia di Frosinone veniva trattato a voce bassa e lontano dai riflettori. Come se la green economy e la circular economy fossero qualcosa di cui vergognarsi.

Il presidente Luca Di Stefano invece ha deciso di dirlo a voce alta. Per far capire che i rifiuti non sono più solo discariche e puzza come negli anni Ottanta e Novanta. Ma sono diventati enorme fonte di risparmio per una Terra che non ha più abbastanza materie prime per tutti.

Un territorio come quello ciociaro che per anni ha subito abusi di ogni genere, la diffidenza è più che legittima. Più che motivata. Per questo se ne parlava a voce bassa. Accendere i riflettori ed alzare il tono significa lanciare a viso apeto la sfida alle ecomafie: sono loro a voler interrare tutto senza recuperare, assassinando il territorio ed avvelendandolo.

Con il tavolo sull’Ambiente, Luca Di Stefano ha detto che la Ciociaria non ci sta più a quella mentalità. Non è disposta a diventare una Terra dei Fuochi. E che si difenderà togliendo ai clan la benzina dei oro eco business: i rifiuti.

Presidente green.

DOMENICO BECCIDELLI

Domenico Beccidelli

È andato a prendere la Befana. Così come faceva da sempre per la gioia dei bambini. Poi il covid ha imposto di fermare tutto. Per due anni niente befana e niente regali. Adesso che i vaccini hanno consentito di allentare la morsa, l’imprenditore Domenico Beccidelli è tornato a far alzare in volo i suoi elicotteri inviandone uno ad intercettare la vecchietta per alleviare la fatica del suo viaggio in sella ad una scopa. Ed accompagnarla fino alla sua elisuperficie di Anagni, all’interno del perimetro delle aziende di manutenzione e servizi elicotteristici Heliworld e Centro Costruzioni.

Lì, oltre ai pacchi per i figli dei dipendenti, la befana porterà due assegni. Destinati ad altrettante Onlus che si occupano dei bambini ricoverati nei reparti pediatrici del policlinico Gemelli e dell’ospedale Bambino Gesù. Due associazioni dedicate al ricordo di altrettanti bambini che in quelle strutture ci sono entrati con la loro malattia e ne sono usciti a cavallo della scopa della befana.

È l’esempio ciò che è più importante. Perché è contagioso. Il gruppo industriale Beccidelli ha realizzato da tempo, a sue spese, un’elisuperficie ad Anagni: attrezzata per il volo notturno, con tanto di radar e trasponder. È grazie a quell’area che in caso d’incidenti gravi gli elicotteri possono atterrare ad Anagni anche in condizioni di tempo pessime e trasferire nella Capitale i pazienti. L’eliporto serviva all’azienda? Certo. Ma non era necessario dotarlo di tutte le tecnologie che gli consentono di funzionare anche di notte, dal momento che i velivoli destinati alla manutenzione volano solo di giorno.

È quel quantum in più a fare la differenza. Soprattutto perché fatta con discrezione e nel silenzio più assoluto. Come se fosse un preciso dovere morale e civico. Un piccolo quantum. Capace di fare la differenza. Come il fatto di andare a prendere la befana e far sorridere i bambini. Ricordando così a tutti che molte volte basta fare appena poco in più per dare tanto a molti.

Non sappia la mano destra ciò che fa la sinistra.

FLOP

IL MOVIMENTO 5 STELLE

Giuseppe Conte (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Diciamocelo, un po’ come ce lo diceva Ignazio La Russa prima della scalata a Palazzo Madama: se c’era una cosa che a suo tempo ci aveva affascinato del Movimento Cinque Stelle quella era stata (notare il trapassato prossimo) la crociata anti-casta e quel pauperismo folk che pareva invasare i suoi iscritti non solo di vertice.

E di essa soprattutto la regola che ne era diventata crogiolo: la restituzione degli stipendi da parlamentare o quanto meno il loro storno dalla goduria personale dei beneficiari. Non era una regola molto giusta perché un parlamentare è un lavoratore e come tale va trattato, posto che lavori. Ma la simbologia aveva tenuto il suo sessappiglio anche nelle menti più conservatrici.

Poi si era assistito alla poco onorevole usanza di deputati e senatori che raccattavano da terra scontrini e ricevute per poter scaricare il più possibile ed evitare di restituire troppo al non Partito, che in base al suo non Statuto ipotizzava di lasciare in tasca agli onorevoli ed ai senatori circa 2mila – 2mila 500 euro al mese più le spese sostenute. Da qui, la caccia agli scontrini. Il tempo ha posto il M5S di fronte all’evidenza della realtà: si è dotato di Statuto, ha modificato le regole, cancellato la caccia agli scontrini decidendo di fare ciò che tutti gli altri tanto odiati Partiti fanno da sempre. E cioè: ciascuno contribuisce alle spese del Partito versando una quota del suo stipendio.

Ed è esattamente per questo motivo che la notizia per cui nella Calza della Befana il M5s ci ha messo le nuove regole di restituzione provoca il piacere sottile delle cose lontane dalla nostra indole remota ma non per questo sbagliatissime. Il senso della “nuova svolta” sta tutto in un documento. Secondo il quale entro questa settimana il Movimento di Giuseppe Conte avrà un suo “tesoretto pentastellato” grazie alle nuove regole del M5s sulle restituzioni.

Che significa? Prima del cosa vediamo il come: il voto della Rete stabilirà quanto dovrà andare al partito e quanto al una associazione interna, e soprattutto stabilirà se sia giusto farlo. L’assunto retrò sta dunque nella regola che sia la base a mettere il sigillo sulle nuove regole delle ‘restituzioni’ in casa “ormai poco grillina” per quella che era stata considerata la madre di tutte le battaglie del Movimento.

E veniamo al cosa: i parlamentari dovranno restituire mensilmente 2.500 euro, ma, di questi, “ben 2.000 andranno al M5S, dunque al Partito”, mentre 500 finiranno “su un conto intestato all’Associazione Movimento 5 Stelle appositamente dedicato alla restituzione alla collettività“. Lo spiega il famoso documento-fonte che spiega anche come proprio nei prossimi giorni la cosa prenderà sostanza.

In prativa. Il M5S ha scoperto l’acqua calda. Ci ha messo qualche anno. Ma alla fine farà né più né meno (anzi meno, dal punto di vista economico) di ciò che fanno gli altri Partiti. E prescindendo dalla destinazione interna e dalla verve ormai “annacquata” delle smanie pop e di democrazia pauperistica del Movimento la cosa lo lascia ancora, quel sottile brivido che la gente comune sente quando vede che i soldi prendono la via collettiva e non quella della singola tasca. Specie oggi, specie ora e specie con il 2023 che ci aspetta.

Pro domo nostra.

PADRE GEORG GAENSWEIN

padre Georg Gaenswein (Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica)

Se hai il cadavere della suocera ancora tiepido ed esposto nel tinello al dolore di familiari e conoscenti, non puoi stare in cucina a parlar male a voce alta della nuora. Non puoi neanche se la ragazza ha il suo caratteraccio e durante la malattia della vecchia te ne ha fatta più d’una che ti sono sembrate un dispetto. È una questione di modi e di tempi.

Si spiega solo con il sincero, profondo, devastante dolore per la scomparsa di un padre impareggiabile, lo sfogo compiuto dal prefetto Gerg Genswein, ombra da anni di papa benedetto XVI. Avveduto uomo di Chiesa e di Curia, sa benissimo che lamentarsi di Papa Francesco e dei suoi atteggiamenti mentre i resti mortali di Joseph Ratzinger sono stati appena composti per gli ultimi riti, equivale a strappare la scena al funerale per spostarla sul gossip.

Rivelare i dettagli della non semplice coabitazione tra Bergoglio e Ratzinger equivale ad aprire uno nuovo quanto inutile fronte di pettegolezzo. Perché si tratta di dettagli che difficilmente la gente comune potrebbe comprendere al volo ma facilmente potrebbe equivocare.

Perché Ratzinger è stato un teologo di rarissima profondità e sopraffine raffinatezza. Difensore della purezza e dell’originalità della Parola. Non a caso un Santo come Wojtyla lo fece prefetto del Sant’Uffizio mandandolo dove un tempo la purezza della Fede veniva investigata con la tortura. E settimanalmente aveva con lui intensi confronti in tema di dottrina, confrontandosi apertamente sulle encicliche che scriveva. Arrivando spesso a dispute non proprio pacate. Ma Bergoglio è Papa d’altra pasta: è gesuita e per questa natura lui il sant’Uffizio ce l’ha dentro con se stesso principale sospettato. È un pragmatico, che di fronte alla purezza delle forme si preoccupa invece della sostanza nelle Chiese vuote.

Difficile che due mentalità e due visioni tanto distanti potessero confrontarsi senza asperità. Ma mettere questo in piazza, una piazza non avvezza al dibattito ed alla disputa teologica, rischia di creare nuovi danni all’immagine della Chiesa. Più di quelli determinati dalle lettere riservate sparite dalla scrivania proprio di padre Georg e finite per alimentare i veleni di Vatileaks.

Una leggerezza intollerabile per un militare di Cristo come Bergoglio. Che meno ancora tollera in padre Georg l’intransigenza che un Ratzinger poteva permettersi ma lui no. Perché non è Ratzinger. Ma ne era solo il filiale e fedele assistente.

Lascia stare i Santi.

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